Gustavo Petro sarà il primo presidente di sinistra della storia della Colombia. La sua elezione conferma la tendenza regionale di spostamento verso sinistra e lascia numerosi dubbi sui rapporti futuri con gli Stati Uniti.
Primo turno e ballottaggio
Gustavo Petro sarà il primo presidente di sinistra nella storia della Colombia. Il candidato del Pacto Histórico ha ottenuto il 50% delle preferenze (che corrispondono a circa otto milioni di voti, la cifra più alta ottenuta da un candidato presidenziale) durante il ballottaggio dello scorso 19 giugno, battendo il populista e magnate Rodolfo Hernández, spesso paragonato a Donald Trump, il quale ha incassato il 47% dei voti. Il grande sconfitto delle elezioni colombiane è la destra dell’ex presidente Alvaro Uribe, rimasta esclusa dal ballottaggio e posizionatasi come terza forza del paese.
La vittoria di Gustavo Petro è senza dubbio il frutto di un malcontento generalizzato presente nella popolazione colombiana, che contesta la crescente povertà e le disuguaglianze economiche e sociali sempre più marcate.
Chi è Gustavo Petro: ex guerrigliero ora diventato presidente
Il neopresidente eletto ha un passato controverso. Ha infatti militato all’interno del Movimento 19 aprile (M-19), un gruppo guerrigliero di stampo socialista che ha portato avanti una dura lotta armata contro le istituzioni colombiane. Tra gli episodi più eclatanti legati all’M-19 vi è l’assalto al palazzo di giustizia di Bogotà avvenuto nel 1985, considerato come uno degli eventi più tragici della storia recente della Colombia.
Nel 1990, con gli accordi di pace e la dissoluzione del movimento, l’M-19 visse un’importante transizione: vennero deposte le armi e fu creato un nuovo partito politico, ovvero l’Alianza Democrática M-19. Gustavo Petro fu tra i principali artefici della creazione del nuovo raggruppamento politico, che ebbe anche un ruolo chiave nella scrittura della nuova Costituzione colombiana del 1991.
Nonostante il suo storico impegno in politica e la terza candidatura presidenziale (la seconda fu sconfitto proprio dal presidente uscente Ivan Duque), Petro si è da subito proposto come estraneo all’élite governante. In linea con il resto della regione, dove, nell’ultimo anno elettorale, i rappresentanti dei partiti tradizionali sono usciti quasi sempre sconfitti, anche in Colombia l’etichetta di outsider sembra aver giocato un ruolo fondamentale nel successo di Petro.
Ugualmente rilevante, e utile per comprendere la vittoria del candidato di sinistra, risulta essere la particolare congiuntura storica in cui si trova il paese. Negli ultimi anni, la Colombia ha attraversato diversi conflitti sociali, in particolar modo legati al processo di pace iniziato nel 2016, che ha inaugurato una nuova pagina della storia del paese, ma anche riaperto vecchie e profonde ferite. A questi fattori va poi aggiunto l’effetto della pandemia, che ha contribuito ad aumentare notevolmente le diseguaglianze nel tessuto sociale colombiano e ad erodere il rapporto tra elettorato e classe politica tradizionale. Segno di tale erosione sono state le numerose proteste, anche violente, scoppiate negli ultimi due anni contro il presidente Duque, che ha goduto di bassissimi livelli di popolarità.
Infine, l’altro elemento importante riguarda il cambio generazionale. Petro, infatti, ha avuto grande successo tra la popolazione giovanile: secondo i sondaggi pre-elettorali, più del 68% degli elettori di età compresa tra i 18 e i 24 anni e quasi il 61% di quelli di età compresa tra i 25 e i 34 anni avevano dichiarato di voler votare per Petro.
I punti chiave del programma
Il programma proposto da Gustavo Petro in campagna elettorale prevede una riforma radicale del sistema economico colombiano. In particolar modo, tra i punti salienti del suo programma vi è un sensibile aumento dei programmi sociali: sussidi alle categorie meno abbienti, garanzie di lavoro e reddito ai disoccupati, rafforzamento dell’istruzione superiore, slittamento verso una sanità prevalentemente pubblica e, infine, la riforma del sistema pensionistico. Tali misure richiedono un’ingente quantità di fondi, che Petro ha già fatto sapere di voler ricavare dall’aumento della tassazione sui quattro mila patrimoni più grandi della Colombia. In particolar modo, verranno presi di mira tutti quei redditi cosiddetti improduttivi, come i dividendi o i trasferimenti di denaro all’estero. Secondo Petro, la riscossione di tali imposte farebbe aumentare del 5,5% il PIL colombiano.
Per quel che riguarda il processo di pace iniziato nel 2016, Petro ha dichiarato di volersi impegnare nel “dare piena attuazione agli accordi” con il più grande gruppo ribelle del paese, ovvero le Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (FARC). Il piano sviluppato dal Pacto Histórico passa attraverso una riforma agraria che possa “democratizzare” e “disincentivare il latifondo” minando la disuguaglianza agraria oggi esistente. Petro ha inoltre specificato che tale riforma non passerà dall’espropriazione dei terreni, bensì avrà l’obiettivo di rimettere in discussione i trattati di libero commercio ad oggi in vigore. Occorre segnalare come il tema della riforma agraria sia di estrema delicatezza, poiché molti dei conflitti interni alla Colombia (compresa la nascita delle FARC) hanno avuto origine dalla richiesta di ristrutturazione dei mezzi di produzione agricola.
Altro punto chiave del programma riguarda la transizione energetica e la protezione ambientale. La Colombia è tra i paesi con la maggiore biodiversità a livello mondiale e per questo motivo Gustavo Petro e Francia Márquez (neovicepresidente) hanno inserito all’interno del loro programma elettorale l’obiettivo di frenare l’estrattivismo, proibendo la ricerca e lo sfruttamento di giacimenti di petrolio non convenzionali. Inoltre, non verranno concesse nuove autorizzazioni allo sfruttamento di idrocarburi; l’obiettivo finale è quello di portare avanti una transizione energetica che vada verso l’utilizzo di energie rinnovabili.
L’attuazione dell’ambizioso programma proposto dal Pacto Histórico rischia però di essere ridimensionato dal Congresso. Come accaduto in Cile, e soprattutto in Perù, il neoeletto presidente non gode infatti della maggioranza parlamentare, questo lo costringerà a dover stabilire alleanze e compromessi. A livello interno è senza dubbio la più grande sfida che attende il nuovo governo che si insedierà a partire dal prossimo 6 agosto.
Stati Uniti, Cina e Venezuela: dove si collocherà la Colombia di Petro?
L’elezione di Petro potrebbe mettere in discussione le ottime relazioni che il paese ha con gli Stati Uniti. La Colombia è, infatti, da anni il principale alleato statunitense nella regione. Negli ultimi due decenni, le amministrazioni americane hanno investito circa 13 miliardi di dollari per far fronte al crescente traffico di droga e per eradicare i movimenti di guerriglia presenti nel paese, ripristinando la logica che giaceva dietro al Plan Colombia varato da Clinton nel 1999: addestramenti militari e assistenza economica. Inoltre, è di qualche mese fa la notizia della nomina della Colombia come Major Non-NATO Ally, il che presuppone una serie di ulteriori vantaggi in termini di cooperazione militare, pur senza avere prospettive di adesione all’orizzonte.
Nonostante Petro abbia dichiarato di aver avuto una conversazione molto amichevole con Biden, che avrebbe parlato di una relazione “più equa a beneficio di entrambi i popoli”, i punti di potenziale frizione tra i due paesi riguardano da una parte gli interessi americani nel settore petrolifero colombiano, e dall’altra la lotta al narcotraffico. Soprattutto su quest’ultimo argomento le posizioni sono assai distanti. Il neopresidente colombiano ha già dichiarato di essere favorevole ad una parziale legalizzazione come misura di argine alla produzione clandestina. In particolare, ha dichiarato che cercherà di concentrarsi più sullo sviluppo delle comunità rurali di coltivatori di coca che sull’eradicazione della coca stessa. Un primo segnale a conferma di tali divergenze arriva dalle dimissioni dell’ambasciatore colombiano negli Stati Uniti, avvenute il giorno successivo all’elezione di Petro.
Inoltre, un altro punto di potenziale divergenza fra i due paesi riguarda l’avvicinamento che il governo di Petro potrebbe operare nei confronti della Cina, in cerca di nuove opportunità economiche. Ad oggi, Pechino risulta avere un ruolo dominante nella regione in ambito commerciale, e il gigante asiatico ha già fatto sapere, attraverso il presidente Xi Jinping, di voler iniziare un nuovo corso nelle relazioni bilaterali fra Cina e Colombia. In tal senso, è degna di nota la dichiarazione fatta da Petro in merito alla revisione dei termini del Trattato di Libero Scambio firmato il 15 maggio del 2012 da Stati Uniti e Colombia, che potrebbe lasciar intendere uno spostamento commerciale colombiano verso la Cina.
Infine, il grande interrogativo riguarda il rapporto che Petro instaurerà con il Venezuela di Nicolás Maduro. Nonostante il neopresidente eletto colombiano abbia definito come dittatoriale il regime venezuelano, ha già fatto sapere di voler ripristinare le relazioni diplomatiche fra i due Stati, annunciando la riapertura dei 2.200 km di frontiera condivisi. I confini fra i due Stati furono chiusi nel 2019 da Maduro a causa del riconoscimento, da parte del governo colombiano uscente, di Juan Guaidó come presidente ad interim del Venezuela. Si tratterebbe di un cambiamento rilevante, visto che la Colombia aveva fornito un appoggio chiave alla strategia dell’amministrazione Trump di isolamento del regime di Maduro. In tal senso, risulta interessante la dichiarazione fatta da Petro in cui allude “a un dialogo nella regione senza esclusioni”, una non troppo velata critica all’approccio dell’amministrazione Biden, che ha deciso di tenere fuori dalla Cumbre de las Americas i regimi autoritari della regione, Cuba, Nicaragua e, per l’appunto, Venezuela.
I cambiamenti in atto in Colombia vanno letti nella più ampia cornice regionale. Con l’eccezione dell’Ecuador, le elezioni più recenti hanno consegnato la vittoria ai candidati di sinistra in molti Paesi – dal Perù al Cile, dal Messico all’Argentina. Molti osservatori hanno dunque parlato di una nuova “marea rosa” (Pink Tide), richiamando la situazione di inizio anni Duemila, quando la maggior parte dei Paesi della regione si trovava con governi di sinistra al potere. Il parallelo storico non può in ogni caso oscurare le differenze sostanziali che intercorrono tra i singoli casi nazionali. Infatti, all’interno della stessa categoria vengono spesso ricondotte esperienze profondamente diverse, come quelle dei regimi autoritari di Cuba, Venezuela o Nicaragua, quelle di governi variamente definiti populisti di sinistra in Argentina, Messico o Perù, o quella della sinistra riformista di Boric in Cile. Dove si collocherà il nuovo governo colombiano in questo ampio spettro politico non è ancora chiaro. Ciò che è certo è che le posizioni che assumerà e le alleanze che stringerà l’esecutivo di Gustavo Petro risulteranno cruciali per l’equilibrio e il futuro del Paese e della regione.