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Haiti: la democrazia alla prova dei fatti

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Dopo quattro anni di attese e rinvii, lo scorso 9 agosto si è aperto ufficialmente ad Haiti il ciclo elettorale. Iniziato con le legislative, proseguirà domenica 25 ottobre con le elezioni presidenziali, municipali e locali. Il 27 dicembre si svolgerà il secondo turno delle presidenziali, che porterà alla vittoria del candidato presidente uscito dal ballottaggio. La partecipazione molto bassa (18%) in occasione delle legislative, il ritardo nel diffondere i risultati ed i numerosi incidenti che si sono registrati possono sono segnali di cattivo auspicio per il prossimo turno. Un Paese che si troverà ad affrontare numerose sfide.

Il primo turno, organizzato per l’elezione di 119 deputati e 20 senatori (due per ogni dipartimento), è stato anche un banco di prova per il Consiglio Elettorale Provvisorio. Con l’appoggio delle Nazioni Unite e di altri partner internazionali, il CEP ha dovuto dare prova della sua capacità di gestire un processo elettorale di enorme complessità, sia dal punto di vista logistico che finanziario: si è richiesta l’installazione di 1508 seggi elettorali, li si è dotati del materiale necessario, si son formati centinaia di membri ed osservatori e si è cercato di garantirne la sicurezza.

Alla pubblicazione del calendario elettorale è seguita la registrazione dei partiti politici: i dati finali emessi dal Consiglio Elettorale Provvisorio stabilivano un numero di partiti pari a 128 (ne erano 192). I tre partiti che presentano un numero maggiore di candidati aggregati sono Vérité (dell’ex presidente Preval), il Parti Haitien Tèt Kale (dell’attuale presidente Martelly) e la Fanmi Lavalas (dell’ex presidente Aristide). Il CEP si è dovuto occupare anche dei candidati per le presidenziali: il 20 maggio ne sono stati registrati 70, scesi poi a 58 ed infine a 55 per non aver presentato il certificato di probità finanziaria. Nonostante le numerose proteste, il Consiglio non è tornato sulla propria decisione di escluderli dalla corsa elettorale.

L’Unione Europea ha registrato «un aumento delle candidature dal 40% al 50% in rapporto alle elezioni del 2010-2011». Tale aumento è spiegabile con la strategia ben studiata da parte dell’élites politica, che prevede un apparente allargamento dell’offerta elettorale: di fatto, quelli che possono veramente aspirare alle cariche elettive sono i candidati che hanno più finanziamenti, nonché l’appoggio degli USA. In tal senso deve essere interpretata la riforma del presidente in carica Martelly (aprile 2013), che riduce da 500 a 20 il numero di membri necessari per la creazione di un partito politico. Questa atomizzazione della compagine politica serve di fatto a nascondere il monopolio di potere detenuto dall’élite dominante.

Nonostante il supporto degli organismi internazionali alle autorità haitiane nello svolgimento delle elezioni, si pongono tuttavia una serie sfide politiche che interesseranno, in modo crescente, sia la classe politica che i cittadini. In particolare, analizzeremo la questione della dipendenza eccessiva dalla Comunità Internazionale e quella della legittimità politica delle autorità selezionate dal ciclo elettorale.

La prima sfida che il paese dovrà affrontare riguarda la dipendenza eccessiva dalla Comunità Internazionale, ed in primis dagli Stati Uniti (molto presenti sul territorio con contingenti militari ed amministrativi), nel finanziamento e nell’organizzazione dei processi elettorali. Ora, se è vero che la legittimità delle elezioni la decretano i cittadini e gli organi preposti alla vigilanza delle medesime, è altrettanto vero che la questione dei finanziamenti delle campagne elettorali è altrettanto importante. Secondo un rapporto dell’UE sono diventate più dispendiose: si è passati dai 19 milioni di dollari del 1995 ai 60 del 2015.

Da ciò deriva che, a prescindere dall’elevato numero di candidati presenti sulla scena politica, sia per le presidenziali che per le legislative, le personalità che effettivamente possono concorrere all’elezione sono coloro che hanno a disposizione una forte capacità finanziaria ed un appoggio, più o meno esplicito, da parte della Comunità Internazionale, Stati Uniti in primis. La stessa legittimità delle elezioni è stata più volte decretata da questi ultimi: si pensi alla presidenza Aristide (prima deposto da una giunta militare, poi rimesso al suo posto dagli USA); ovvero a Preval e Martelly, fortemente filo-americani.

Questa eccessiva dipendenza dagli Stati Uniti è facilmente spiegabile con la posizione che il paese occupa in un’area strategica per gli americani (il ‘cortile di casa’ secondo la Dottrina Monroe). Anche se molto spesso eluso e non sufficientemente studiato, Haiti rappresenta un paese centrale per l’equilibrio della regione caraibica. Assieme a Cuba ed alla Repubblica Dominicana, è il paese più popoloso dell’area (10.5 milioni di abitanti circa). Un mercato fortemente dipendente dai prodotti statunitensi. La sua stabilizzazione politica, dunque, rappresenta una priorità per il governo americano nella regione, così come è avvenuto con Cuba.

Stabilizzazione politica si traduce anche in una stabilizzazione (e miglioramento) delle relazioni con la Repubblica Dominicana: in tal senso deve intendersi il recente incontro tra Martelly e Medina. I rapporti tra i due paesi sono da tempo molti tesi, ed hanno recentemente determinato una serie di atti ostili di cui l’espulsione (più o meno spontanea) di decine di migliaia di haitiani residenti in Dominicana rappresenta un punto importante. Gli USA giocheranno senz’altro un ruolo fondamentale nella determinazione di tale equilibrio.

La seconda grande sfida che il paese dovrà affrontare è quella della legittimità. Si può affermare con certezza che i deputati e i senatori eletti durante il primo turno siano davvero legittimati da un voto popolare che rappresenta soltanto il 18% dei suffragi? E che parte di responsabilità hanno i cittadini nella mancata partecipazione al voto? Quest’ultima questione è legata alla prima. La partecipazione dei cittadini al gioco elettorale è estremamente bassa a causa degli atti di intimidazione e violenza che vengono perpetrati costantemente durante il periodo elettorale. Tali atti (denunciati a gran voce dal giornalista haitiano Gotson Pierre), sono parte di una strategia generale di ‘intimidazione’ della popolazione che mira alla conservazione del potere da parte dell’attuale classe politica. E, a quanto pare, la strategia funziona.

Su tale questione della legittimità, la Comunità Internazionale glissa. Stati Uniti, Unione Europea ed Organizzazione degli Stati Americani hanno un atteggiamento di connivenza, se non di totale acquiescenza, in un fenomeno che dovrebbe mettere in discussione l’istituto stesso della democrazia. Come ricordato, tale connivenza nasconde la volontà degli attori internazionali di avere un certo grado di stabilità nell’area caraibica. La chiave di lettura per un tale attegiamento la si può trovare nel Rapporto del Segretario Generale della MINUSTAH (Mission des Nations Unies pour la Stabilisation en Haiti), che parla di un risultato, tutto sommato, positivo; o nelle parole dell’ambasciatrice statunitense che ha dichiarato soddisfazione per i risultati delle legislative, nonostante i numerosi problemi: come dire che la forma prevale sulla sostanza.

Un’ultima domanda che ci si dovrebbe porre è la seguente: tale strategia di ‘stabilizzazione’ imposta nel paese, sarà sostenibile nel lungo periodo? Il problema di fondo di tale questione riguarda il processo inarrestabile di arricchimento dell’attuale classe dirigente (economica e politica). Lo Stato che si sta costruendo lentamente nel paese è senz’altro organico ad un gruppo ristretto di persone legate a doppio filo con le principali majors occidentali (soprattutto americane). Al contratio, ci si dovrebbe porre il problema di un malcontento strisciante e presente nella stragrande maggioranza della popolazione, che vive in condizioni disastrose, e che potrebbe esplodere da un momento all’altro. È il cassico dilemma tra stabilità e democrazia: non sono necessariamente connesse, ma sono entrambe fondamentali per l’affermazione di un percorso di sviluppo duraturo.

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