Dopo decenni di pace, il 24 febbraio 2022, il fantasma della guerra è tornato, e le conseguenze di questo evento sono importanti per il futuro dell’Unione. La risposta all’invasione, con poche eccezioni, è stata ferma, ma la rilevanza dei contributi economici e militari all’Ucraina è molto diversa tra gli alleati, mancando una vera pianificazione e con un contributo importante proveniente dagli Stati Uniti. Dopo un anno di combattimenti, la questione del coordinamento del sostegno a Kiev è ancora un tema dibattuto, lasciando spesso l’iniziativa a singoli paesi. Quali sono le prospettive di una cooperazione europea in materia di sicurezza?
Panoramica della reazione dell’Europa
Dopo l’immenso shock che ha seguito l’invasione e la resistenza inaspettata dell’esercito ucraino, i membri della NATO e dell’Unione europea si sono ritrovati in una complessa impasse. Come risolvere a breve e lungo termine le crescenti esigenze militari ed economiche di Kiev necessarie per arrestare l’esercito russo e riconquistare le terre sottratte? Parlando dei fatti, la maggior quantità di aiuti proviene chiaramente dagli Stati Uniti, con 113 miliardi di dollari approvati dal Congresso nell’anno fiscale 2022, di cui circa 70 miliardi già utilizzati in aiuti militari e finanziari secondo l’istituto economico di Kiel.
Ci sono molteplici ragioni per spiegare questa magnitudo: la storica assertività di Washington, la disponibilità di scorte negli arsenali statunitensi, e un’occasione unica per neutralizzare un vecchio avversario. Naturalmente, queste non sono le uniche risorse mobilitate per aiutare Kiev: le istituzioni dell’Unione Europea e diversi paesi europei inviano aiuti diretti e offrono sostegno in settori come l’accoglienza e l’aiuto ai rifugiati, la condivisione di informazioni con l’intelligence ucraina, l’applicazione di sanzioni commerciali e finanziarie contro la Russia e così via. In totale, i contributi provenienti dagli Stati membri dell’UE e da altri paesi europei sono vicini alla somma proveniente dagli Stati Uniti, pari a circa 68 miliardi di euro.
Ma il diavolo sta nei dettagli, e se separassimo le diverse forme di aiuto, è chiaro che senza il massiccio supporto militare di Washington, è probabile che sul campo difficilmente si osserverebbe una controffensiva. Infatti sul totale dei finanziamenti, “solo” 21 miliardi, più 6 provenienti dal Regno Unito, sono collegati alle forniture militari necessarie per il mantenimento delle operazioni belliche. L’impegno militare europeo può essere definito come “singhiozzante”: ad esempio, dopo i primi mesi di conflitto in cui sono state inviate attrezzature e armi per più di 20 miliardi di euro per sostenere la difesa, i flussi di materiale sono rallentati di molto, per poi riprendere ad aumentare quando era necessario fornire a Kiev sistemi di difesa aerea per proteggere le principali città e le truppe e contrastare l’offensiva invernale russa, come suggerito dall’Istituto economico di Kiel.
Un simile schema è osservabile nel 2023, quando dopo un inverno pieno di contributi necessari per preparare la controffensiva, si osserva un cambiamento nel flusso in termini negativi. Naturalmente, vi sono molti settori essenziali in cui l’aiuto europeo è prevalente, sia in termini di donazioni umanitarie che finanziarie, e c’è una bozza di impegno a lungo termine per la protezione di Kiev. Esempi di questo investimento prolungato sono i contratti firmati con il gigante tedesco Rheinmetall per la fornitura di munizioni, veicoli e carri armati ristrutturati, nonché per la costruzione di una fabbrica sul territorio ucraino in collaborazione con Ukroboronprom. Un’altra iniziativa di origine tedesca è il “Ringtausch“, un programma di compensazione per incoraggiare i paesi orientali a donare veicoli, munizioni e sistemi d’arma dell’epoca sovietica in cambio di ricevere controparti moderne dalle industrie tedesche. Questi sono certamente segnali positivi, ma non possiamo nascondere l’impatto moderato al fine di rinnovare la stabilità del continente.
Occidente versus Oriente: prospettive diverse
La crisi iniziata nel 2022 ha avuto un grande impatto sull’Europa, ma il significato di questo evento non è lo stesso per tutti i paesi. La maggioranza degli ex membri del Patto di Varsavia è pienamente impegnata dall’inizio del conflitto per contrastare l’invasione russa, con la Polonia e gli Stati baltici alla testa del gruppo, e in tempi recenti, una dichiarazione di undici stati balcanici, tra cui la Serbia, un alleato storico della Russia, ha confermato il loro sostegno unificato a Kiev. Una chiara motivazione per questo approccio diretto, a differenza della reazione iniziale dei paesi dell’Europa occidentale, si trova nell’occupazione storica dell’ex Unione Sovietica e in tutte le tracce lasciate da quel periodo, ma è anche una questione di sicurezza in luoghi in cui solo l’alleanza NATO concede una forma di protezione reciproca.
Per i due nuovi membri aggiunti alla lista della NATO come conseguenza diretta della guerra, altri vecchi membri sono meno soddisfatti di lasciare tutta la responsabilità all’alleanza per affrontare le questioni di sicurezza. Particolare è l’esempio della Polonia, leader nell’Unione europea come uno dei maggiori donatori militari verso Kiev e in processo di espandere le sue forze armate in numeri senza precedenti, con una spesa prevista di almeno il 4% del suo PIL per la difesa entro il 2024.
Un altro segno di diverse vedute su cosa fare in termini pratici è la dichiarazione di Tallinn, che ribadisce la necessità di fornire agli ucraini tutto il sostegno e gli strumenti di cui hanno bisogno per respingere i russi fuori dai confini internazionali. Non sorprende che sia stato firmato nel gennaio 2023 dai rappresentanti di Estonia, Regno Unito, Polonia, Lettonia, Lituania, Danimarca, Repubblica Ceca, Paesi Bassi e Slovacchia, e corrisponda anche ai paesi il cui contributo è maggiore rispetto alla propria economia. Le nazioni occidentali, ad eccezione del Regno Unito, hanno dimostrato meno cooperazione e decisione a sostegno della causa di Kiev, nonostante gli innegabili contributi dispiegati. Questo è il risultato di numerose e lunghe discussioni su quali e quanti sistemi debbano essere consegnati al governo ucraino, come il prolungato dibattito sulle forniture di armi pesanti. In ordine: artiglieria a lungo raggio all’inizio dell’estate 2022, sistemi di difesa aerea nell’autunno del 2022, e carri armati nell’inverno del 2023, tutto in nome di una lenta escalation il cui risultato principale è allungare i tempi di risoluzione del conflitto. A questo punto sorge una domanda: cosa sta facendo l’Unione Europea per correggere questa situazione?
Integrazione o status quo?
Il nuovo livello di crisi raggiunto ha portato alla consapevolezza dello stato generale della difesa europea, che per lungo tempo si è affidata al suo potente alleato nordamericano. Qualcosa sembra muoversi nell’ultimo anno: in primo luogo, la nuova strategia chiamata Strategic Compass, dichiarata nel marzo 2022 dalla Commissione Europea con l’obiettivo di sviluppare una serie di nuovi strumenti come un corpo di intervento rapido di almeno 5000 unità, una strategia comune su spazio, la Cyber security e il controllo marittimo, più un importante aumento del bilancio militare da parte di tutti i membri e una stretta cooperazione con la NATO, l’ONU, ASEAN e altri partner nell’organizzazione dell’OCSE. Più focalizzata sul breve periodo è la legge a sostegno della produzione di munizioni, basata sulle osservazioni sulle necessità per un conflitto su vasta scala come si vede in Ucraina.
I problemi principali relativi alla costruzione di una infrastruttura di difesa comune per l’Europa sono rispettivamente i tempi di attuazione delle politiche e all’effettiva volontà dei governi di sostenere questi investimenti. Come spiega un report di Politico, diversi amministratori delegati e rappresentanti della difesa industriale europea si lamentano della mancanza di ordini per promuovere gli investimenti effettuati al fine di sostenere la crescente necessità di rifornire le scorte europee e di mantenere aperto il flusso di aiuti all’Ucraina.
Un’altra questione sottolineata nella relazione è la difficile gestione dei progetti di joint venture, dove gli interessi e le esigenze nazionali differenti ritardano il processo di sviluppo e creano sfiducia tra i partner. Esempi di questo sono il Future Air Combat System, progetto franco-tedesco su un nuovo velivolo da combattimento, e il simile programma Global Compact Air Programme guidato dall’Italia, dal Regno Unito e dal Giappone, progetti simili ma sovrapposti che evidenziano i problemi di coordinamento e sviluppo tra paesi membri e che di fatto rallentano l’entrata in servizio di questi mezzi e ne complicano la logistica comune. Un caso simile è il Main Ground Combat System, un progetto per la creazione di un carro armato comune per sostituire i vecchi e differenti modelli in uso, ma le continue discussioni tra Francia e Germania sulla realizzazione stanno allungando i tempi, causando una perdita di interesse tra alcuni potenziali partner che spostano la loro attenzione verso industrie extra-europee. La Polonia è il principale esempio di questo processo, intenzionata ad acquistare sistemi d’arma coreani e americani.
Infine, la già discussa tendenza ad affidarsi a industrie extraeuropee, in particolare quelle degli Stati Uniti, è particolarmente visibile nei paesi dell’Europa orientale, che sentono l’urgenza di costruire un sistema di difesa forte e aggiornato contro la minaccia proveniente dall’est. Le difficoltà nella costruzione di un’architettura di difesa integrata per l’Europa sono numerose ed alcuni passi stanno cominciando a essere compiuti, ma il problema riguarda i tempi in cui queste strategie verranno implementate, con il concreto rischio di essere nuovamente impreparati allo scoppio di un’altra crisi. La vera questione in questo momento è più politica che tecnica: l’Europa è davvero pronta a mettere da parte i diversi interessi nazionali per salvaguardare il benessere comune e i principi cardinali della sua Unione? La risposta a questo interrogativo potrebbe valere una trasformazione chiave per il futuro del vecchio continente, ma vi sono ancora molti nodi decisivi che andranno risolti e i tempi con i quali verranno affrontati ci diranno di più sulla futura faccia della difesa Europea.