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Il processo di riforma costituzionale e il futuro di Vladimir Putin

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Nel gennaio 2020, in occasione del tradizionale discorso di fronte all’Assemblea Federale, Vladimir Putin ha annunciato alla Russia e al mondo la volontà di avviare un vasto programma di riforme costituzionali che permettessero alla Federazione di modificare, strutturalmente, il proprio assetto istituzionale. L’iniziativa del Presidente giunse del tutto inaspettata, tanto all’interno, quanto all’esterno, ad un anno di distanza proviamo a fare un bilancio del processo riformista.

L’annuncio delle riforme e le sue conseguenze

Dal 2000, anno nel quale fu eletto per la prima volta Presidente, Vladimir Putin ha sempre ricercato la stabilità. Stabilità che è stata declinata in termini politici, con il varo della cosiddetta “managed democracy”, la democrazia gestita che avrebbe garantito il pieno funzionamento delle procedure democratiche in assenza però di un effettivo mutamento dell’élite dominante, come pure in termini economici, con il progressivo raffreddamento delle dinamiche più nefaste del processo di liberalizzazione degli anni Novanta e l’avvio di un ampio programma di stabilizzazione macroeconomica. Tale ideale di stabilità è riscontrabile anche nella politica estera: gli obiettivi dichiarati nei primi anni della sua presidenza sono rimasti sostanzialmente inalterati, seppur sono cambiati ovviamente i mezzi e le strategie per perseguirli. Di conseguenza, la volontà espressa di avviare un’ampia fase riformista è stata percepita inizialmente come il campanello di allarme di un equilibrio sempre più instabile, soprattutto dopo le proteste dell’estate 2020 in occasione delle elezioni amministrative e del calo di consenso riscontrato a partire dal giugno 2018 a seguito del varo della riforma delle pensioni, particolarmente sentita dalla popolazione, dato l’innalzamento della soglia d’età da 60 a 65 anni per gli uomini e da 55 a 60 per le donne, a fronte di un’aspettativa di vita di 66 e 77 anni. In realtà, le riforme sono state un’iniziativa mossa dall’alto, in modo forse tipicamente russo, e di conseguenza una correlazione tra le proteste e le riforme può essere solo parzialmente accettata in questo senso. 

Il contenuto delle riforme

Oltre agli aspetti istituzionali, l’annuncio del 15 gennaio 2020 prevedeva l’adozione di un salario minimo garantito, superiore alla soglia di povertà, e l’indicizzazione delle pensioni, che, fin dagli anni Novanta, è stata una necessità più volte richiamata in questi anni a causa di un tasso annuo di inflazione che, seppur non elevato, si è mantenuto stabilmente al di sopra il 5% fino al 2018. Malgrado, quindi, l’importanza attribuita dalla popolazione alle questioni socioeconomiche, sono le dinamiche istituzionali a risultare dirimenti. 

In particolar modo, la più importante tra le riforme proposte è stata l’introduzione di un vincolo di fiducia, tra la Duma e il Governo, mediante il riconoscimento alla Camera bassa del potere di nomina del Primo Ministro e dei Ministri del Governo. Contestualmente, il dato più evidente è stata l’inziale percezione di una riforma che andasse in senso parlamentare, riducendo almeno apparentemente il ruolo del Presidente, che nelle dichiarazioni iniziali sarebbe stato depotenziato favorendo così l’emergere non solo della Duma ma anche del Consiglio della Federazione, la camera alta dell’Assemblea Federale, che avrebbe avuto un ruolo decisivo nel processo di nomina dei Ministri e dei vertici delle agenzie impegnate nella sicurezza nazionale. Il processo di riforma dell’apparato dello stato, vede inoltre un evoluzione del ruolo Consiglio di Stato, un organo precedentemente consultivo di raccordo tra le istituzioni federali e quelle locali, che sarebbe stato rafforzato, portando molti osservatori a ritenere che l’evoluzione in una direzione maggiormente collegiale del potere russo avrebbe favorito un passaggio di consegne in vista del 2024, anno in cui il quarto e apparentemente ultimo mandato di Vladimir Putin sarebbe giunto alla fine. 

A conclusione del progetto riformista, si è prevista l’introduzione di un divieto alla candidatura di figure che avessero avuto la cittadinanza straniera o fossero stati residenti all’estero per le posizioni apicali dei ministeri o delle agenzie, come pure l’obbligo di essere cittadini russi da almeno 25 anni per coloro che sarebbero stati candidati alla presidenza. 

Da ultimo, viene formalmente introdotto il primato della legislazione interna su quella internazionale e, di conseguenza, l’impossibilità di applicare norme internazionali qualora fossero state in contrasto con la costituzione, come pure, il divieto di firmare trattati le cui disposizioni avrebbero potuto contrastare il dettato costituzionale. L’insieme delle disposizioni quindi, pur rafforzando il ruolo dell’Assemblea Federale, consente un restringimento della platea di possibili candidati alla presidenza o al vertice delle agenzie impegnate nella sicurezza nazionale, escludendo di fatto la possibilità che eventuali oppositori, attualmente risiedenti all’estero, potessero presentarsi alle elezioni o ambire a posizioni di rilievo. Contestualmente, l’affermazione del primato della Costituzione sulle norme internazionali consente un ulteriore irrigidimento del regime, non solo rispetto alle norme inerenti al commercio internazionale e i fenomeni della globalizzazione, ma anche, e soprattutto, alle norme inerenti il rispetto dei diritti umani, per le quali la Russia è stata spesso citata di fronte alla Corte Europea dei diritti dell’uomo. 

Infine, sono stati introdotti due emendamenti inizialmente non previsti nel progetto di revisione costituzionale, inerenti alla tutela degli ex-presidenti e ai mandati presidenziali. Per quanto riguarda il secondo, è prevista l’eliminazione, per l’attuale Presidente, del vincolo dei due mandati presidenziali. Come recita il decreto di attuazione delle disposizioni, approvate in ultima istanza dall’Assemblea Federale l’11 marzo 2020 e successivamente confermate dagli organi legislativi regionali e dalla Corte costituzionale: One person cannot serve as President of the Russian Federation for more than two terms. This provision shall apply to the President of the Russian Federation in office as of the time this Law enters into force, discounting the number of terms during which such person has served in this position as of the time this Law enters into force. Di conseguenza, tale disposizione, “emendamento Tereshkova”, è andata di fatto ad annullare il vincolo dei due mandati, che seppur confermato in via generale, vede una deroga nella previsione di una sorta di annullamento dei mandati precedenti all’entrata in vigore delle norme per il Presidente attualmente in carica. Un’ipotesi plausibile vedrebbe quindi Putin (68 anni), in carica dal 2000 quasi ininterrottamente ad eccezione della parentesi di Dmitry Medvedev (2008-12), diventare potenzialmente il leader più longevo della storia russa, dato che potrebbe non solo candidarsi alle prossime presidenziali del 2024, ma anche alle successive del 2030, finendo la sua carriera politica a 83 anni con circa trent’anni di Presidenza.

L’ultimo emendamento in questo quadro riformista, presentato come “misura vitale per la stabilità dello stato e della società”, ha modificato l’articolo 3 della “legge federale a garanzia del Presidente della Federazione russa che ha cessato di svolgere le sue funzioni e ai membri della sua famiglia” ampliando le tutele garantite ad un ex-Presidente ed ai membri della sua famiglia. L’immunità ratione materiae diviene ratione personae, coprendo a vita sia amministrativamente sia penalmente la figura dell’ex-Capo di Stato, il quale non potrà essere interrogato, perquisito, arrestato o detenuto. Il nuovo emendamento ha reso più ostico l’iter per perseguire un ex-Capo di Stato: il Consiglio della Federazione sarà in grado di privare un ex- presidente dell’immunità solo se la Duma di Stato lo accusasse di alto tradimento, spetta poi alla Corte Suprema determinare la commissione del reato e alla Corte costituzionale vigilare l’osservanza delle procedure. Il Consiglio della Federazione potrà privare dell’immunità un ex-Presidente solo con il sostegno di una maggioranza parlamentare qualificata (2/3) e solo dopo che almeno 1/3 dei deputati abbia sostenuto l’accusa e una commissione speciale interna alla Duma di Stato abbia adottato una risoluzione corrispondente. L’eventuale approvazione dell’emendamento tutelerebbe così la figura dell’ex-Presidente, una fattispecie che sarebbe applicabile esclusivamente a Dmitrij Medvedev e, quando si ritirerà dalla politica, Vladimir Putin. Nel 2000, come primo atto della sua Presidenza, Putin concesse l’immunità personale a Boris Eltsin e alla sua famiglia, in virtù del servizio prestato alla nazionale, sebbene in realtà molti abbiano affermato che l’ukaz fosse parte dell’accordo politico tra Vladimir Putin, al tempo un volto pressoché sconosciuto, e “la Famiglia”, il clan politico legato a Eltsin che riuniva la sua famiglia naturale e le figure a lui più vicine. Normalizzare il passaggio da una leadership ad un’altra è un elemento fondamentale della vita in ogni sistema politico, in Russia soprattutto. Ad oggi, solo Nikita Kruscev, Michail Gorbachev e Boris Eltsin hanno abbandonato il loro incaricato prima della fine naturale della loro vita, ma nessuno dei tre rappresenta un esempio virtuoso per la vita politica russa. La stabilizzazione dello status “dell’ex-Presidente” potrebbe essere quindi il primo passo di Vladimir Putin nel gestire, con cautela, la propria successione, sebbene nulla faccia presagire il suo prossimo ritiro dalla politica.

Il processo di riforma e il consenso di Vladimir Putin

Il processo di approvazione della riforma costituzionale tramite referendum inizia ufficialmente il 25 giugno 2020. Le procedure referendarie, svoltesi in piena pandemia, ne risentono nell’organizzazione: inizialmente, con il varo della legge sul voto elettronico il 24 maggio 2020, era stata ventilata la possibilità di poter votare attraverso pc da casa, con l’obiettivo di evitare che il referendum provocasse grandi concentrazioni di persone, ma l’impossibilità di predisporre, in così breve tempo, l’infrastruttura tecnologica necessaria per supportare l’operazione sull’intero territorio nazionale ha fatto sì che le procedure di voto fossero riformulate, optando per un voto dilazionato in più giorni. Per quanto, costituzionalmente, il referendum non fosse necessario per l’entrata in vigore degli emendamenti alla Costituzione, (ricordiamo che l’iter di approvazione degli emendamenti prevede unicamente una doppia approvazione da parte dell’Assemblea Federale e dei parlamenti dei vari Soggetti della Federazione), è stato voluto al fine di dare maggior forza al processo di riforma, rafforzando così la legittimità del Governo e, soprattutto, della Presidenza in vista dell’eventuale futura ricandidatura di Vladimir Putin, che grazie ad un emendamento presentato dall’ex cosmonauta sovietica Tereshkova avrebbe potuto ricandidarsi alla guida del Cremlino per altri due mandati. Per quanto alcuni sondaggi di opinione abbiano riscontrato una diffusa stanchezza verso il leader del Cremlino, ormai da 20 anni al potere, l’esito del voto, comunicato nella prima mattinata del 2 luglio 2020, è arrivato senza troppe sorprese: con il 77,9% dei voti, la riforma è stata approvato dagli elettori, che hanno aderito per circa il 65%. 

Per comprendere meglio il valore del referendum per il potere di Vladimir Putin, che grazie all’approvazione delle riforme potrebbe candidarsi ancora nel 2024 e nel 2030, è opportuno far riferimento ad un recente contributo di Andrei Kolesnikov, una delle figure più rilevanti dell’Istituto Carnegie di Mosca, per cui dirige il Programma “Politica interna russa e istituzioni politiche”. Secondo Kolesnikov, il referendum ha permesso a Vladimir Putin di guadagnare tempo e spazio per gestire e preparare la propria successione, evitando di divenire oggetto della competizione interna tra i diversi gruppi di pressione che gravitano attorno al Cremlino. Allo stesso tempo, il referendum sanziona il cambiamento della “maggioranza di riferimento” del Presidente, ovvero di quel gruppo che, in questo momento, è la colonna portante del potere e ne garantisce la sopravvivenza. Ciò cui fa riferimento Kolesnikov non è in senso stretto la fascia di popolazione che tradizionalmente ha guardato al conservatorismo espresso da Vladimir Putin, bensì al gruppo informale di funzionari, dirigenti, ufficiali e settori dell’opinione pubblica che in questi anni hanno sostenuto il leader del Cremlino. Secondo il direttore della sezione politica interna dell’Istituto Carnegie di Mosca, Putin avrebbe attraversato già almeno due fasi della propria esperienza al potere e del suo rapporto con i gruppi che definiscono la società russa. Nella prima fase, che coincide con i primi due mandati del Presidente (2000-2008) a sostenere il leader del Cremlino erano quanti erano risusciti a godere, direttamente o indirettamente, dei dividendi dell’aumento del prezzo del petrolio. Tale processo aveva infatti garantito all’élite coinvolte in quel settore grande influenza e ricchezza e, allo stesso tempo, aveva permesso di aumentare la fascia della “classe media” della popolazione russa, consentendo un generale miglioramento per la fascia medio-alta della popolazione che, proprio nei due mandati iniziali del Presidente, ha guardato all’ex-agente del KGB con favore. Nella seconda fase, iniziata con il suo ritorno alla Presidenza nel 2012 e continuata con la crisi in Crimea del 2014, a divenire determinante per il sostegno al Cremlino sono state le correnti più conservatrici all’interno del potere russo, quindi soprattutto i siloviki e i militari, mentre nell’opinione pubblica i temi del nazionalismo e del patriottismo grande-russo hanno alimentato il consenso del Presidente. Contestualmente, con l’esplosione della crisi economica e la diminuzione del prezzo del petrolio, il benessere garantito nei primi anni duemila è stato difeso con fatica, determinando così un aumento delle diseguaglianze. Congiuntamente, il fallimento del dialogo con l’Occidente e l’irrigidimento interno hanno indebolito l’ala più “occidentalista” e liberale dell’élite e dell’opinione pubblica russa. Ciononostante, il rallentamento economico, ormai evidente, e la crisi determinata dall’incapacità di superare la dinamica di sanzioni e contro-sanzioni con l’Occidente, unito ad una generale stanchezza verso un leader ormai politicamente anziano hanno portato negli ultimi anni anche ad un indebolimento dell’efficacia della narrazione nazionalistica, creando le basi per l’acuirsi della competizione interna in vista della successione, inizialmente prevista per il 2024. 

In questo contesto, il “voto nazionale”, come è stato definito il referendum, assume un ruolo fondamentale, poiché il coinvolgimento dei cittadini nel processo di riforma delle istituzioni ha rafforzato il legame tra l’opinione pubblica e il Presidente, consolidandone la legittimità e concedendogli maggior forza, in un momento in cui l’annuncio del processo di riforma aveva forse accelerato eccessivamente i processi esposti in precedenza e il Covid-19 aveva pericolosamente indebolito il leader del Cremlino. Inoltre, coinvolgendo l’elettorato nel processo di revisione costituzionale, quando questo non sarebbe stato necessario, i due potenziali mandati concessi al Presidente vengono legittimati dalla “volontà popolare”, che con larga maggioranza, malgrado le accuse di brogli, ha approvato la costituzione. Per quando la suggestione espressa da Kolesnikov sia, per ammissione dello stesso autore, uno stimolo ad un’analisi più ampia che potrebbe però non essere confermata dai fatti, gli spunti che questa ci suggerisce mettono in mostra il momento di grande fragilità della politica russa, dove l’opinione pubblica potrebbe non essere più un mero elemento del processo elettorale, bensì, un fattore determinate che potrebbe permettere a Vladimir Putin di svincolarsi da alcune rigide dinamiche del potere russo e reagire con più forza ad eventuali oppositori interni.

Questo articolo è uno dei contributi del numero speciale di Matrioska – Osservatorio sulla Russia, pubblicato in occasione dell’anniversario del nostro osservatorio. Scopri qui tutti i numeri di Matrioska!

Nicolò Sorio
Geopolitica.info

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