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TematicheMedio Oriente e Nord AfricaI califfi all’ombra della Turchia

I califfi all’ombra della Turchia

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Il 3 febbraio scorso un raid delle forze speciali statunitensi ha portato alla morte di Abu Ibrahim al-Hashimi al-Qurashi, leader dello Stato Islamico. Hashimi, come il suo predecessore Abu Bakr al-Baghdadi, risiedeva a pochi chilometri dal confine con la Turchia, nei territori siriani controllati da Hay’at Tahrir al-Sham.

Il raid ed il ruolo della Turchia

Vi sono ancora diversi punti oscuri in merito all’operazione americana che ha portato alla morte dell’emiro Hashimi; nei prossimi mesi e anni, come accaduto per simili eventi nel passato, emergeranno versioni e resoconti più completi, magari anche discordanti tra di loro. Partendo da alcuni dettagli di dominio pubblico, e di particolare importanza, possiamo però porci delle domande e darci delle prime risposte, nello specifico sul ruolo ricoperto dalla Turchia.


Innanzitutto, secondo il rapporto ufficiale, gli statunitensi da diversi mesi stavano monitorando Hashimi, il quale era stato individuato presso la città di Atmeh nella provincia di Idlib, a soli 2 chilometri dal confine con la Turchia. Hashimi, accerchiato dalle forze americane, avrebbe rifiutato la resa per poi uccidersi tramite una cintura esplosiva. La cittadina di Atmeh, come gran parte della regione di Idlib, è formalmente sotto il controllo di Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), un gruppo armato islamista che ruppe prima con lo Stato Islamico nel 2013, e successivamente con al-Qaeda tra il 2016 e il 2017. L’importanza di Atmeh risiede nel ritrovarsi al confine tra la regione di Idlib e i territori ribelli più a nord del governatorato di Aleppo, occupati dalla Turchia; un importante crocevia commerciale dove nel corso degli anni hanno trovato rifugio decine di migliaia di sfollati interni (IDPs, Internally Displaced People) e quindi un ambiente perfetto per un most-wanted terrorist in fuga. La presenza militare turca non si ferma però ai territori direttamente occupati a nord di Aleppo; al contrario, migliaia di soldati di Ankara sono dislocati in decine di “punti di osservazione” sparsi per tutto la regione di Idlib, e nell’immediatezza di Atmeh. Il dispositivo militare turco è concordato con HTS e mira a garantire il cessate il fuoco nella regione, siglato con la Russia. 

Studiando la posizione dell’abitazione attaccata dai commando americani, il giornalista siriano Ibrahim Hamidi ha evidenziato come essa si trovi a soli 150-200 metri da un checkpoint di HTS, 400-500 metri da una stazione di polizia della Turchia e circa un chilometro da un “punto d’osservazione” turco. Atmeh stessa si trova inoltre a soli circa 20 chilometri dalla cittadina di Berisha, dove nel 2019 gli Stati Uniti neutralizzarono il precedente califfo Abu Bakr al-Baghdadi.
A sua volta Berisha dista poco più di 5 chilometri dal confine con la Turchia.

Entrambi i califfi dello Stato Islamico sono stati quindi individuati ed eliminati in aree di competenza militare della Turchia, e a pochi chilometri dal confine turco.
Come se non bastasse, i due avvenimenti non possono essere definiti degli episodi isolati. Il giorno dopo la morte di Baghdadi gli Stati Uniti colpirono ancora nel nord-ovest siriano, e a cadere fu Abul-Hasan al-Muhajir, ex portavoce dello Stato Islamico, il quale venne ucciso nei pressi di Jarablus, anch’essa una città occupata dalla Turchia, a soli 9 chilometri dal confine turco. In diverse altre occasioni i droni americani hanno neutralizzato vari miliziani leali all’IS, operativi nei territori siriani occupati da Ankara. Alcuni di essi furono addirittura trovati in possesso di documenti d’identità rilasciati dalle istituzioni siriane legate alla Turchia 

La reale dimensione del coinvolgimento di Ankara e quello di HTS

Confrontando invece le conferenze stampa di Donald Trump e Joe Biden che hanno succeduto le due operazioni, possiamo notare come Ankara non abbia probabilmente preso parte a nessuna delle due. Nel 2019 l’allora tycoon repubblicano ringraziò la Turchia per l’aiuto fornito in modo generale, senza entrare nello specifico, nominandola assieme alla Russia, l’Iraq, le Forze Democratiche Siriane e addirittura la Siria di Assad. 

Un anonimo funzionario americano ridimensionò quindi l’aiuto turco in un secondo momento, affermando che “La Turchia non ha fornito nessuna assistenza in questa operazione, nonostante abbia avuto luogo lungo il suo confine”.
Il 3 febbraio scorso il Presidente Joe Biden, annunciando l’eliminazione di Hashimi, non ha menzionato un eventuale ruolo della Turchia. Inoltre, entrambe le missioni hanno coinvolto basi statunitensi nell’est e in Iraq, e non la base NATO di Incirlik, nonostante la sua prossimità ai due teatri operativi.
Un dettaglio importante, che sottolinea la distanza tra gli Stati Uniti e la Turchia in merito alla campagna anti-ISIS in Siria, anche quando si svolge nei territori di responsabilità turca.

Analisti e commentatori sono invece divisi in merito al ruolo ricoperto da Hay’at Tahrir al-Sham, guidato da Abu Mohammed al-Jolani. Se infatti finora ci siamo concentrati sulla Turchia, va sottolineato nuovamente come sia Baghdadi che Hashimi siano stati individuati in cittadine controllate dalle forze di sicurezza di HTS. Il gruppo islamista vede chiaramente nello Stato Islamico un acerrimo nemico; a dimostrare ciò vi sono le dozzine di raid condotti negli ultimi anni dai miliziani HTS contro cellule dello Stato Islamico in Idlib. Queste campagne “antiterrorismo” di HTS, rivolte anche contro al-Qaeda, hanno lo scopo di consolidare il controllo del gruppo nella regione, e ingraziarsi inoltre gli Stati Uniti e l’Occidente. Jolani e i suoi uomini, infatti, sono formalmente designati come organizzazione terroristica dagli USA. Hay’at Tahrir al-Sham rimane però un gruppo armato non-statale; la capacità di intelligence di HTS è quindi limitata dalla sua stessa natura. Inoltre, considerando la travagliata storia del gruppo, non è da escludere la collaborazione a sostegno di Hashimi, e nel 2019 di Baghdadi, di alcuni elementi di HTS simpatizzanti dello Stato Islamico, all’oscuro della leadership centrale.

In conclusione, la Turchia non sembra interessata a fronteggiare le minacce terroristiche legate all’IS lungo il proprio confine con la Siria. Il focus di Ankara nei territori siriani rimane la lotta e il contrasto alle Forze Democratiche Siriane, viste come una diretta proiezione del PKK curdo, e in secondo luogo il contenimento della pressione russo-assadista su Idlib. La strategia turca di “subappaltare” l’antiterrorismo in Idlib a HTS ha degli evidenti limiti; il gruppo, nonostante le frequenti operazioni che hanno ridimensionato il numero di cellule IS in Idlib, non sembra per ora poter garantire né alla Turchia né all’Occidente un capillare controllo dei propri territori. Di conseguenza, i vertici dello Stato Islamico vedono le regioni controllate da Ankara come ottimali per nascondersi dagli Stati Uniti.
Citando il recente rapporto dell’ONU sull’ISIS e al-Qaeda, pubblicato in seguito alla morte di Hashimi: “la zona di de-escalation di Idlib continua a essere strategica per lo Stato Islamico, fornendo un rifugio sicuro; un certo grado di attività dello Stato Islamico è riscontrabile lungo il confine con la Turchia”.

Questo aspetto è estremamente critico, e per diverse ragioni.
Funzionari statunitensi hanno svelato come Hashimi, completamente indisturbato, abbia per diversi mesi guidato le attività dell’IS grazie a dei corrieri, a pochi passi dall’esercito turco; possiamo quindi dedurre che il confine tra Siria e Turchia non garantisce solo un relativo grado di sicurezza, ma anche buona operatività.
Le frequenti operazioni anti-terrorismo americane, se da un lato portano all’eliminazione di pericolosi soggetti, dall’altro spesso, come avvenuto il 3 febbraio scorso, risultano in diverse vittime civili. In generale, la sola presenza di queste figure in aree civili garantisce un’elevata instabilità, che si ripercuote forzatamente sulla popolazione locale. Infine, non va ignorato l’aspetto retorico; la Russia alleata di al-Assad trae particolare vantaggio dall’inazione turca in campo antiterroristico, in quanto gioca a favore delle posizioni russe per il quale il governatorato di Idlib, che ospita milioni di innocenti e IDPs (Internally Displaced People) non sarebbe nient’altro che un covo di terroristi, da restituire a Damasco con la forza.

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