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TematicheAfrica SubsaharianaIl Burkina conosce il terrorismo

Il Burkina conosce il terrorismo

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Difficile ritorno alla normalità per il popolo burkinabé, dopo i sanguinosi attentati di venerdi 15 gennaio 2016 nella capitale Ouagadougou. Intorno alle 19.30 l’hotel Splendid, l’hotel Yibi e il vicino caffè Le Cappuccino sono stati presi d’assalto dal gruppo terrorista islamico al-Mourabitoun, che aveva già rivendicato l’attentato del 20 Novembre all’hotel Radisson Blue di Bamako, in Mali.

L’attentato è stato pianificato di comune accordo con al Qaida per il Mahgreb Islamico (AQMI), fazione rivale dello Stato Islamico. Parallelamente agli attacchi di Ouagadougou, a Djibo, zona nord del paese alla frontiera con il Mali, sono stati rapiti due coniugi australiani: Artur Elliot e Josephine Kemeth. Elliot era una medico impegnato dal 1972 in Burkina, da allora sostenitore di molteplici progetti umanitari, sanitari e infrastrutturali. Il suo rapimento è opera dell’Emirato del Sahara, gruppo Jihadista del Mali affiliato ad AQMI. Un terzo evento si è aggiunto alla giornata di terrore in capitale: si tratta dell’attacco ad un convoglio di polizia frontaliera, avvenuto a Tinakoff, nella regione del Sahel.

Il bilancio degli attacchi terroristici è di 29 morti e 33 feriti. Tra le vittime anche un bambino italiano di 9 anni e la sua mamma, rispettivamente figlio e moglie di Gaetano Santomenna, proprietario del bar ristorante “Le Cappuccino”, che si trovava in viaggio in Nigeria.

Le operazioni di sicurezza, che hanno visto un intervento congiunto dell’esercito burkinabé con le forze francesi e americane, si sono concluse nella giornata di sabato 16 gennaio, con la liberazione di 126 ostaggi e l’uccisione di tre jihadisti allo Splendid, e di un quarto terrorista allo Yibi. I responsabili dell’attacco si erano registrati come clienti all’hotel Splendid, e si erano recati in   moschea poco prima della strage.

Il Burkina Faso sembrava pressoché immune dagli attacchi terroristici: esso conta il 60% di musulmani, il 30% di cristiani e 10% di animisti; il melting pot culturale è incentivato dalla pratica della plaisanterie, che consente la presa in giro amichevole tra i vari gruppi etnici.

A seguito degli attacchi terroristici di Bamako, l’ambasciata francese aveva aggiornato la cartina dei rischi per la sicurezza, classificando come rosse tutte le località del nord- ovest del paese al confine con il Mali. Anche la città di Bobo – Dioulasso, cuore culturale del paese, è classificata come arancione, insieme a Banfora.

C’è chi crede che il paese sembri destinato a pagare le colpe della Francia: in un audio diffuso  da  diverse emittenti televisive, AQMI dichiara “Combatteremo la Francia fino all’ultima goccia di sangue”. Il Burkina  è territorio di basi americane e francesi impegnate nella lotta al terrorismo; la Francia, ha in particolare dal 2014 intensificato la sua presenza nel paese, attraverso l’operation Barkhane, tramite la quale fornisce appoggio militare e logistico nella lotta al jihadismo; il Burkina costituisce inoltre il nucleo della cooperazione a cinque stati in materia di sicurezza del Sahel (insieme a  Mali, Mauritania, Niger e Ciad); questo intricato assetto istituzionale e militare sembra essere una delle ragioni di un attacco a strutture, come quella dell’hotel Splendid, che vedono una costante presenza occidentale. Secondo alcuni la causa dell’attentato risiederebbe nel marcato interesse che Mokhtar Belmokhtar, leader di al-Mourabitoun, nutre per l’Africa occidentale, da importante canale di finanziamento del gruppo terrorista.

Secondo un’altra lettura, non pare un caso che l’attentato segua di poche settimane l’investitura di un nuovo presidente, e conseguentemente un nuovo riassetto politico. Gli analisti segnalano che tra le relazioni pericolose di Blaise Compaoré, l’ex pluriennale dittatore, si collocano anche amicizie con terroristi, le quali cavevano contribuito alla creazione di una fitta rete di supporto al jihadismo. Gli attentati potrebbero quindi essere considerati come un tentativo di Compaoré di sovvertire un neonato regime politico, quello guidato da Roch Kaboré, minando alla base il forte desiderio di democratizzazione del paese.

Elisa Chiara è casco bianco in servizio civile per una ong italiana e attualmente operativa in loco

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