Il 20 aprile 2021, a quasi un anno dalla morte che ha scosso gli Stati Uniti e il mondo e dato inizio ad un’estate di proteste antirazziste contro la sistematica violenza della polizia contro i cittadini afroamericani, l’ex poliziotto di Minneapolis Derek Chauvin è stato giudicato colpevole di aver ucciso l’afroamericano George Floyd durante il suo arresto.
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Il 25 maggio 2020 intorno alle 20:00, il 46enne George Floyd acquista un pacchetto di sigarette in un negozio di Minneapolis. L’impiegato alla cassa sospetta che la banconota da $20 usata dall’uomo sia falsa e lo riferisce al manager, che manda un altro impiegato a cercare Floyd per convincerlo a tornare nel negozio. Nel frattempo, chiama anche la polizia. Secondo la ricostruzione fornita durante il processo da Shawanda Hill, un’amica di Floyd che era in macchina con lui al momento dell’arresto, quest’ultimo non ha prestato attenzione alla richiesta del ragazzo perché si era addormentato mentre lei era al telefono con la figlia. Pochi minuti dopo, i due poliziotti Kueng e Lane lo svegliano puntandogli una pistola e intimandogli di uscire dall’auto, cosa che Floyd fa immediatamente. Tuttavia, quando i due lo ammanettano e cercano di farlo sedere dentro la loro auto, lui resiste, urlando e dicendo di soffrire soffre di ansia e claustrofobia. Uno dei testimoni oculari di questa prima parte dell’arresto dirà al processo che Floyd stava chiaramente avendo un attacco di panico. I poliziotti gli chiedono se è sotto l’effetto di qualche droga e l’uomo risponde in maniera negativa dicendo di essere solo spaventato. Floyd si rifiuta di entrare nella macchina e acconsente a sdraiarsi a terra. Nel frattempo, sono arrivati anche gli agenti Thao e Chauvin. Nello stesso momento, gli agenti comunicano a Floyd che lo stanno arrestando per falsificazione. Chauvin, Kueng e Lane stendono l’uomo a terra, ponendogli un ginocchio sul collo, uno sulla schiena e uno sulle gambe.
Il 46enne urla di non riuscire a respirare, cosa che farà almeno sedici volte. Intanto, l’agente Thao gestisce una piccola folla di persone che si è radunata davanti all’auto, che urla di lasciar andare l’uomo mentre registra con i propri telefoni. Dopo qualche minuto, l’agente Lane chiama un’ambulanza per un codice due, cioè un caso di non estrema emergenza, ma nessuno dei tre agenti si muove dalla sua posizione. Dopo circa sei minuti, come affermato al processo da vari testimoni oculari e medici, George Floyd perde conoscenza, ma il ginocchio di Chauvin resta sul suo collo per altri tre minuti, anche mentre i paramedici cercano di capire se è ancora vivo. Quando viene caricato sulla barella dell’ambulanza, Floyd non ha più polso, e i molteplici tentativi di rianimarlo falliscono. Durante il processo, uno dei medici chiamati a testimoniare dall’accusa affermerà che il ginocchio di Chauvin si è trovato sul collo di Floyd per quasi nove minuti e che negli ultimi tre l’uomo era già incosciente.
Il 29 marzo 2021 è iniziato il processo a Derek Chauvin, mentre gli altri tre agenti saranno processati in estate. Chauvin era accusato – e ora ufficialmente condannato – di omicidio involontario di secondo grado (con una pena massima di 40 anni), di omicidio colposo (pena massima 10 anni) e di omicidio di terzo grado (pena massima 25 anni). A difenderlo l’avvocato Eric J. Nelson, mentre l’accusa era composta da un team di avvocati fra cui spiccavano principalmente Matthew Frank, assistente Procuratore Generale per il Minnesota, e Jerry W. Blackwell, che ha accettato il caso pro bono. Il processo è durato ventuno giorni, più due giorni in cui la giuria popolare si è riunita per decidere il verdetto. L’accusa ha sostenuto la tesi che il ginocchio di Chauvin sia stata la causa della morte di Floyd, mentre l’avvocato Nelson ha montato la difesa sull’ipotesi che il decesso fosse stato causato non tanto dall’agente, quanto da un mix di droghe e da problemi cardiaci preesistenti. Nelson si basava sul fatto che l’autopsia ufficiale, eseguita dal dottor Andrew M. Baker, avesse sì identificato il soffocamento come causa della morte, ma avesse anche rilevato nel corpo di Floyd tracce di metanfetamina e fentanyl, un oppioide sintetico circa 100 volte più forte della morfina che crea una fortissima dipendenza e che nel 2019 ha causato circa 36.000 morti per overdose solo negli Stati Uniti. Il fentanyl non viene solo consumato illegalmente, ma è prescritto a quasi 2 milioni di cittadini americani ogni anno per dolori cronici, come nel caso di Floyd, o come palliativo per malattie terminali.
I testimoni
Durante il processo, sono stati chiamati alla sbarra quarantacinque testimoni. I primi quattro giorni hanno parlato i principali testimoni oculari che hanno assistito all’arresto e al soccorso di Floyd: le due ragazze di 17 e 18 anni, autrici dei filmati che hanno fatto il giro del mondo, una bambina di 9 anni, un lottatore di MMA, un pompiere fuori servizio, il cassiere che aveva pensato che la banconota fosse falsa, un uomo che aveva assistito anche alla prima parte dell’arresto, i due paramedici e il pompiere venuti in soccorso e un sergente della polizia che era stato avvisato da una sua collaboratrice che stava avendo luogo un arresto con un eccessivo uso della forza. Tutti i testimoni oculari hanno affermato che Floyd faceva fatica a respirare e che Chauvin stava esercitando una forza eccessiva sul collo dell’uomo. Il lottatore di MMA ha descritto la posizione dell’uomo come una mossa che nel combattimento è considerata mortale se prolungata. Inoltre, è stata chiamata a testimoniare anche la fidanzata di Floyd, Courteney Ross, che ha parlato di come si sono conosciuti, della loro relazione e della battaglia che lei e l’uomo affrontavano da vari anni contro la dipendenza da oppioidi, un problema che dal 1999 al 2019 ha ucciso mezzo milione di statunitensi. Entrambi avevano iniziato a farne uso sotto prescrizione medica per dolori cronici ma, come molti, ne erano diventati dipendenti.
Successivamente, sono stati chiamati a testimoniare poliziotti e medici di vario tipo: ai primi è stato chiesto di descrivere l’addestramento dei poliziotti e di qualificare il comportamento dell’agente Chauvin, e i secondi sono stati interrogati sulla causa della morte. Fra gli appartenenti all’arma, ha spiccato la testimonianza del capo del Dipartimento di polizia di Minneapolis, Medaria Arradondo, che ha affermato che Chauvin era un poliziotto addestrato e ciò che era successo non è stato un caso di inesperienza, ma di volontaria infrazione delle regole. Insieme a lui ha testimoniato anche il tenente Zimmerman, l’uomo che da più tempo lavora nella polizia di Minneapolis (dal 1985), il quale ha affermato che mai nella sua carriera gli è stato insegnato di bloccare qualcuno ponendogli il ginocchio sul collo, poiché classificato come atto di forza letale. Anche altri tenenti e sergenti hanno testimoniato come la mossa di Chauvin non faccia assolutamente parte dell’addestramento della polizia, e che la cosa che più gli si avvicina è l’atto di porre il ginocchio sulle spalle del sospetto ma solo per il tempo necessario a mettergli le manette. È molto raro che dei poliziotti testimonino contro un loro collega in un processo del genere: Suzanne Luban, della Stanford Law School, ha definito questo fenomeno un “muro blu del silenzio” che finalmente è stato infranto. I molti medici e esperti forensi che sono stati chiamati a testimoniare, incluso il dottor Baker che aveva compiuto la prima autopsia, hanno sostenuto che la morte di Floyd da asfissia sia da imputare al ginocchio di Chauvin sul suo collo. Baker ha tenuto fede alla sua decisione di classificare la morte dell’uomo come omicidio, il dottor Tobin ha dichiarato che anche una persona senza problemi cardiaci sarebbe morta in una simile condizione, facendo notare come dai filmati si veda chiaramente che il piede della gamba di Chauvin che è su Floyd sia sollevato da terra, a indicare che metà del peso dell’agente (circa 41 chili) fosse completamente sul collo dell’uomo. Altri medici hanno negato l’ipotesi che Floyd avesse abbastanza droga in corpo da provocargli una overdose.
Se l’accusa ha chiamato trentotto testimoni, la difesa solo sette dei quali solo due erano degli esperti (un patologo forense e un esperto nell’uso della forza). Gli altri testimoni servivano a corroborare la tesi della difesa che Floyd avesse una lunga storia di dipendenza dalla droga, e i due esperti hanno sostenuto l’ipotesi che la morte dell’uomo potesse essere stata causata da molteplici fattori: il patologo forense, il dottor Fowler, ha infatti affermato che, se fosse stato lui incaricato dell’autopsia, avrebbe classificato la causa della morte come indeterminata, poiché, secondo lui, era possibile che Floyd fosse morto anche a causa del monossido di carbonio che fuoriusciva dal tubo di scappamento dell’auto della polizia. Durante il controinterrogatorio dell’accusa ha però ammesso che durante l’autopsia non erano state rilevate tracce di monossido di carbonio nel corpo di Floyd e il dottor Tobin è stato richiamato alla sbarra per confutare la tesi del dottor Fowler. L’agente Chauvin ha deciso di non testimoniare, appellandosi al quinto emendamento.
Il verdetto, esemplare ma isolato
Dopo dieci ore, divise in due giorni, la giuria ha votato all’unanimità per condannare Chauvin secondo tutti e tre i capi d’accusa, giudicandolo responsabile della morte di George Floyd. Ora il giudice incaricato del processo deciderà la pena per l’agente, che rischia fino a 40 anni di carcere. Questa decisione è stata accolta con grande gioia dalla maggior parte del paese e anche dal presidente Biden, che ha però sottolineato come troppo poco spesso gli agenti di polizia vengano ritenuti responsabili per i loro atti. Secondo Vox, dal 2005 ad oggi solo 7 agenti sono stati incriminati per omicidio, nonostante solo nel 2019 siano state 1.099 le persone uccise da agenti in divisa. A titolo di paragone, la polizia canadese, che si colloca al secondo posto nel mondo dopo quella statunitense, nello stesso anno ne ha uccise 36. Questo verdetto potrebbe segnare un momento di svolta nella giustizia americana, ma potrebbe allo stesso tempo diventare uno strumento nelle mani di chi non vede la necessità di riformare l’arma e il sistema giudiziario, una prova del fatto che le mele marce vengono fermate dal sistema. Tuttavia, è chiaro come il caso di Floyd sia stata un’eccezione per la quantità di prove visive e di testimoni oculari e che è molto raro che si investighi sulle morti causate dagli agenti in divisa. Dal 29 marzo 2021, giorno di inizio del processo di Chauvin, tre persone al giorno sono state uccise dalla polizia.