La drammatica esplosione del 4 agosto scorso al porto di Beirut ha riportato il Libano al centro delle cronache internazionali. Oltre 220 morti, 7000 feriti e 300.000 sfollati hanno pesantemente scosso l’intero Paese e la comunità globale. I danni strutturali riportati dalla capitale sono poi un’ulteriore fardello per l’economia e per la coesione sociale del Paese dei cedri, la cui fondazione risale proprio il primo settembre di cento anni fa. Infatti fu il generale francese Henri Gouraud, nel settembre del 1920, insieme ai leader religiosi del tempo, a formalizzare la dichiarazione di riconoscimento dello Stato del Grande Libano (che comprendeva anche diverse province della Siria), il quale però rimase protettorato francese sino alla dichiarazione di indipendenza della Repubblica del Libano nel 1943.
La Banca mondiale ha informato che l’ammontare complessivo dei danni derivanti dalla deflagrazione del porto di Beirut è da considerare tra i 3,8 e 4,6 miliardi di dollari, con particolare riferimento ai settori sociali, dell’edilizia abitativa e della cultura; inoltre le stesse stime parlano di perdite dell’attività economica tra i 2,9 miliardi e i 3,5 miliardi di dollari. Tutto ciò si aggiunge alla drammatica condizione del debito libanese, già stimato a 86 miliardi di dollari USA.
La precarietà politica e delle Istituzioni non aiuta poi la possibilità di un progetto per la ripresa ed il rilancio del Libano. Dopo le dimissioni del governo guidato da Hassan Diab, successivamente alle proteste per la condizione venutasi a creare in seguito alla grave esplosione di agosto scorso, l’incarico di Primo Ministro è stato conferito all’Ambasciatore Mustapha Adib, sunnita gradito anche alle altre comunità prevalenti: i cristiano- maroniti e gli sciiti di Hezbollah. La soluzione si è potuta realizzare anche sotto l’attenta regìa del Presidente francese Macron, particolarmente proattivo non soltanto per l’antico legame con quel territorio, ma perché consapevole dell’importanza del Libano come porta di accesso allo spazio est mediterraneo, area strategica di interesse energetico per la presenza di importanti giacimenti off-shore di gas naturale e che ha generato le attenzioni di diversi interessi statali e transnazionali (Turchia, Russia, USA, Paesi dell’Unione Europea), oltre a quelli dei Paesi direttamente affacciati su quella costa (Egitto, Israele, Cipro, ANP, Siria e lo stesso Libano). Infatti, nel difficile contesto economico e politico libanese, aggravato anche dalla crisi pandemica, il settore energetico potrebbe rappresentare uno dei pochi elementi di sviluppo. Già dal 2010 il Parlamento libanese ratificò la Legge sulle risorse petrolifere offshore (OPRL), stabilendo i principi fondamentali che regolano il settore della esplorazione e produzione dei giacimenti marittimi di petrolio e gas. Nel 2012 fu istituita un’agenzia pubblica, la Lebanese Petroleum Administration (LPA), con il compito di pianificare, regolare e sviluppare il settore del petrolio e del gas e che sin dall’inizio del suo mandato, ha iniziato a istituire i bandi di assegnazione delle licenze di esplorazione dei dieci blocchi offshore individuati nelle ZEE libanesi. Nel 2013 fu intrapreso un ciclo di prequalifica delle aziende in base a criteri legali, tecnici, finanziari e QHSE (qualità, salute, sicurezza e ambiente). Presentarono le loro richieste 52 società, 12 delle quali in possesso dei requisiti per diventare “Operatori titolare dei diritti”: le statunitensi Anandarko, Chevron, ExxonMobil; la giapponese Inpex; la francese Total; l’ENI; la spagnola Repsol; l’anglo-olandese Shell; la norvegese Equinor; i danesi della Maersk (che nel 2017 hanno ceduto al Gruppo Total, le attività dell’upstream petrolio e gas); la brasiliana Petrobras e i malesi della Petronas. Un secondo round di prequalifica è stato condotto nel 2017. A marzo 2018 sono state autorizzate le esplorazioni e le produzioni dei blocchi 4 e 9, assegnate ad un consorzio costituito dalla nostra ENI (40%, dalla francese Total (40%) e la russa Novatek (20%). Nel frattempo sono in corso le selezioni per l’affidamento di altri blocchi, rinviate recentemente alla fine del 2021, causate dalle difficoltà derivanti dalla pandemia. I primi risultati delle esplorazioni del blocco 4 (situato nell’area marittima del Libano Centrale) non sono state particolarmente soddisfacenti, ma pur non essendoci stime ufficiali, esistono studi prodotti da istituti specializzati che assegnano alle ZEE libanesi potenzialità molto importanti. Anche l’interesse delle più significative compagnie petrolifere internazionali, conferma questo assunto.
La LOGI (Lebanese Oil and Gas Initiative), centro di ricerca indipendente, infatti ipotizza a regime, una possibile produzione di gas naturale per 25 trilioni di piedi cubi (circa 700 miliardi di metri cubi), che tradotto anche in produzione di energia elettrica significherebbe 183 anni di consumi con un utilizzo di 24/giorno. Tale ipotesi darebbe al Libano una spinta enorme per la ripresa e il rilancio economico. Sostenere l’intero ciclo dell’energia elettrica allenterebbe sensibilmente il debito pubblico libanese; infatti dai dati ufficiali il 76% della spesa pubblica libanese sono destinati al settore elettrico, gestito dalla società monopolista pubblica Electricité du Liban (EDL), e che servono a coprire le spese di importazione di carburanti e abusivismo, anche in funzione dei progetti di sostituzione del mix energetico per una prospettiva di abbattimento delle emissioni di CO2. Tutto ciò dovrà essere accompagnato da un deciso programma di investimenti per la realizzazione di infrastrutture per la trasmissione e distribuzione elettrica, uno dei punti critici della economia libanese. Electricité du Liban non riesce ancora ad assicurare una produzione elettrica che garantisca continuità di erogazione per 24 ore. A seconda poi delle aree territoriali, ci sono tagli da tre a dodici ore al giorno, che costringono i libanesi a rivolgersi alle tante compagnie private che gestiscono generatori di elettricità a diesel, particolarmente inquinanti, e che hanno prezzi altissimi.
Da segnalare inoltre che nel luglio 2019, la BEI ha cofinanziato con l’Agenzia francese per lo sviluppo una linea di credito di 80 milioni di euro per far ripartire lo Strumento di finanziamento per l’efficienza energetica e le energie rinnovabili in Libano (LEEREFF). Come dichiara infatti l’Agenzia Internazionale IRENA “Il Libano ha il potenziale per generare fino al 30% della sua elettricità da Fer entro il 2030”. L’ampliamento delle energie rinnovabili potrà aiutare il Paese a soddisfare la crescente domanda di energia, creando possibili risparmi annuali fino a 249 milioni di dollari.
La strada è comunque ancora lunga per raggiungere obiettivi significativi di autonomia energetica; questi progetti di sviluppo, se non accompagnati da un consolidamento istituzionale, politico e di autorevolezza internazionale dello Stato Libanese, rischiano di essere compressi, a partire da rivendicazioni di sfruttamento di Stati limitrofi dei blocchi offshore: Israele e Siria mettono in discussione la titolarità libanese su alcune aree di esplorazione; contenziosi derivanti da questioni irrisolte nell’individuazione dei confini marittimi, soprattutto con Israele. Sarà pertanto fondamentale da parte del Libano rafforzare una sua identità politica e sociale, intensificando il dialogo e l’equilibrio tra le principali comunità interne, cercando gli opportuni collegamenti internazionali, che favoriscano i processi di democrazia e libertà. Paradossalmente la presenza di importanti Oil Company potrebbe garantire al Libano una certa stabilità per favorire le produzioni e la necessaria legittimazione per il governo libanese. Anche in questo caso, oltre al protagonismo francese, l’Unione Europea dovrebbe intraprendere una sua iniziativa politica di concerto con gli alleati occidentali. Ci sarebbe spazio anche per il nostro Paese per avere un ruolo specifico in Libano; l’autorevolezza acquisita negli anni da ENI, dalla politica estera del passato (anche recente) e dal ruolo svolto dalle Forze Armate italiane nei processi di pace, potrebbero favorire un’importante presenza nella ripresa e rilancio dell’economia e del sistema sociale libanese.
E’ auspicabile tutto ciò per riportare il Libano ad essere un Paese esempio di equilibrio religioso e culturale e di prosperità economica e sociale, che per decenni caratterizzò questa terra tra gli anni ’50 e ’60 del XX secolo.
Antonello Assogna,
Fondazione Tarantelli