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NotizieIl mondo dopo il COVID-19: competizione e frammentazione internazionale

Il mondo dopo il COVID-19: competizione e frammentazione internazionale

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L’emergenza coronavirus ha accelerato alcuni processi internazionali che costituivano già la cifra fondamentale della nostra epoca. Si fa riferimento, anzitutto, alla competizione tra Stati Uniti e Repubblica Popolare Cinese (RPC), che ha fatto intravedere a molti analisti il profilarsi della “trappola di Tucidide”. In secondo luogo, al graduale allontanamento dell’Europa dalle priorità strategiche di Washington e alle lacerazioni interne al nostro continente.

Più in generale, la crisi appare quale epifenomeno di un mutamento di interazione tra le grandi potenze che ha preso forma sia nella dimensione distributiva (relativa a come è diffuso il potere tra gli attori), sia in quella normativa (relativa ai fondamenti etico-giuridici dell’ordine internazionale), e che trova la sua origine nella monumentale ascesa della Cina.

All’interno di tale perimetro politico-strategico, tuttavia, non è ancora chiaro se la crisi COVID-19 presenti più rischi o più opportunità per Pechino. Il suo atteggiamento, d’altronde, è apparso ondivago. E non per volubilità, ma per consapevolezza delle proprie risorse e dei propri limiti. La RPC, infatti, si è dimostrata fragile in tema di proposte concrete per il contrasto al virus. Al netto delle ambiguità nel rapporto con l’OMS e dell’opacità su quanto avviene nei laboratori di ricerca nel Paese, anche la proposta della Health Silk Road è apparsa zoppa. Oltre alla vaghezza dei suoi contenuti, infatti, si dovrebbe appoggiare a quella Belt and Road Initiative, che proprio a causa del Coronavirus ha subito un duro colpo sia in termini di immagine che di fattibilità finanziaria. Allo stesso tempo, la crisi ha richiesto di lanciare una campagna di propaganda nei confronti delle opinioni pubbliche e dei decision-maker europei. Tra gli obiettivi sottesi nell’immediato, quello di smorzare le critiche nei suoi confronti, promuovere un’immagine positiva del Paese e far cadere nell’oblio il fatto che il virus abbia avuto origine a Wuhan. Tra i risultati attesi nel medio termine, invece, il principale resta assestare un colpo alla legittimità dell’ordine liberale, nei cui confronti Pechino ha assunto una postura “revisionista”. 

Quanto è accaduto nel campo occidentale in questi mesi a causa del COVID-19 deve essere stato accolto positivamente a Pechino. D’altronde, i primi feedback di Washington sulla crisi sembravano confermare quella politica del retrechment varata da Barack Obama e confermata da Donald Trump che presuppone un parziale distacco dell’America dall’Europa. La combinazione tra il riorientamento strategico verso l’Indo-Pacifico (introdotto nella National Security 2015 e poi confermato nel 2017), le prossime elezioni presidenziali (che incentivano il presidente a non farsi vedere troppo impegnato nei problemi europei) e uno stile personale dell’inquilino della Casa Bianca che lascia spesso spaesati i suoi alleati hanno fatto sì che la volontà di guida americana sia stata percepita come incerta. Il successivo cambio di atteggiamento – il cui principale risultato va ricercato nel Memorandum on Providing COVID-19 Assistance to the Italian Republic – appare comunque come un tentativo tardivo di riparare a un errore ormai commesso.

Le lacerazioni, inoltre, hanno preso forma anche all’interno del continente europeo. La forte disapprovazione degli italiani verso l’operato dell’UE nelle prime settimane della crisi ha spinto il presidente della Commissione Ursula von der Leyen ad un inusuale mea culpa. Ciononostante, nelle settimane successive la musica ha faticato a cambiare. La distanza tra l’Europa meridionale e quella settentrionale, infatti, è aumentata sempre di più in tema di rigore di bilancio, MES e, infine, sulla proposta di costituire corridoi turistici preferenziali verso i Paesi meno colpiti dal virus (Grecia, Slovenia e Croazia), che penalizzano implicitamente Italia e Spagna. Non sarà certo un caso se gli ultimi sondaggi della SWG fotografano una disaffezione generale della nostra opinione pubblica verso Bruxelles.

Le evoluzioni della crisi nel mondo occidentale, tuttavia, non rappresentano comunque un “pranzo di gala” dalla prospettiva cinese. In particolare, la posizione dell’opinione pubblica tedesca, francese e britannica, che era già sospettosa nei confronti della RPC prima del virus, ora ha assunto quasi i tratti dell’ostilità. Anche nel nostro Paese, per quanto una certa narrazione lo descriva come “innamorato” della Cina, un recente studio IAI-LAPS conferma un trend non troppo dissimile da quello europeo. Agli italiani, infatti, la provenienza del virus (Wuhan) risulta ben chiara e circa l’80% degli intervistati è convinto che Pechino debba riconoscere le proprie responsabilità nella malagestione dell’emergenza. Per un Paese la cui capacità di sfidare l’ordine internazionale dipende, in questa fase, dalla capacità di accumulare risorse ed essere percepito come “benevolo” non è di certo una buona notizia.

Gabriele Natalizia,
Sapienza Università di Roma, Centro Studi Geopolitica.info

Lorenzo Termine,
Sapienza Università di Roma, Centro Studi Geopolitica.info

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