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Il nord della Nigeria ancora nella morsa di Boko Haram

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Un nuovo attacco ha violentemente colpito il Borno State, roccaforte dell’organizzazione islamista che da oltre dieci anni impegna il governo nigeriano in una lotta per ora senza definitivo successo. La guerra a Boko Haram sembra ben lontana dall’essere conclusa, e per il Global Terrorism Index 2020 la Nigeria si colloca al terzo posto, dopo Afghanistan e Iraq, dei Paesi più colpiti dal terrorismo.

Lo scorso 28 novembre almeno centodieci persone sono state uccise nei pressi di Maiduguri, principale centro del Borno State. Le vittime sono tutte civili, lavoratori agricoli impiegati nei campi di riso della zona ma provenienti dallo Stato nord-occidentale di Sokoto. Fin da subito è stata chiara la matrice terroristica dell’attentato, il più grave di quest’anno, confermata poco dopo dalle rivendicazioni giunte con un video da parte di Boko Haram.   

Lo stato nordorientale del Borno è ad oggi il primo dei 36 stati federali della Nigeria per numero di incidenti e di vittime. Oltre a Boko Haram – espressione in lingua hausa con cui comunemente si designa il gruppo Jamaat Ahl as-Sunnah Lid Dawa wa al-Jihad (JAS) – qui opera anche lo Stato Islamico dell’Africa occidentale (ISWAP).

Boko Haram nasce nei primi anni Duemila attorno alla figura di Mohammed Yusuf, carismatico predicatore salafita. La setta ambiva alla creazione di uno Stato islamico nel nord della Nigeria, abitato in prevalenza da popolazioni musulmane, impegnandosi talvolta in schermaglie poco significative contro le forze di sicurezza. Nel 2009 Yusuf muore mentre si trova sotto custodia della polizia, e l’evento costituirà un importante punto di svolta nell’evoluzione della setta. In breve tempo il gruppo si ricostituisce sotto una nuova leadership, più feroce, intessendo relazioni con le altre organizzazioni jihadiste attive nella regione.

L’ISWAP è invece frutto di una scissione. Nel marzo 2015 l’allora leader di Boko Haram Abubakar Shekau giurò fedeltà allo Stato islamico, comportando così la formale adozione del nome ISWAP da parte dell’intera organizzazione. Dissidi tra Shekau e la leadership centrale dello Stato Islamico portarono l’anno successivo alla nomina di Abu Musab al-Barnawi, presunto figlio di Yusuf, alla guida dell’ISWAP. Il rifiuto di Shekau di riconoscere il nuovo leader causò quindi la separazione: l’ISWAP di Al-Barnawi ha da quel momento principalmente concentrato le sue attività in prossimità del lago Ciad, mentre i militanti sotto la guida di Shekau, sotto il ritrovato nome di Boko Haram/JAS, hanno mantenuto la loro roccaforte proprio in Borno State.

Oltre 35.000 sono state le vittime che Boko Haram ha causato con i suoi attentati, che dal 2010 con sempre maggiore frequenza e letalità hanno colpito la Nigeria. Il governo nigeriano ha con fatica risposto alle crescenti minacce dell’organizzazione, ostacolato dall’inadeguata preparazione delle sue forze armate e dalla corruzione pervasiva in tutti i livelli istituzionali. Dal 2011 le sue truppe sono state impiegate negli stati più colpiti in operazioni di contro terrorismo, spesso supportate da gruppi di vigilantes volontari, collettivamente indicati con il nome di Civilian Joint Task Forces.

Più volte il governo di Abuja ha dichiarato che l’insurrezione jihadista è terminata e Boko Haram “tecnicamente sconfitto”. Sebbene le autorità nigeriane siano effettivamente riuscite a rientrare in controllo di porzioni di territorio prima nelle mani degli islamisti, appare chiaro come esse non siano tuttavia riuscite ad annientare le capacità di azione e reazione di questi ultimi. Al contrario, la frequenza degli attacchi ha registrato un aumento negli ultimi mesi e ad esserne colpiti sono stati spesso proprio i civili, accusati di collaborazionismo con le autorità statali e le milizie pro-governative.

La percepita assenza di significativi progressi contro il terrorismo che imperversa nel nord comincia a far male al governo del Presidente Buhari, che, come il suo predecessore Goodluck, viene accusato di non fare abbastanza per proteggere i suoi cittadini più vulnerabili. Critiche che vanno ad aggiungersi ad un malcontento già presente e violentemente espresso su altre questioni calde, come ad esempio accaduto di recente con le proteste del movimento “End SARS” contro la brutalità delle forze di polizia.

Martina Matarrelli,
Geopolitica.info

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