Ad Israele sono state contestate le responsabilità per le politiche discriminatorie nei territori occupati e ora si richiama giustamente il principio che il diritto di difesa non può eccedere i limiti posti dal diritto internazionale a tutela della popolazione civile.
È necessaria però una riflessione più compiuta anche sulla scelta del terrorismo di Hamas, storicamente strutturata sulle origini della Fratellanza Musulmana, espressione dell’Islam radicale come risulta dallo Statuto di Hamas, qui analizzato nella versione originaria del 1988 e in quella emendata del 2017.
La disumanizzazione della persona, che non solo accetta ma persegue la sofferenza, richiama la jihad sanguinaria responsabile della prima strage dell’Islam contro una minoranza religiosa, gli ebrei della tribù dei Banu Qurayza a Medina (627 d.c.).
La popolazione di Gaza è soggiogata da un movimento oscurantista che rivendica ancora la violenza di quelle origini. Spetta alle comunità occidentali convincere i palestinesi che un loro futuro di dignità passa solo attraverso la diplomazia e il diritto internazionale, liberandosi dall’ideologia dei terroristi di Hamas.
Il diritto di difesa non illimitato di Israele
Le uccisioni disumane con la cattura degli ostaggi di Hamas come anche la catastrofe umanitaria che si sta riversando su Gaza per la reazione israeliana vanno lette entrambe senza giustificazionismi e imputando a ciascuno le diverse responsabilità. Su quelle di Israele c’è poco da aggiungere, visto che le rivolte delle piazze arabe e occidentali hanno rilanciato le accuse contro lo Stato ebraico richiamando le sue politiche discriminatorie nei territori occupati, l’islamofobia alimentata dagli ultimi governi ultranazionalisti, e persino riproponendo pulsioni antisemite e un antioccidentalismo che sembra assecondare le retoriche di Putin e dell’Ayatollah Khamenei. Per questo va dato valore al ruolo che Stati Uniti e Unione Europea stanno svolgendo nell’intento di moderare l’azione di forza di Israele, che per quanto legittimata dal diritto di difesa non può certo superare i limiti che il diritto internazionale umanitario pone per la tutela della popolazione civile. E ciò anche quando i terroristi si fanno scudo di ospedali, ambulanze e degli stessi civili tenuti in ostaggio.
Alle origini delle responsabilità dei terroristi
Sul fronte delle responsabilità di Hamas occorrere però una riflessione più compiuta che inquadri i tragici fatti del 7 ottobre non solo in una svolta repentina per rilanciare la questione palestinese. Si tratta di ripercorrere le origini della scelta storicamente strutturata del terrorismo, un percorso che necessariamente riconduce alle matrici originarie dell’Islam radicale, fondamentalista e integralista. Le violenze indicibili commesse da Hamas non possono infatti considerarsi fatti compiuti da fanatici isolati, ma vanno considerate nella ideologia del terrore che lo stesso leader indiscusso della Striscia di Gaza, Ismail Haniyeh, ha spiegato bene con parole sue: «Abbiamo bisogno del sangue delle donne, dei bambini e degli anziani per risvegliare dentro di noi lo spirito rivoluzionario… per spingerci ad andare avanti». La disumanizzazione della persona, anziano, donna o bambino, di cui non solo si accetta ma si persegue la sofferenza, fino a cavarne gli occhi o a farne scempio nel grembo delle madri, riporta alle violenze tribali delle origini dell’Islam, alla jihad sanguinaria che vide Maometto compiere la prima strage contro una minoranza religiosa, gli ebrei della tribù dei Banu Qurayza a Medina (627 d.c.). Il messaggio del Profeta non era stato accolto dagli ebrei, i quali furono accusati di complotti con gli idolatri che governavano la Mecca che avevano costretto Maometto a fuggire. A sua volta a Medina il Profeta dapprima esiliò le principali tribù ebraiche, poi nella «Battaglia del Fossato» ordinò la strage degli ultimi ebrei che erano rimasti fuori le mura della città. Questi alla fine si consegnarono chiedendo la misericordia del Profeta affinché si unissero alle altre tribù esiliate, ma non fu così: tutti i 650 prigionieri maschi ebrei furono sgozzati per ordine di Maometto. Secondo gli storici ebbe lì inizio il rito – ispirato al gesto di Abramo – dello sgozzamento dell’infedele praticato in Algeria e Iraq, dall’Isis e dai suoi emuli, oggi replicatisi nei terroristi di Hamas. Così come è a quel contesto storico che molti islamisti fanno risalire la nascita della teoria del «complotto degli ebrei», portatori di divisioni della comunità.
Il fardello ideologico della Fratellanza Musulmana
La continuità di questi elementi storici nelle azioni attuali di Hamas non può considerarsi frutto di una ricostruzione forzata sull’onda emotiva delle ultime tragiche stragi, perché essa si rinviene a tutto campo nel suo Statuto costitutivo, un documento connotato da ampi riferimenti al movimento originario della Fratellanza Musulmana, peraltro nella sua espressione più radicale dell’Islam nonostante la successiva evoluzione di alcune sue componenti più moderate. Hamas è l’acronimo di Ḥaraka al-muqāwama al-islāmiyya , il «Movimento della resistenza islamica» fondato nel 1987 da Ahmed Yassin che presentò un’ organizzazione politico-religiosa decisamente più estremista rispetto alle posizioni dell’Olp e di Al Fath. Il primo Statuto è datato 18 agosto 1988 e anche se risulta modificato nel 2017 molti tratti essenziali sono confermati nella impostazione integralista originaria che alla luce delle violenze compiute il 7 ottobre è bene ripercorrere. All’Articolo 2 dello Statuto del 1988 Hamas si propone come la diramazione palestinese dei Fratelli Musulmani, il movimento fondato in Egitto nel 1928 da Hassan al Banna che ha rappresentato il più forte presidio del rinnovamento teologico e filosofico del mondo arabo che mirava a riscattarsi dalla caduta dell’impero ottomano e introduceva la «retrotopia» del Califfato delle origini per emanciparsi dal colonialismo e dall’imperialismo occidentale.
Da qui l’interpretazione religiosa e politica della storia contemporanea della Fratellanza Musulmana di cui si appropria lo Statuto originario all’ Articolo 22, che è bene rileggere nei suoi passaggi finali: «A proposito delle guerre locali e mondiali, ormai tutti sanno che i nostri nemici hanno organizzato la Prima guerra mondiale per distruggere il Califfato islamico. Il nemico ne ha approfittato finanziariamente e ha preso il controllo di molte fonti di ricchezza; ha ottenuto la Dichiarazione Balfour e ha fondato la Società delle Nazioni come strumento per dominare il mondo. Gli stessi nemici hanno organizzato la Seconda guerra mondiale, nella quale sono diventati favolosamente ricchi grazie al commercio delle armi e del materiale bellico, e si sono preparati a fondare il loro Stato. Hanno ordinato che fosse formata l’Organizzazione delle Nazioni Unite, con il Consiglio di Sicurezza all’interno di tale Organizzazione, per mezzo della quale dominano il mondo. Nessuna guerra è mai scoppiata senza che si trovassero le loro impronte digitali. “Ogni volta che accendono un fuoco di guerra, Allah lo spegne. Gareggiano nel seminare il disordine sulla Terra, ma Allah non ama i corruttori” (Corano 5, 64) ».
Hamas e il destino della Palestina
Quanto al futuro della Palestina e ai rapporti con Israele, conseguentemente, la linea dello Statuto è netta. Nell’introduzione dello Statuto originario è richiamata una citazione di al Banna: «Israele esisterà e rimarrà esistente fino a quando l’Islam non lo annullerà come ha annullato ciò che era prima di esso». La frase è stata perciò letta come l’enunciazione chiara di una “soluzione finale” che preveda in ogni caso l’annientamento di Israele. Lo Statuto del 1988 chiariva il disegno generale. Emblematico è l’ Articolo 7: «Il Profeta – le preghiere e la pace di Allah siano con Lui – dichiarò: “L’Ultimo Giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno, e fino a quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra o l’albero diranno: O musulmano, o servo di Allah, c’è un ebreo nascosto dietro di me, vieni e uccidilo; ma l’albero di Gharqad non lo dirà, perché è l’albero degli ebrei” (citato da al-Bukhari e da Muslim)». E ancora all’articolo Articolo 15 si enunciava: «Quando i nemici usurpano un pezzo di terra musulmana, il jihad diventa un obbligo individuale per ogni musulmano. Di fronte all’usurpazione della Palestina da parte degli ebrei, dobbiamo innalzare la bandiera del jihad. Questo richiede la propagazione di una coscienza islamica tra il popolo a livello locale, arabo e islamico. È necessario diffondere lo spirito del jihad all’interno della umma, scontrarsi con i nemici, e unirsi ai ranghi dei combattenti».
Israele senza appello
Ma nella lettura di tutto il documento del 1988 l’excursus dell’antisemitismo è in crescendo. All’ Articolo 28 si indicava ancora: «L’ invasione sionista è un attacco feroce che non ha pietà di usare tutti i mezzi bassi e spregevoli per adempiere ai suoi obblighi; dipende enormemente dalla sua penetrazione e dalle sue operazioni di intelligence di organizzazioni segrete sue propaggini come la massoneria, il Rotary e i Lions club e altre reti simili di spie e altre strutture segrete o pubbliche che funzionano a beneficio e sotto la guida del Sionisti. I sionisti sono dietro il traffico di droga e alcol a causa della loro capacità di facilitare il loro controllo e l’espansione. I paesi arabi che circondano Israele sono invitati a aprire le frontiere ai mujaheddin in modo che possano unire i loro sforzi con i Fratelli musulmani di Palestina». E in ultimo chiaro era il passaggio all’Articolo 32: «…lo schema sionista non ha limiti, e dopo la Palestina cercherà di espandersi dal Nilo all’Eufrate. Quando avrà digerito la regione di cui si è cibato, guarderà avanti verso un’ulteriore espansione, e così via. Questo è il piano delineato nei Protocolli degli Anziani di Sion, e il comportamento presente del sionismo costituisce la migliore testimonianza di quanto era stato affermato in quel documento».
I dubbi sul “quietismo” dello Statuto del 2017
Lo Statuto del 2017 ha modificato queste posizioni integraliste tra cui l’espresso richiamo alla Fratellanza Musulmana, e tuttavia la scelta è stata vista come una convenienza “tattica” volta ad avvicinare soprattutto l’Egitto che ha bandito gli ultimi seguaci del movimento fondamentalista delle origini. Varie interpretazioni hanno comunque intravisto un’evoluzione moderata di Hamas, riscontrata anche in esternazioni manifestate da alcuni suoi componenti. In particolare si è osservato che allo stesso Articolo 20 dello Statuto del 2017 si indica: «Hamas considera la creazione di uno Stato palestinese pienamente sovrano e indipendente, con Gerusalemme come capitale sulla falsariga del 4 giugno 1967 (nota: cioè prima della guerra dei giorni) , con il ritorno dei rifugiati e degli sfollati alle loro case da cui sono stati espulsi, come una formula di consenso nazionale». Per alcuni interpreti questa posizione aprirebbe alla formula dei due Stati, ma per lo storico Claudio Vercelli la «considerazione» di uno Stato palestinese delimitato sarebbe solo «una tappa intermedia nel cammino verso la “liberazione” di tutto il territorio, non riconoscendo dunque a Israele il diritto all’esistenza». Insomma non ci sarebbero concrete aperture da parte di Hamas per la formula “Due popoli, due Stati”. Nella sostanza rimane per Hamas l’idea di fondo di non riconoscere lo Stato di Israele e di considerare la via armata come necessaria per la liberazione della Palestina. Quanto ad altre posizioni “quietiste” che taluni osservatori avrebbero intravisto nel dibattito interno di Hamas rimane il forte dubbio che non siano riuscite a prevalere, come purtroppo dimostrano i fatti del 7 ottobre. D’altro canto già la dichiarazione di accompagnamento con cui Hamas aveva presentato il nuovo documento del 2017 aveva dettato la linea: da un lato si rassicura che «Hamas non conduce una lotta contro gli ebrei perché sono ebrei», ma subito si precisa che «conduce una lotta contro i sionisti che occupano la Palestina… sono i sionisti che identificano costantemente l’ebraismo e gli ebrei con il loro progetto coloniale e la loro entità illegale». E ancora alla presentazione dello Statuto Ismail Haniyeh, dall’ufficio politico di Hamas, aveva precisato: «Il nuovo documento non minerà né i nostri principi né la nostra strategia. Gerusalemme, il diritto al ritorno, l’unità palestinese e le forze di resistenza sono principi fondamentali. I cambiamenti si riferiscono agli sviluppi regionali e si adattano all’epoca».
Da Gaza un impegno comune contro il disordine globale
Una riflessione conclusiva dunque non può essere ancora una volta che l’amarezza di constatare che la popolazione palestinese è stata soggiogata per troppo tempo da un movimento oscurantista. Le comunità occidentali in questi giorni stanno manifestando la loro solidarietà ai palestinesi di cui hanno giustamente compreso l’immane sofferenza per i combattimenti cui sono esposti e hanno chiesto ai loro leader di assumere un ruolo responsabile per moderare la reazione di Israele, anche al costo di appellarsi alla Corte penale internazionale. Occorrerà però che la stessa popolazione palestinese faccia al più presto una scelta di campo: se vuole perseguire davvero un futuro di dignità per la Palestina dovrà liberarsi dei terroristi di Hamas. Spetterà tuttavia pur sempre alle comunità occidentali convincere i palestinesi che ora è il momento di affidarsi alla diplomazia e al diritto internazionale. Ma occorrerà farlo anche con Israele, che da un lato non andrà assecondato nelle sue derive ultranazionaliste e antidemocratiche e dall’altro non può essere lasciato solo di fronte al disegno perseguito da tanti altri attori del disordine globale.
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