Nell’ultimo decennio il fenomeno del traffico di droga in transito dall’Africa ha assunto proporzioni preoccupanti. L’Africa è sempre più sovente utilizzata come luogo di transito e base logistica per il traffico di droga in direzione delle destinazioni finali (principalmente l’Europa), dove sarà introdotta nel mercato al dettaglio. A seconda del tipo di stupefacenti trasportati, i narcotrafficanti hanno tracciato delle vere e proprie rotte della droga, lungo le quali è stato organizzato un capillare ed efficace apparato logistico.
La cocaina, proveniente dall’America Latina, transita nel Golfo di Guinea alla volta del mercato europeo, altamente lucrativo per effetto di una domanda in costante aumento. L’eroina, in arrivo dall’Asia centrale, dove si concentra la fetta più consistente della produzione mondiale, passa attraverso l’Africa orientale e meridionale, per concludere il suo viaggio in Nord America. L’hashish, prodotto principalmente in Marocco e negli altri Paesi del Nord Africa, è trasportato in Europa e, sempre più frequentemente, nel Vicino Oriente. Malgrado in queste pagine l’attenzione sia focalizzata sul traffico di cocaina, esistono numerose analogie coi canali di smercio delle altre sostanze stupefacenti.
Le rotte di questo commercio mutano a seconda delle circostanze economiche, sociali e politiche nelle quali operano le organizzazioni criminali e, a seconda delle contingenze, i narcotrafficanti utilizzano i mezzi più disparati per trasferire i carichi di cocaina nel Golfo di Guinea. Il trasporto marittimo è senza dubbio il canale di spedizione privilegiato, seguito da quello per via aerea, in virtù dei costi ridotti e del livello di rischio relativamente basso. Dal luogo di approdo o di atterraggio, la cocaina non viene immediatamente movimentata in direzione del mercato finale, ma spesso attraversa le labili frontiere interstatali della regione per raggiungere luoghi sicuri di stoccaggio e smistamento, in attesa delle condizioni più sicure per farla dirigere in Europa. Secondo le stime dell’UNODC – Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine (che potrebbero sottostimare le reali dimensioni del fenomeno), circa il 27% delle 146 tonnellate di cocaina che ogni anno raggiungono l’Europa transiterebbero attraverso l’Africa. Il 98% della polvere bianca è solo di passaggio nel Golfo di Guinea, essendo destinata a raggiungere la ben più redditizia piazza europea. Gli elementi che segnalano la crescente rilevanza del ruolo africano nello smercio della cocaina non possono però fornire indicazioni altrettanto precise circa le effettive quantità di stupefacenti in passaggio dal continente.
Le cause che hanno originato il fenomeno e ne hanno provocato la recente recrudescenza sono molteplici e di diversa natura. È possibile ripartirle, secondo una classificazione “genetica”, in endogene ed esogene. Tra le prime figurano i sempiterni problemi di carattere politico che affliggono l’Africa, e che si manifestano con tutta evidenza in alcuni Paesi del Golfo di Guinea. Non a caso, sono proprio questi i contesti in cui la piaga del narcotraffico si è diffusa più rapidamente, generando conseguenze potenzialmente esiziali per i già precari equilibri socio-politici locali.
I diversi Stati che affacciano sul Golfo di Guinea sono accomunati dalla fragilità degli ordinamenti e dalla carenza di strutture burocratico-amministrative capaci di estendere il proprio controllo all’intero territorio nazionale e all’insieme delle attività su di esso insistenti. È questo un tratto caratteristico di molti governi africani, i quali, a fronte dei tentativi spesso infruttuosi di costruire un’architettura amministrativa di stampo europeo, hanno optato in tempi recenti per una forma di regolamentazione e di controllo più blanda, non necessariamente esercitata sull’intera popolazione o coincidente coi confini nazionali. Sempre più frequentemente, i governi africani hanno scelto di esercitare un’effettiva sovranità solo su aree circoscritte del territorio, quali la capitale (sede nevralgica in funzione della legittimazione nell’arena internazionale), eventuali altre città di rilevante importanza e le zone del Paese dove sono ubicati giacimenti, miniere o altre fonti di quelle materie prime che costituiscono, in molti casi, l’ossatura dell’economia e la principale o unica risorsa allocabile sui mercati internazionali. Ampie porzioni di territorio restano così prive di un effettivo esercizio del potere coercitivo legittimo, tanto da consentire la nascita e la proliferazione di attori di natura non statuale, sull’operato dei quali l’autorità centrale non è in grado di influire. Quanto più basso è il livello di controllo che le istituzioni sono in grado di esercitare sul territorio, tanto più esponenziale è il rischio che, in seno allo stesso, si rafforzino gli attori criminali, i quali traggono giovamento dall’assenza di strutture capillari di contrasto alle loro attività. I governi africani non hanno sempre abdicato alle proprie funzioni su base volontaria, ma talvolta vi sono stati costretti dalla mancanza di risorse economiche destinabili al controllo del territorio. Gli antagonisti del potere legittimo poggiano su basi ben più solide: ad esempio, i proventi del traffico di cocaina sono superiori al Pil di Gambia, Guinea Bissau, Capo Verde e Sierra Leone.
In questo quadrante geografico alcuni Stati rischiano di perdere legittimazione in favore di network criminali transnazionali che dispongono di capitali più consistenti, di mezzi militari di pari livello e che, spesso, godono dell’appoggio di padrini politici esterni. In tali contesti, la lotta contro il narcotraffico è certamente impari, data l’ineguale distribuzione di forze tra i contendenti. Se la fragilità delle istituzioni costituisce il tratto più marcato ed evidente della realtà politica africana, altrettanto meritevole di menzione è la loro permeabilità agli impulsi esterni. Laddove vige lo Stato di diritto, questo fenomeno potrebbe essere definito, in accordo con le peculiarità delle singole situazioni, cattura del regolatore o corruzione. Spesso, nei Paesi rivieraschi del Golfo di Guinea, si assiste ad un più preoccupante intreccio tra le istituzioni e gli interessi privati, che sconfina in vere e proprie commistioni tra pubblici poteri e reti criminali. La scarsità di risorse e la gestione neopatrimonialista della “cosa pubblica” hanno facilitato la penetrazione degli interessi criminali legati al narcotraffico nei gangli vitali degli stessi Stati. Rilevante, tra le cause politiche del transito di droga dall’Africa, è anche il ruolo delle forze armate nelle vicende nazionali. Queste detengono tuttora un vasto potere di ingerenza, in grado di condizionare la vita politica nazionale, pur essendo tramontata l’epoca dei frequenti colpi di Stato militari. Non è ben chiaro se, ed in che misura, i diversi eserciti nazionali possano contrastare il traffico di droga. È stato avanzato il sospetto che in alcuni casi siano gli stessi esponenti delle forze armate a giocare un ruolo di primi attori nelle reti criminali transnazionali, non solo omettendo i controlli previsti, ma addirittura favorendo logisticamente i traffici con servizi di scorta dal porto o aeroporto di arrivo sino ai confini terrestri del Paese.