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Il Perù cambia rotta: Pedro Castillo è il nuovo presidente

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Il 19 luglio 2021 il Jurado Nacional de Elecciones (JNE) ha proclamato Pedro Castillo Terrones come presidente eletto del Perù e Dina Boluarte come vicepresidente per il quinquennio 2021-2026. La nomina di Castillo arriva a 43 giorni dal ballottaggio del 6 giugno e dopo una serie interminabile di ricorsi avanzati dalla candidata liberale Keiko Fujimori. Castillo ha assunto formalmente l’incarico il 28 luglio e avrà l’arduo compito di risollevare l’economia peruviana piegata dalla pandemia.

Le elezioni e il ballottaggio 

Protagonista indiscussa delle elezioni peruviane è stata la frammentazione del voto. Il primo turno (11 aprile) aveva già mostrato, in tal senso, il grado di divisione presente all’interno del Paese andino: infatti, sono stati ben 20 i candidati presidenti che hanno partecipato alla prima tornata elettorale. Di conseguenza, nessuno dei candidati ha superato la soglia del 20% delle preferenze: Pedro Castillo e Keiko Fujimori hanno di poco distaccato (con il 18,9% e il 13,4% rispettivamente) gli altri candidati Rafael Lopez Aliaga (11,7%) e Hernando de Soto (11,5%). La stessa frammentazione è poi emersa al ballottaggio svoltosi il 6 giugno scorso, in cui i candidati vincitori del primo turno, ovvero Pedro Castillo e Keiko Fujimori, sono stati separati da poche migliaia di voti (circa 45 mila). Nonostante lo scrutinio ufficiale fosse finito martedì 15 giugno, ovvero più di un mese fa, le autorità elettorali peruviane non hanno potuto proclamare un vincitore a causa delle numerose denunce di frode avanzate dal partito di Keiko Fujimori, arrivate congiuntamente alle richieste di annullamento di circa 200 mila schede elettorali. I risultati ufficiali emessi dalle autorità peruviane, però, hanno confermato Pedro Castillo vincitore con 8.836.380 voti a discapito di Keiko Fujimori, alla sua terza candidatura presidenziale, che ne ha ottenuti 8.793.117. 

Chi è il nuovo Presidente del Perù

Pedro Castillo è laureato in pedagogia ed è stato maestro di scuola nelle zone rurali del nord del Perù. Il suo ingresso in politica rappresenta una novità all’interno della sua carriera; infatti, visto l’insuccesso della sua candidatura a sindaco di Anguía nel 2002, la partecipazione alle elezioni presidenziali, ufficializzata nel 2020, può essere considerata come il suo esordio assoluto nel mondo della politica.

Pertanto, durante la campagna elettorale, Castillo si è presentato come volto nuovo della politica peruviana, proponendosi come un candidato lontano da quell’establishment che ha portato il Paese ad avere quattro presidenti in cinque anni e che ha causato un profondo malcontento dei cittadini nei confronti dei partiti tradizionali. La sua carriera lontano dalla politica, dunque, gli ha permesso di rimanere estraneo ad episodi controversi, nonostante il fondatore del suo partito, Vladimir Cerrón, sia stato condannato proprio per corruzione. 

Il partito che lo sostiene, Perú Libre, si dichiara d’ispirazione “marxista-leninista”, ma il neoeletto Presidente, durante i suoi discorsi (soprattutto a ridosso del secondo turno elettorale) ha cercato di moderare le sue posizioni. Sicuramente il suo piano di governo si avvicina, per molti aspetti, a quello di Morales in Bolivia e di Correa in Ecuador. Lo stesso ex Presidente boliviano ha ammesso nel corso di un’intervista le numerose similitudini tra le proposte di Perú Libre e quelle del MAS (partito di governo in Bolivia). In sostanza, Castillo propone una serie di riforme strutturali volte a cambiare l’assetto economico del Paese e ad incentivare la presenza dello Stato nell’economia, invertendo il sistema liberista iniziato nel 1993 dal presidente Alberto Fujimori. 

Per poter realizzare tali misure, il neopresidente ha proposto la convocazione di un’assemblea costituente, che risulta tuttavia difficile vista la mancanza di una maggioranza assoluta al congresso, essenziale per l’approvazione delle riforme costituzionali. Questo obbligherà Castillo ad una eventuale concertazione con la rivale Keiko Fujimori e le altre forze congressuali. Le altre proposte presentate comprendono l’aumento della tassazione per le imprese nazionali e straniere, l’aumento degli investimenti pubblici tanto nell’istruzione quanto nella sanità e infine la revisione dei contratti con le imprese multinazionali che operano nel settore minerario. Quest’ultima misura è volta a garantire una maggiore presenza dello stato nell’economia, che possa assicurare un incremento delle entrate pubbliche. Infine, è stato anche menzionato un aumento delle imposte sulle importazioni di beni che già vengono prodotti in Perù per salvaguardare la produzione interna (soprattutto di prodotti agricoli). 

Il Perù come il Venezuela?

Le proposte che hanno portato Castillo a diventare il nuovo presidente del Perù non saranno facili da realizzare per due motivi principali: il primo è rappresentato dalla spaccatura a cui il congresso sarà sottoposto, che presupporrà una continua mediazione con le forze di opposizione. Le elezioni, come segnalato in precedenza, hanno mostrato una profonda divisione presente nel Paese, in particolare tra le zone rurali (a favore di Castillo) e quelle metropolitane (a favore della Fujimori). Inoltre, la gran parte dei voti ricevuti da Castillo sono pervenuti da cittadini stanchi della corruzione dilagante nel paese e, quindi, espressione più del sentimento antifujimorista che di una sincera adesione alla linea politica del neoeletto Presidente. Questo obbligherà Castillo ad assumere posizioni più moderate per evitare di perdere consensi nel corso del suo mandato. 

Molti analisti, inoltre, hanno espresso perplessità sul piano di governo proposto dal partito Perú Libre, accusandolo di violare i trattati di libero commercio di cui è membro il paese. Sono infatti numerosi i timori, soprattutto nel mondo imprenditoriale, che associano il nuovo Perù di Castillo al Venezuela di Chavez e Maduro. A tal proposito, è opportuno fare alcuni chiarimenti. 

Innanzitutto, vale la pena sottolineare la solidità che hanno dimostrato le istituzioni peruviane nonostante le numerose contestazioni e un clima sociale esacerbato dalla grave situazione economica e sanitaria. Questo, infatti, rappresenta di per sé un motivo di rassicurazione per la democrazia peruviana che ha, peraltro, ricevuto numerosi elogi, provenienti soprattutto dall’Organizzazione degli Stati Americani, per la correttezza in cui si sono svolte le elezioni. Inoltre, lo stesso Castillo ha più volte espresso chiaramente la sua lontananza sia dal chavismo che dal comunismo. Durante un comizio, ha espressamente dichiarato di non essere comunista e di rispettare la proprietà privata, poiché “i peruviani sono lavoratori, imprenditori e nessuno vuole destabilizzare il Paese”. 

L’altro aspetto da chiarire è che, comparando il Perù con il Venezuela di Chavez, emerge una grande differenza: il Paese andino, infatti, a differenza di Caracas, non è dotato di risorse energetiche tali da garantire entrate illimitate da destinare al finanziamento di un piano di riforme radicali, senza che questo comporti la perdita del legame di fiducia con la popolazione civile. Nel caso venezuelano questo aspetto è risultato, almeno nelle fasi iniziali, un elemento chiave per l’attuazione del programma rivoluzionario voluto da Chavez. Inoltre, come già menzionato, la base popolare in favore di Castillo è del tutto insufficiente, se comparata a quella di Chavez, per poter accostare i due casi. 

Le sfide da affrontare 

Le principali sfide cui dovrà far fronte il governo di Castillo sono senza dubbio quelle economiche. Il Perù, infatti, è stato tra i paesi maggiormente colpiti dalla pandemia, sia in termini di vittime che di perdite economiche: solo nel 2020, il PIL ha registrato perdite dell’11%. Cifre enormi per un paese in cui il 20% della popolazione vive in condizioni di povertà. Dal punto di vista politico, invece, la sfida principale è rappresentata dalla stabilità. Il Paese andino viene da anni di grande incertezza politica, tanto da nominare, nel novembre scorso, tre presidenti in appena dieci giorni. Castillo, dunque, avrà il compito di invertire questa rotta. Tuttavia, come detto in precedenza, l’operazione non sarà certamente semplice, visti i numeri al congresso, dove il partito Perú Libre controlla solamente 37 seggi su 130. 

Dal punto di vista della politica estera, infine, il programma di governo prevede posizioni antiimperialiste in favore di organizzazioni che non siano subordinate agli Stati Uniti, accusati dal partito di Castillo di aver creato un sistema politico ed economico che favorisce una dipendenza strutturale dei paesi latinoamericani nei confronti di Washington. A tal proposito, propone di promuovere il dialogo all’interno di organizzazioni internazionali come l’ECLAC, ovvero la Comunità degli stati latinoamericani e caraibici, che risultano essere indipendenti dalla volontà statunitense e che permettono, secondo il partito di Castillo, di risolvere i problemi regionali in autonomia. All’interno del programma, inoltre, vengono menzionati dei personaggi (Fidel Castro, Nicolás Maduro, Daniel Ortega, Rafael Correa, Evo Morales) cui bisognerebbe fare riferimento per “ridare dignità al continente”. 

Il nuovo Perù di Castillo si inserisce, dunque, all’interno di un contesto regionale in cui la sinistra sembrerebbe tornare ad occupare posizioni di potere. In tal senso, il ritorno di Lula in Brasile, dato come assoluto favorito per le elezioni del 2022,  i bassi livelli di consenso di Iván Duque in Colombia, che favoriscono il candidato di centrosinistra Gustavo Petro, e le prossime elezioni presidenziali cilene, che vedranno come protagonista la coalizione di sinistra “Apruebo Dignidad”, saranno decisive per capire se tale tendenza verrà confermata e quale sarà il futuro della regione. 

Corsi Online

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