Il presidente eletto statunitense si appresta ad insediarsi alla Casa Bianca e le prospettive non sono sicuramente rosee. Joe Biden si troverà a gestire una situazione economica complessa e piena di trappole, in un clima di forte divisione interna, conseguenza di una vittoria non riconosciuta dall’avversario e soprattutto dai tanti dilemmi che nascono dalla gestione della pandemia da Sars-Cov2. Riuscirà Biden a rilanciare l’economia del paese?
Alcuni indicatori dell’economia americana prima del virus
Valutando l’economia statunitense prima del difficile 2020 si evince come essa potesse vantare risultati molto positivi. Sotto l’amministrazione Trump gli Stati Uniti hanno proseguito il felice trend di crescita dell’amministrazione Obama. Se negli ultimi tre anni della presidenza Obama il PIL è cresciuto in media del 2.3%, sotto la presidenza Trump il dato è rimasto simile, attestandosi sulla media del 2.5%. Non solo PIL, la salute dell’economia americana era dimostrata dagli indicatori legati alla povertà e al reddito mediano. Nel 2019 il reddito mediano raggiungeva i 68.700 dollari, una crescita rispetto all’anno precedente di ben 6.8 punti percentuali. Invece, la povertà scendeva al 10.5%, cioè meno 1.3% rispetto al 2018. Anche il livello di disoccupazione era confortante, raggiungendo nel 2019 il 3.5%.
Karl W. Smith sulle colonne di Bloomberg ha affermato che gran parte dei buoni risultati economici raggiunti prima della pandemia sia merito di Trump e della politica economica da lui promossa. Infatti, se alcune autorità ritenevano improbabile un ulteriore miglioramento nel tasso di disoccupazione (Montes, 2017) e altri diffidavano ulteriori interventi economici nel 2016 in questa direzione, il tycoon ha comunque profuso sforzi per ricercare ulteriori miglioramenti. Il cardine delle sue politiche può essere ricondotto al taglio delle tasse (soprattutto alle imprese), al mantenimento di un basso tasso di interesse con forti pressioni sulla FED e una deregulation che ridimensiona gli obiettivi posti dalle politiche ambientali di Obama. Una politica economica espansiva contraddistinta dagli stimoli fiscali sotto forma di taglio delle tasse, spesa pubblica e basso costo della moneta. Bisogna comunque sottolineare i lati negativi di questo ricorrente ricorso agli stimoli fiscali. Come rimarcano alcuni, infatti, il deficit del bilancio federale americano è aumentato più velocemente sotto l’amministrazione Trump rispetto che sotto quella di Obama, fino a raggiungere il 4.6% del PIL nel 2019. Anche il deficit esterno vede Trump raggiungere un record negativo nel 2018, con ben 872.040 miliardi di passivo, ben lontano dal record negativo dell’amministrazione Obama di 745.483 miliardi nel 2015, nonostante il presidente uscente abbia puntato forte sui dazi, sulla guerra commerciale con la Cina e sulla revisione del NAFTA. Lineare e costante invece la crescita del debito pubblico fino al 2019.
Lo scossone economico del 2020
La crisi pandemica ha scosso anche l’economia più grande al mondo, e ha portato il governo federale statunitense a varare misure corpose. La prima a marzo con lo stanziamento di ben 2000 miliardi di dollari destinati al sostegno dei redditi, ai disoccupati ma soprattutto agli investimenti e alle garanzie sui prestiti (CARES Act). La seconda misura, varata di recente, stanzia 900 miliardi di dollari per continuare i programmi di sostegno al reddito e di aiuto economico verso coloro che hanno perso il lavoro. Già ad aprile, comunque, l’importanza dell’impatto del virus sulla società statunitense sembrava non trascurabile. Infatti, in quello stesso mese il lockdown forzato e la conseguente crisi del mercato del lavoro ha portato il tasso di disoccupazione alla cifra record del 14.7% (Bureau of Labor Statistics, 2020), con un aumento record delle richieste di aiuti economici destinati ai disoccupati: circa 22 milioni, il 13.5% della forza lavoro. L’apice della crisi economica e sociale ha portato il presidente americano a voler imprimere un’accelerazione alla riapertura delle attività economiche in modo tale da salvare quanto più possibile. Già a metà aprile il messaggio lanciato da Trump è che gli Stati Uniti devono tornare a mettere al centro l’economia nonostante il potenziale pericolo sanitario. A tal proposito, è importante sottolineare come il quarantacinquesimo presidente americano abbia puntato molto su uno dei temi più importanti della cultura americana: la libertà dei cittadini dal governo, e quindi l’impossibilità del governo di protrarre le chiusure forzate nel paese e soprattutto di prescrivere l’utilizzo obbligatorio dei dispositivi di protezione individuale come le mascherine. Lo scontro politico interno si è fatto ancora più duro quando la tensione sociale è sfociata in tutto il paese con le proteste promosse dal movimento Black Lives Matter. Gli Stati Uniti si si sono ritrovati ad essere un paese dilaniato dallo scontro interno che alle elezioni ha trovato come unici interpreti i due candidati Biden e Trump. Due dei principali temi di sfida sono stati la gestione della pandemia e la sfida al razzismo e alle divisioni interne scaturite anche da una situazione economica e sanitaria complicata. Dal momento in cui Biden ha vinto le elezioni, si ritrova a dover rispondere in modo efficace ed immediato a due sfide imponenti, con il rischio di innescare trappole difficili da gestire.
Le priorità di Biden
Inizialmente tutte le attenzioni degli sforzi di Biden saranno dirottate sulla gestione della pandemia, e in modo particolare sulla ripresa economica. Per quanto riguarda la gestione della crisi sanitaria Biden cercherà presumibilmente di responsabilizzare i cittadini sull’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale. Altro grande sforzo verrà assorbito dalla organizzazione della campagna vaccinale. In questo campo Biden conosce quanto sia caro il tema della libertà per gli statunitensi e data l’elevata divisione all’interno della nazione al momento non può spingersi oltre le rassicurazioni sulla non obbligatorietà del vaccino. Discorso simile si può fare sull’eventualità di un nuovo lockdown nazionale per fronteggiare la propagazione del virus, altro tema sul quale Biden si trova già attanagliato in una posizione dove i margini di manovra sono minimi. Anche in questo caso il presidente eletto cercherà di prendere decisioni con cautela in prima battuta, con l’obiettivo di non rendere il dibattito interno incendiario. Se sul tema pandemico Biden sarà molto cauto, la vera svolta potremmo vederla sul piano economico. Molte misure immediate saranno dettate dalla necessità della crisi sanitaria, quindi misure a deficit per il sostegno all’economia in difficoltà e il mantenimento di bassi tassi di interesse. Il debito pubblico crescerà e per questo motivo il 78enne democratico dovrà cercare soluzioni per rimettere in moto l’economia statunitense. Ed è proprio nelle modalità in cui Biden cercherà di rilanciare l’economia che si noteranno le maggiori differenze con il predecessore.
Osservando il fulcro del programma elettorale, notiamo un completo cambio di rotta rispetto alle politiche di Trump: l’obiettivo è quello di mettere al centro l’economia verde, sulla quale ci saranno ingenti finanziamenti al fine di creare circa dieci milioni di posti di lavoro nel lungo periodo, attraverso gli investimenti infrastrutturali, la transizione all’energia pulita, il potenziamento della sanità pubblica e l’obiettivo di ridimensionare le discriminazioni razziali. La realizzazione dell’ambizioso piano economico sarà uno dei primi banchi di prova per Joe Biden, il quale propone anche un aumento delle tasse soprattutto per le imprese e i redditi che superano i 400.000 dollari. Le sfide sono complesse, ma se inizialmente dal punto di vista sanitario il presidente eletto si dovrà muovere con cautela cercando di riunire la nazione, le ambizioni del suo piano economico richiederanno un forte slancio iniziale per non dover rincorrere risultati tangibili verso la fine del mandato presidenziale.