Fin dal principio, la presenza della Russia in Libia è stata guidata dalla proiezione di potenza di Mosca nella regione del Mediterraneo Allargato. Essa è dettata della secolare propensione verso i mari caldi e dal ricorso alla politica di potenza per contrastare l’influenza della NATO nel Mediterraneo, nel Medio Oriente e in Africa. L’intervento russo in Libia, tuttavia, è sempre stato difficile da interpretare. In un contesto a geometria variabile quale il conflitto libico, il Cremlino ha condotto una diplomazia proteiforme in virtù dell’assenza di un coinvolgimento militare diretto. Ricorrendo alla tattica della guerra ibrida, Mosca si è ritagliata un ampio margine di manovra mediate i risultati della compagnia militare privata del Gruppo Wagner sul territorio libico. Sullo sfondo del supporto militare ed economico al Generale Khalifa B. Haftar, il Cremlino ha sviluppato una politica estera che spazia da Tripoli (sede del Governo di Unità Nazionale – GNU) alla rivale Tobruk (sede della Camera dei Rappresentanti – HoR), senza sottrarsi al sostegno ufficiale dell’iniziativa di pace dell’ONU.
Dall’Ucraina alla Libia: il vettore di proiezione meridionale
La rinnovata assertività russa in campo internazionale si è resa evidente nel Febbraio del 2014 quando, a seguito delle proteste di Euromaidan, Mosca invase e per poi annettere la Crimea, primo banco di prova della “guerra ibrida” del Cremlino. Una volta consolidata la posizione nel Mar Nero, Mosca volse quindi la sua attenzione alla Siria. Nel 2015, Putin decise di intervenire a sostegno del vacillante regime di Bashar al-Assad attraverso aiuti militari diretti e il ricorso alle tattiche di guerra ibrida. L’appoggio del Cremlino, tuttavia, celava l’obiettivo di ritagliarsi uno sbocco strategico sul Mar Mediterraneo. Per assicurarsi il patrocinio di Mosca, infatti, Damasco si impegnò fin dal principio a mettere a disposizione la base navale di Tartus, ceduta definitivamente con l’accordo del gennaio 2017. In questo contesto, Tartus si trasformò nella testa di ponte della proiezione del Cremlino nel Mediterraneo, prefigurando la strada verso il coinvolgimento russo in Libia. Mosca era ben consapevole che la Libia era la chiave di volta che avrebbe assicurato la protezione degli interessi russi nel Mediterraneo Orientale e agevolato la proiezione verso il Sahel e l’Africa Subsahariana. La strategica posizione geografica della Libia, quale crocevia tra Europa, Africa e Medioriente, indusse quindi la leadership russa a prestare supporto militare ed economico al Gen. Haftar nel 2016.
La diplomazia polimorfa del Cremlino
Nel 2017, dopo la visita di Haftar sulla portaerei russa Admiral Kuznetsov, la nuova strategia di Mosca divenne evidente. Il Cremlino, nonostante sostenesse l’iniziativa di pace dell’ONU, puntò su Haftar per ritagliarsi un maggiore margine d’azione diplomatica. Tuttavia, l’alleanza tra Mosca e l’uomo forte della Cirenaica era alquanto labile: la leadership russa ha infatti sempre ponderato il supporto ad Haftar con il fine ultimo di influenzarlo per i propri interessi, senza mai lasciarsi andare a dichiarazioni di sostegno ad oltranza. L’opportunismo e la pragmaticità di Putin sono facilmente osservabili durante la sconfitta di Haftar alle porte di Tripoli nel giugno del 2020. Quando il Cremlino si accorse che l’avanzata del fronte orientale volgeva verso un’inesorabile disfatta, la Russia decise infatti di “ritirarsi” dagli scontri intorno la capitale, trovando il supporto della Turchia che garantì alle forze russe la possibilità di lasciare Tripoli indenni. Dopo la disfatta di Haftar, Mosca ricorse immediatamente ad un caposaldo della sua politica in Libia: il piano di riportare in campo gli attori politici, tecnocrati e membri dell’apparato di sicurezza precedentemente leali a Gheddafi, essenzialmente con il fine di ripristinare i contratti economici siglati prima della caduta del Ràis. Il Cremlino ha infatti sommessamente lavorato per rendere Haftar sempre meno indispensabile alla sua agenda nella Libia orientale. Non è un caso che dopo il fallimentare annuncio di Haftar di formare un nuovo governo con base a Tobruk, il Ministro degli Esteri S. Lavrov abbia iniziato a riferirsi ad Aguila Saleh (Presidente della HoR) quale interlocutore diretto di Mosca. Nella sua strategia diplomatica, la Russia ha inoltre fatto ricorso al potere di veto in seno al Consiglio di Sicurezza dell’ONU per tutelare i propri interessi geopolitici. Nel settembre del 2021, ad esempio, Mosca si oppose all’estensione della missione ONU e al ritiro di truppe straniere e gruppi paramilitari. La posizione della Russia in Libia si inserisce in quella che può essere definita una “strategia attendista”. Putin vuole evitare un pieno coinvolgimento nella crisi libica che potrebbe restringere il suo raggio d’azione, adattando così la propria politica estera agli avvicendamenti politico-militari.
Il Gruppo Wagner come strumento di politica estera
Precludendo un intervento militare diretto, la Russia decise di fare ricorso alla guerra ibrida. Nel 2018, il Cremlino favorì il dispiegamento del Gruppo Wagner a sostegno di Haftar. Tuttavia, seguendo il “modello siriano”, il dislocamento della compagnia militare era guidato dall’obiettivo di salvaguardare gli interessi geopolitici ed economici della Russia. Questa strategia era atta a conferire a Mosca una fondamentale moneta di scambio nelle negoziazioni, rappresentata plasticamente dall’occupazione da parte del Gruppo Wagner dei ricchi giacimenti petroliferi, tra cui El Sharara, la più grande riserva petrolifera libica. In aggiunta, durante la ritirata da Tripoli, le forze di Prigozhin si trincerarono lungo la cosiddetta Linea di Sirte e presero il controllo di importanti basi aeree militari (Jufrah, al-Khadim, e Qardabiyah), fondamentali per la proiezione di Mosca nella regione. Il Cremlino mise inoltre in moto la “Russian Troll Farm”, dando il via ad una campagna propagandistica con lo scopo di ripulire l’immagine del LNA e l’identità narrativa di Haftar: mentre Mosca utilizzava canali e siti internet arabi, il Gruppo Wagner impiegò localmente la Internet Research Agency (IRA), ovvero il proprio strumento di disinformazione, con l’obiettivo di veicolare la nuova narrazione. Per quanto concerne il rifornimento di armamenti, è estremamente complicato delineare il coinvolgimento della Russia. Nel 2020, dopo il ritiro delle truppe della Wagner da Tripoli, un giornalista della BBC trovò un tablet Samsung nel quale vi era una dettagliata “lista della spesa” di armi tipicamente prodotte in Russia. Nello stesso anno, il Pentagono pubblicò immagini satellitari che mostravano la presenza di armamenti di fabbricazione russa. Nel complesso, il Gruppo Wagner ha reso il Cremlino scevro dai rischi politici di un coinvolgimento militare diretto in una guerra profondamente caratterizzata da violenza indiscriminata e violazioni del diritto internazionale. La guerra ibrida orchestrata dal Cremlino ha così permesso a Putin di acquisire le necessarie conquiste tattiche fondamentali per attuare una diplomazia multidirezionale e proteiforme.
L’avanzata del Gruppo Wagner e la tela diplomatica intessuta da Putin negli ultimi anni hanno permesso alla Russia di divenire un interlocutore imprescindibile nella crisi libica. La posizione di Mosca in Libia ha acquisito ancor più valore geopolitico dall’inizio della guerra in Ucraina. Il dossier libico è divenuto infatti cruciale per il Cremlino in quanto si è trasformato in uno strumento di ostruzione agli sforzi dei paesi europei di limitare la loro dipendenza energetica dalla Russia. Nonostante l’ammutinamento e poi la morte di Evgenij Prigozhin abbiano inizialmente diffuso preoccupazioni, il Cremlino aveva prontamente agito per mantenere lo status quo nei teatri operativi del Gruppo Wagner. Dopo la sedizione di Prigozhin, il Cremlino ha orchestrato infatti un latente piano di destituzione senza turbare i fruitori del Gruppo Wagner, così come evidenziato dalla visita in Libia del Viceministro della Difesa Yunus-Bek Yevkurov un giorno prima della morte dello chef di Putin. La manovra di Putin si è così mossa nel solco della strategia di tutela degli interessi geopolitici ed economici di Mosca in Libia così come negli stati del Sahel e dell’Africa Subsahariana. Rimane tuttavia da osservare se le ultime vicende potranno sollevare lo schopenhaueriano “velo di Maya” sul rapporto tra il Cremlino e il Gruppo Wagner (o nuove compagnie militari private che lo sostituiranno), inficiando così la strategia russa in Libia.