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TematicheCina e Indo-PacificoI dubbi dell’accordo italo cinese

I dubbi dell’accordo italo cinese

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L’imponente Boeing 747 di Air China atterrato da Pechino nelle scorse ore con a bordo Xi Jinping e oltre 200 delegati, rappresenta al meglio l’importanza per la Cina di questo incontro bilaterale. Sui giornali molto si è scritto in merito a questo storico evento ma, il tono trionfale che ha caratterizzato i diversi incontri istituzionali e le cene di gala romane, necessitano di alcuni doverosi approfondimenti. Proviamo allora a fare un po’ di chiarezza. 

La Cina è senza ombra di dubbio un partner commerciale di primario livello. È la seconda economia mondiale dopo gli USA e ha una forza lavoro di 800 milioni di persone circa; il suo PIL cresce dal 1999 con un tasso mai inferiore al 6% e la disoccupazione media è la metà di quella italiana.

Di fronte ad un Europa debole (con un Italia a rischio stagnazione) intensificare i rapporti commerciali con Pechino è un opportunità a cui oggettivamente non si può rinunciare ma il memorandum sottoscritto tra i due governi nelle scorse, per un valore potenziale di 20 miliardi, rischia di essere un boomerang per il nostro paese.

Ad oggi, secondo i dati ufficiali del Ministero dello sviluppo economico, esportiamo in Cina poco più di 13 miliardi di Euro con addirittura una flessione rispetto all’anno precedente di quasi 3 punti percentuali. Di contro, l’importazione dal paese comunista, è pari a circa 31 miliardi di euro e i dati degli ultimi anni sottolineano una costante ed inarrestabile invasione di prodotti cinesi sul mercato nazionale. Un invasione talvolta dettata da una politica economica aggressiva e da una concorrenza sleale.

Una concorrenza che negli ultimi decenni è stata, in parte, la causa della chiusura di molte medie e piccole aziende italiane, specie lombarde, che non hanno retto la concorrenza asiatica nella produzione artigianale. Il memorandum firmato, è giusto ricordarlo, non ha valore legale ma è un accordo di intenti che prevede una serie di punti per un rafforzamento ed una maggiore partnership tra i due paesi.

Quello che non è chiaro è come l’Italia potrà guadagnare da un accordo di questo tipo visto che ad oggi c’è la certezza che potremo vendere (ed è un bene) le arance siciliane tramite il celebre portale “alibabà” ma di contro avremo ad esempio possibili ingressi azionari cinesi (ed è un male) nei CDA delle principali infrastrutture italiane. Infrastrutture determinanti per importare più beni dal gigante asiatico.

È noto a tutti che è l’esportazione a far crescere l’economia di un paese e la Cina rappresenta per noi il nono mercato per la vendita dei nostri prodotti. Sempre per chiarire la situazione con qualche numero ufficiale, vendiamo più Made in Italiy in Belgio che in Cina considerando però che la popolazione belga rappresenta meno di un centesimo di quella cinese mentre i nostri due principali mercati leader per l’export continuano ad essere la Germania e la Francia a cui vendiamo le nostre merci tra le 4 e le 5 volte rispetto a quanto si vende a Pechino.

Non si comprende allora perché tanto entusiasmo per un Memorandum con il Governo di Pechino e tanta acredine nei confronti di Berlino e Parigi senza cui la nostra economia sarebbe a terra. Certo l’Europa ha le sue colpe e l’ammonimento, più che giustificato, di Bruxelles dinnanzi agli accordi di questi giorni è tardivo e necessiterebbe di qualche esame di coscienza. Come è possibile ad esempio constatare che ogni importante infrastruttura costruita nella zona balcanica sia firmata da un’ azienda cinese e l’Europa non sia stata in grado di aiutare un’area geografica di naturale appartenenza europea?

Infine un ultimo punto, il cui silenzio assordante è stato interrotto dal solo presidente Mattarella, è quello sui diritti umani. Secondo Amnesty International l’85% delle condanne a morte al mondo avvengono in Cina; i principali siti internet quali Google, Facebook o Instagram sono inaccessibili. I processi sono sommari, la corruzione è ancora dilagante ed il presidente Xi Jinping auspica l’annessione del democratico stato di Taiwan senza alcuna remora. Un peccato che nelle sette pagine firmate nella sontuosa villa Madama non vi sia traccia di alcun riferimento a tutto questo.

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