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Il Chips for America Act e i suoi effetti sulla supply chain globale di semiconduttori. Dialogo con Michael Teodori

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Michael è stato Ufficiale di collegamento con il Congresso Statunitense all’interno dell’Ufficio Affari Politici dell’Ambasciata Italiana a Washington DC; attualmente lavora all’interno dell’Ufficio di Rappresentanza a Washington DC di Eni, ed è Membro del Consiglio di Amministrazione della Washington Foreign Law Society. Con lui parleremo dell’iter legislativo della legge americana sui semiconduttori e dei risvolti internazionali che questa norma comporta.

Quanto indicato di seguito viene espresso a titolo di opinione personale e non rappresenta le opinioni delle organizzazioni suddette.

Nel mese di aprile 2021, il parlamento della Repubblica di Corea ha dato il via alla stesura di una legge volta a tutelare l’industria domestica di semiconduttori: Samsung Electronics e SK Hynix, entrambe multinazionali sudcoreane, ne sono rispettivamente il primo e il secondo fornitore mondiale. La proposta di legge dello Stato asiatico mira ad emulare il Chips for America Act (CHIPS Act), introdotto dal governo di Washington nel giugno 2020. Di cosa si tratta quest’ultima?

Il CHIPS for America Act è un provvedimento che – sebbene introdotto già nel giugno 2020 – è stato licenziato dallo scorso Congresso soltanto nel gennaio di quest’anno, incluso all’interno dell’enorme provvedimento annuale di bilancio relativo alle spese militari (National Defense Authorization Act) – il quale, si ricorderà, in via del tutto straordinaria dovette anche superare il veto del Presidente Trump.

Come rivela in parte anche il nome del provvedimento (“CHIPS”, oltre che essere il termine colloquiale con cui in inglese vengono indicati i semiconduttori è anche l’acronimo di “Creating Helpful Incentives to Produce Semicondutors”), trattasi essenzialmente di una legge che stabilisce incentivi per la produzione e la messa in commercio di semiconduttori. Il pacchetto prevede 10 miliardi di finanziamenti a fondo perduto, 12 miliardi destinati a ricerca e sviluppo, e svariati crediti d’imposta per investimenti in nuovi stabilimenti produttivi, per un totale di circa 37 miliardi di dollari. I finanziamenti non potranno superare i 3 miliardi per progetto, salvo che il Segretario al Commercio, di concerto con il Presidente, il Segretario alla Difesa e il Direttore dell’Intelligence Nazionale, determini che il progetto in questione sia necessario ad “incrementare in modo significativo la proporzione di approvvigionamento domestico affidabile di semiconduttori rilevanti per la sicurezza nazionale”.

Lo scopo è quello di potenziare l’industria domestica dei semiconduttori alla luce delle carenze messe a nudo dalla pandemia nelle catene di approvvigionamento relative ad un prodotto che è indispensabile a moltissimi settori dell’economia statunitense (e globale) e, soprattutto, del manifesto ritardo di cui la produzione americana soffre nei confronti del medesimo comparto industriale cinese. A riprova di quanto il tema sia percepito con grande urgenza a queste longitudini, va notato inoltre che il CHIPS For America Act ha goduto di sostegno bipartisan fin dalla sua genesi – fenomeno pressoché inesistente a Washington di questi tempi.

Quindi, il CHIPS Act ha previsto un ammontare di fondi per la ricerca e lo sviluppo nel campo dei semiconduttori, ma quali sono le problematiche relative alla sua emissione? Perché nonostante il CHIPS fosse stato introdotto con il National Defense Authorization Act (NDAA), si è sentito il bisogno di emanare un ulteriore ordine esecutivo in materia? Solamente per una questione relativa all’accelerazione nell’erogazione dei fondi, o per bypassare il parlamento ed aggiungere elementi ignorati dal CHIPS?

Il CHIPS For America Act non prevede direttamente l’erogazione dei fondi, ma semplicemente ne autorizza e regolamenta l’esborso futuro: in sostanza, i soldi sono sì stati stanziati, ma ora occorre trovarli in concreto all’interno delle pieghe della finanza pubblica statunitense. A tal fine sarà necessario che il Congresso vari un secondo provvedimento cosiddetto di “appropriation”, termine generico che indica la procedura tradizionale con cui vengono finanziate le spese sostenute dal Governo Federale. Una simile misura aggiuntiva tuttavia non è ancora stata approvata, tanto che il 12 aprile scorso un nutrito gruppo bipartisan di Senatori e Deputati ha inviato una lettera al Presidente Biden esortandolo a “dare priorità ai finanziamenti necessari per implementare le iniziative previste nel CHIPS For America Act” ed invitandolo a prestare il proprio appoggio ad una richiesta di finanziamenti “in misura almeno pari a quanto previsto dal CHIPS For America Act” nell’ambito dei negoziati per l’approvazione del mastodontico disegno di legge sulle infrastrutture – promosso dall’Amministrazione anche in chiave anti-cinese – che il Congresso si appresta a varare nei prossimi mesi (c.d. “American Jobs Act”).

L’ordine esecutivo in materia di semiconduttori firmato da Biden lo scorso febbraio (EO 14107), dunque, non è direttamente legato al CHIPS For America Act. Con un ordine esecutivo d’altronde non si possono erogare denari pubblici che non siano ancora stati “appropriated”: il power of the purse, cioè il potere di determinare la spesa pubblica, negli Stati Uniti è prerogativa esclusiva del Congresso in base all’articolo I della Costituzione.

Con l’ordine esecutivo di cui sopra l’Amministrazione tuttavia ha voluto lanciare un proprio segnale di grande attenzione al tema dei semiconduttori, indipendente dalle convulse macchinazioni interne al Legislatore. La misura prevede l’avvio di una “analisi dei rischi insiti nelle catene di approvvigionamento relative alla produzione e al confezionamento avanzato di semiconduttori”, da completare entro cento giorni dalla firma del provvedimento stesso, allo scopo di produrre “policy recommendations” da sottoporre al Presidente per affrontare tali rischi. L’ordine in verità ha respiro più ampio rispetto ai soli semiconduttori e si riferisce anche a catene di approvvigionamento relative ad altri beni percepiti dalla nuova Amministrazione come d’importanza strategica, quali batterie, metalli rari e prodotti farmaceutici.

Biden ha inoltre sottolineato che farà pressione sul Congresso affinché quest’ultimo individui il denaro necessario a coprire i finanziamenti autorizzati dal CHIPS For America Act, e va in ogni caso evidenziato che l’Amministrazione giocherà un ruolo fondamentale nel determinare quali aziende potranno beneficiare dei sussidi.

La Samsung Electronics possiede già un massiccio impianto di produzione ad Austin, in Texas, ma le testate giornalistiche coreane affermano che nei suoi piani rientrerebbe la costruzione di altre fabbriche in USA, probabilmente nello stesso Stato del Texas, oppure dell’Arizona o di New York. Credi che la scelta dei luoghi sia casuale o risponda ad esigenze ben precise?

La scelta risponde in parte a logiche di mercato (penso all’Arizona, divenuto di recente vero e proprio hub per la produzione di semiconduttori per via delle imposte contenute, della burocrazia limitata e della vicinanza alla California – vedasi da ultimo la decisione di Intel di investirvi 20 miliardi di dollari per aprire due fabbriche nei prossimi mesi) e in parte a logiche politiche: saranno verosimilmente gli Stati rappresentati dai legislatori che possono esercitare maggiore influenza nel processo di erogazione dei finanziamenti pubblici a beneficiarne di più. Penso appunto allo Stato di New York, il cui Senatore Chuck Schumer – attualmente Majority Leader, e dunque la più potente figura politica nella Camera Alta – è uno dei più autorevoli sostenitori dell’industria dei semiconduttori in Congresso. Oppure al Texas, dove il Senatore John Cornyn e il Deputato Michael McCaul sono stati sponsor dell’originale disegno di legge poi confluito nel più vasto NDAA.

Questo processo è avvenuto in un momento in cui gli Stati Uniti stanno rafforzando il proprio fronte anti-cinese nell’Indo-Pacifico, al tempo stesso cercando di creare catene produttive nel settore high-tech senza la Cina. Ma quanto giova ai suoi alleati l’emanazione del CHIPS? Penso alla menzionata Corea del Sud, ma penso anche a Taiwan, altro fornitore su scala mondiale di chip: sono stati tenuti in conto gli effetti di tale provvedimento sull’economia di questi Paesi durante l’iter legislativo?

È evidente che il CHIPS For America Act serve in primis a rinvigorire la produzione interna e la ricerca americana; è estremamente raro, d’altronde, che a Washington vengano presi direttamente in considerazione interessi di altri Paesi nel contesto del processo di legiferazione domestica. Il testo del provvedimento contiene addirittura una clausola secondo cui uno dei criteri da osservare per l’erogazione dei finanziamenti sia che il progetto beneficiario risulti “nell’interesse degli Stati Uniti”. Per di più, la misura in questione verosimilmente costituirà soltanto un tassello di un mosaico più ampio volto a rilanciare energicamente l’industria domestica dei semiconduttori e, più in generale, delle nuove tecnologie. Penso ad esempio anche all’Endless Frontier Act, un disegno di legge introdotto di recente dai Senatori Schumer (D-New York) e Todd (R-Indiana) che propone una dotazione ulteriore di 100 miliardi di dollari alla National Science Foundation, cioè l’agenzia federale che promuove la ricerca in campi ad alto tasso tecnologico – ad inclusione, ovviamente, dello sviluppo di semiconduttori.

Insomma, gli Stati Uniti legiferano per sé e non per altri Paesi, per quanto amici o alleati. Ciò detto, non esistono attualmente norme nel CHIPS For America Act che vietano l’erogazione di finanziamenti ad aziende straniere: Samsung e TSMC potrebbero dunque teoricamente beneficiare dei sussidi al pari di campioni domestici quali Intel se dovessero scegliere di effettuare investimenti all’interno degli Stati Uniti.

Alessandro Vesprini,
Geopolitica.info

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