Il legame tra Mezzogiorno d’Italia e geopolitica non è ascrivibile esclusivamente all’emergenza migranti o ai fulcri d’instabilità regionale del Mediterraneo allargato. Oltre Lampedusa c’è di più. Questa è una tesi che sta tornando in voga nel dibattito in questi giorni, specie dopo l’annuncio dell’adesione di Roma alla “Partnership for global infrastructure and investimento and India-Middle East-Europe economic corridor” (Pgii), durante il G20 di Delhi.
L’ormai certa uscita dell’Italia dalla “Belt and Road Initiative” – che non aveva apportato benefici maggiori a Roma rispetto agli accordi già precedentemente in vigore con Pechino e che, anzi, l’ha dovuta spingere ad una serie di dimostrazioni di “fedeltà atlantica” successive – apre prospettive strategiche diverse per il sud della Penisola.
La “Via della Seta” aveva a Trieste il suo porto di riferimento sul fronte meridionale ed il Mezzogiorno era chiaramente escluso dai traffici commerciali – e, quindi, anche dalla valenza politica del patto – in partenza o diretti verso la Cina. Nel processo costitutivo della Pgii e poi nello sviluppo della sua operatività, che comunque non vi sarà prima del 2024, sarà la triade dei porti tirrenici Gioia Tauro-Salerno-Genova ad essere valorizzata lungo la rotta indo-araba passante per Suez.
La “cintura” dei porti italiani e dello scalo maltese di Marsaxlokk (Marsa Scirocco) avrà il compito di ricevere e smistare verso la Spagna e l’entroterra europeo le merci provenienti da India, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita.
Attualmente, il porto di Gioia Tauro, che per volumi di traffico è uno dei più importanti d’Europa e del Mediterraneo, è nell’occhio del ciclone perché la tassa sulle emissioni delle navi voluta dall’Unione europea rischia di affossarne le potenzialità, con l’estensione della “Fit for 55”, inizialmente prevista solo per le acciaierie, al trasporto marittimo.
Ma Gioia Tauro resta comunque una infrastruttura in grado di primeggiare nel Mare Nostrum, grazie alla sua funzione di “smistamento e trasporto” svolto lungo una importantissima rotta commerciale, diventata sempre più importante dopo lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina e la conseguente perdita d’importanza delle rotte terrestri dirette da Oriente al cuore dell’Europa centro-settentrionale.
La “Via del Cotone” indo-araba può riaprire per il sud uno spazio commerciale da poter sfruttare, connesso al tentativo di affermare una nuova centralità italiana nel Mediterraneo, anche per lo sviluppo nazionale. I dati sul volume delle esportazioni di Campania e Calabria, superiori a quelli delle altre regioni d’Italia nel primo semestre del 2023, lasciano pensare che il Mezzogiorno possa davvero essere, nel sistema integrato della Pgii, un “anello fondamentale”.
Sul quotidiano napoletano “Roma”, Vincenzo Nardiello ha scritto un significativo articolo intitolato “La sfida mediterranea per il rilancio del Sud“, sottolineando proprio l’importanza della svolta “indiana” del governo Meloni per il Mezzogiorno. Per Nardiello, la politica mediterranea dell’Italia è la “cosa più meridionalista” fatta nell’ultimo quarantennio.
Anche un altro quotidiano d’area meridionalista, “Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia”, ha una chiara linea geopolitica che propende per una rinnovata attenzione e centralità dell’Italia nel Mediterraneo. Del neo-meridionalismo, viene così recuperata l’idea di una centralità dell’azione statale per lo sviluppo economico, in relazione alla realizzazione e/o potenziamento delle grandi infrastrutture logistiche, portuali e ferroviarie; ma ciò che cambia è la grande attenzione data alla politica estera, che è più figlia del meridionalismo liberale otto-novecentesco di Pasquale Villari, Leopoldo Franchetti, Sidney Sonnino e Antonino di San Giuliano, che dei keynesiani neo-meridionalisti del dopoguerra.
Mentre il tradizionale meridionalismo pretende, generalmente, da Roma una “sosta” in politica estera ed è avverso ad ogni assertività, sottolineando come l’arretratezza del Mezzogiorno sia d’ostacolo a qualunque spinta “geopolitica” attiva, stavolta si evidenzia come la centralità del Mediterraneo e la partecipazione alla stabilizzazione dell’Africa ed al contrasto della crescita delle influenze nel continente nero di Russia e Cina siano tra le soluzioni al problema economico-sociale del Mezzogiorno.
A dettare la linea è più una riproposizione del meridionalismo espresso da “La Rassegna Settimanale” di Sonnino, Verga, Salandra e Guicciardini, che non di quello socialista o comunque d’impronta progressista dei circoli salveminiani o nittiani.
Il meridionalismo nella sua versione “geopolitica”, si innesta nel filone della politica estera italiana che punta sulla strategia del Mediterraneo allargato e della sua connessione indo-pacifica.