Con la pubblicazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) sono state identificate sei “Missioni” di primaria importanza per la fuoriuscita dallo stallo socio-economico causato dalla crisi pandemica e, forse soprattutto, per cercare di allineare un paese in ritardo con i principali attori europei con i futuri scenari nazionali e internazionali.
Nello specifico le sei “Missioni” identificate sono così definite: digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per una mobilità sostenibile; istruzione e ricerca; inclusione e coesione; salute. Si può notare infatti come questa pletora di elementi coinvolga la gran parte del sistema paese in un’ottica non solo prettamente interna ma anche in virtù di un’Italia inserita in un contesto internazionale che negli ultimi anni è stato soggetto di mutamenti rilevanti nelle dinamiche e nei rapporti tra attori di diversa natura.
Missioni e criticità delle infrastrutture
Il tema delle infrastrutture nel caso italiano è particolarmente delicato e coinvolge una gamma di questioni cui è necessario tenere conto non solo ai fini di una qualsiasi analisi ma, in generale, per uno sviluppo a medio lungo termine dell’intero sistema. Guardando alle missioni sopracitate si può notare infatti come il tema infrastrutture sia di primaria importanza per la loro riuscita. La digitalizzazione passa per lo sviluppo (anche) di infrastrutture dedicate come, ad esempio, le reti ad alta velocità in grado di coprire una percentuale rilevante del territorio nazionale. Guardando ai concetti di innovazione e competitività e alla questione della salvaguardia ambientale questi passano quasi obbligatoriamente entro il tema delle infrastrutture in quanto le stesse sono il risultato di processi di innovazione come l’uso nuovi materiali e di nuove soluzioni architettoniche per la loro realizzazione mentre un paese privo di un sistema di infrastrutture efficienti e coerente con le necessità dello stesso non può essere competitivo quanto attori maggiormente strutturati.
L’altra faccia del tema infrastrutture è legata al tema della sicurezza delle stesse. La sicurezza in questo senso non riguarda solamente la loro affidabilità e tutti gli aspetti della manutenzione ma più in generale l’impatto che l’opera ha sul contesto, quindi includendo gli aspetti inerenti la sostenibilità ambientale (come si evince dal nome della missione stessa). Il tema infrastrutture sul fronte interno ha visto negli ultimi anni dominare questi due aspetti; il caso più noto ed emblematico è quanto successo a Genova nel 2018 con il crollo del cosiddetto ponte Morandi che ha causato 43 vittime e oltre 500 sfollati. Caso che deve assolutamente essere inserito in tutti quegli eventi che hanno visto l’emergere di criticità nell’intero sistema infrastrutturale italiano in materia di manutenzione e qualità delle opere. La questione si somma quindi a una accresciuta sensibilità da parte del tessuto sociale in materia di tutela ambientale che ha visto l’emergere di gruppi di pressione come nei più recenti casi della TAP e della TAV e, in quello più datato, del rigassificatore di Brindisi spesso con forti legami di tipo politico di non secondaria importanza.
In ultima istanza non può non considerarsi il fattore socio-politico che vede da un lato un forte scetticismo del tessuto sociale locale e nazionale nei confronti delle grandi opere. Dall’altro la scarsa (spesso di fatto inesistente) capacità della politica di avviare un dialogo costruttivo e più in generale una comunicazione adeguata sul tema porta ad aumentare il gap con la società civile rendendo la scelta di avviare la costruzione di una grande opera infrastrutturale uno strumento spesso a favore delle forze politiche d’opposizione.
Le infrastrutture marittime e il PNRR
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) deve dunque essere letto alla luce delle missioni e delle criticità che riguardano il tema delle infrastrutture in generale. È necessario, infatti, considerare il concetto di infrastruttura marittima nel senso più ampio del termine. Questa accezione non si limita solamente ai porti, i cavi e le condotte sottomarine o alle opere di messa in sicurezza delle coste ma si estende a tutto quell’insieme di infrastrutture che si connettono e presentano un “senso d’essere” proprio in relazione all’elemento marittimo. Nelle opere da inserire nella lista si aggiungono quindi tutti i collegamenti terrestri come le strade e le ferrovie, le strutture di immagazzinamento delle merci e di stoccaggio dei combustibili e le reti digitali e di comunicazione. Si potrebbe persino arrivare a considerare nell’equazione strutture come ponti e viadotti e lo sfruttamento delle vie naturali di transito delle merci come i corsi d’acqua, fattore di non secondaria importanza se si considerano i principali competitor portuali nord-europei.
È in questo contesto che emerge la quarta chiave di lettura con cui deve essere interpretato il PNRR (dopo le connessioni con le altre missioni del Piano, la sicurezza delle infrastrutture e i gruppi sociali in tema di tutela ambientale) in cui si deve considerare l’aspetto più geografico della questione. Riprendendo le idee di A. T. Mahan la morfologia del territorio italiano riveste un ruolo di assoluto rilievo in quanto vincola l’operato e la pianificazione strategica dei decisori politici. L’Italia dal punto di vista geografico ha lunghi tratti costieri che hanno alle spalle un territorio caratterizzato dai rilievi appenninici che ne impediscono il “libero” transito delle merci vincolando le infrastrutture terrestri entro percorsi limitati nel tragitto e nella portata mente la catena delle Alpi è di fatto un gigantesco collo di bottiglia che ostacola la libera circolazione con il resto d’Europa (in termini di tempo, costi e quantità). Caso simbolo di questo problema è il porto di Gioia Tauro in Calabria, tra i più grandi hub italiani, che non è supportato da un sistema idoneo di infrastrutture per il trasporto delle merci dovuto anche la conformazione montuosa della regione. Altra questione si presenta nel caso dei porti di Genova e Ancona che vedono la catena appenninica scendere direttamente sul mare vincolando enormemente le possibilità di sviluppo del porto stesso e della sua rete verso l’entroterra. Le aree rimanenti sono quindi quella medio-tirrenica che tuttavia presenta infrastrutture portuali di medie dimensioni non in grado di accogliere una mole di traffico marittimo sufficiente e il nord-est, unico caso italiano che vede la presenza di terreno pianeggiante e fortemente urbanizzato con la possibilità di usufrutto delle vie fluviali come “autostrada” verso un entroterra industrializzato. Anche in questo caso vi è la presenza di porti prevalentemente di media portata e principalmente di carattere locale lasciando il ruolo di hub a quello triestino, anche lui incastonato alla base delle Alpi con notevoli limitazioni allo sviluppo dello stesso e delle sue infrastrutture.
Compreso quindi come anche la questione geografica sia un elemento di assoluto rilievo per interpretare le nuove misure del PNRR e per meglio comprendere la relazione tra l’Italia e gli altri attori europei va quindi analizzato il contenuto dello stesso Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza proprio alla luce di quanto considerato sin ora.
Uno dei primi elementi che emerge dal PNRR è come la portualità italiana non solo debba aumentare il proprio livello di competitività internazionale ma anche come molto di questo passi per lo sviluppo dei porti e delle infrastrutture del mezzogiorno, più vicine alle rotte trans-mediterranee passanti per Suez e Gibilterra provenienti dall’Asia e dal continente americano. Punto di estremo interesse è come il concetto di portualità riguardi la rete dei porti in generale, segno che si è compreso come oggi sia necessario parlare di reti di infrastrutture in un contesto in cui l’interconnessione, digitale e “analogica”, è fattore fondamentale per la competitività e segno che la visione in questo settore si sta progressivamente allineando con gli standard internazionali.
Tra le questioni presentate come di primaria importanza vi sono il potenziamento delle infrastrutture e dei servizi digitali e più in generale la competitività del sistema della logistica. I colli di bottiglia hanno ricevuto una particolare attenzione in quanto impediscono un rapido collegamento delle linee ferroviarie nazionali con le infrastrutture portuali: binari inadeguati, distanza eccessiva dei binari dalle banchine e costi elevati delle operazioni di movimentazione nei porti comportano infatti la necessità di sviluppare l’intermodalità portuale e i collegamenti dell’ultimo miglio, soprattutto ferroviari. Queste misure infatti hanno l’obiettivo di aumentare il traffico merci su rotaia del 50% entro il 2030 e di raddoppiarlo entro il 2050 stando ai dati della Strategia per una mobilità intelligente e sostenibile dell’UE. Gli interventi sulla rete, in relazione alle necessità delle infrastrutture portuali, riguarderanno il completamento dei principali assi ferroviari ad alta capacità e la loro integrazione con la rete ferroviaria regionale. Per i porti sono invece programmati interventi volti al raggiungimento di livelli apprezzabili di intermodalità, anche con le linee di comunicazione europee, attraverso lo sviluppo collegamenti con i traffici oceanici e con quelli intermediterranei e lo sviluppo di una logistica integrata attraverso l’ammodernamento e della digitalizzazione del sistema a cui, infine, si affiancheranno misure di efficientamento energetico e di riduzione delle emissioni. Nello specifico è previsto: l’impiego dei procedimenti just in sequence, “l’Industrializzazione” della catena di trasporto tra aeroporti, porti marittimi e dry ports e lo sviluppo della modularità e standardizzazione necessaria per gestire i grandi numeri di merci sbarcate nei porti. Nell’idea del PNRR ciò non solo aumenterebbe la competitività ma avrebbe ripercussioni positive con la riduzione del traffico stradale (trasporto su gomma) e la creazione di posti di lavoro, non solo nelle aree portuali ma anche nell’entroterra, stimolando lo sviluppo economico sia a livello locale che nazionale. Tra gli interventi di rilievo vi è infine lo sviluppo di una Piattaforma Logistica Nazionale (PNL) per la digitalizzazione dei servizi di trasporto passeggeri e merci.
Sempre in un contesto internazionale che vede l’Italia come parte del sistema euromediterraneo devono essere considerate in questa riflessione alcune misure inerenti il trasporto su rotaia non direttamente ascrivibili alle infrastrutture portuali. Gli interventi di maggior rilievo riguardano l’incremento della capacità dei trasporti ferroviari per le merci, lungo gli assi prioritari del Paese Nord-Sud ed Est-Ovest, per favorire il trasferimento del traffico da gomma a ferro sulle lunghe percorrenze. In particolare, nel Nord del Paese è previsto il potenziamento delle tratte ferroviarie Milano-Venezia, Verona-Brennero e Liguria-Alpi, migliorando i collegamenti d’Oltralpe con i porti di Genova e Trieste (fattore che ne ha penalizzato la competitività a favore dei porti nordeuropei). Nel sud gli interventi riguarderanno invece il cosiddetto ultimo miglio ferroviario per la connessione dei porti di Taranto e Augusta.
Alcune considerazioni sul futuro della portualità italiana
Il quadro che emerge dalle misure che sono state incluse nel PNRR è di un paese che ha l’assoluta necessità (e l’obbligo) di livellarsi con gli attori di punta della regione euromediterranea. Le stesse considerazioni fatte nel documento chiariscono come l’Italia sia anni, se non decenni, indietro rispetto a Francia, Germania, Olanda e Belgio a partire da un gravissimo ritardo nella digitalizzazione della rete portuale e, in generale, marittima per arrivare a tutto il relativo network infrastrutturale. La consapevolezza della propria arretratezza non è tuttavia sufficiente a colmare un gap così ampio e richiede un tipo di programmazione a lungo termine, fattore che sarà possibile solo quando si formerà una visione strategica della questione e del ruolo del Paese in chiave internazionale.
Quanto scritto nel PNRR è quindi solo la punta di un iceberg che deve essere portato alla luce in quanto i soli interventi previsti non sono sufficienti, nel medio-lungo periodo a risanare i molteplici ritardi nel settore delle infrastrutture portuali. La ricetta vincente in alti contesti europei è stata il saper sfruttare a proprio vantaggio le condizioni morfologiche del territorio come, ad esempio, l’abbondante presenza di canali e fiumi navigabili. Nel caso italiano la morfologia non aiuta se non nella zona compresa tra il nord delle Marche e Monfalcone in cui il terreno è pianeggiante e il fiume Po offre un canale di navigazione naturale. Ma anche in questo caso si tratta di infrastrutture situate alla fine di un “mare chiuso” come quello Adriatico che impone un tragitto di andata-ritorno alle imbarcazioni provenienti dal Mediterraneo e quindi costi maggiori per il trasporto.
La via che sembra essere stata delineata è quella della ferrovia. Lo sviluppo di una rete ferroviaria più capillare e con maggiore capacità di trasporto permetterebbe quantomeno la riduzione dei costi e delle tempistiche di trasporto con un impatto positivo anche in termini di inquinamento dato che una percentuale rilevante del trasporto su gomma di lunga tratta verrebbe ad essere sostituita. Un piano che porta con sé i suoi rischi in termini di fattibilità e di efficienza ma che si presenta come la soluzione più plausibile per un paese semi-montano fortemente sensibile ai temi delle grandi opere e della salvaguardia ambientale come l’Italia.
Emanuele Appolloni
Geopolitica.info