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La guerra in Ucraina e il futuro dell’ordine internazionale: intervista al prof. Alessandro Colombo

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A un anno dall’inizio della guerra in Ucraina, il Centro Studi Geopolitica.info ha intervistato il professore Alessandro Colombo, docente ordinario all’Università degli Studi di Milano “La Statale” di Milano

Alcuni osservatori parlano della possibilità di una vittoria dell’Ucraina nel conflitto attualmente in corso. Che significa oggi “vittoria” per l’Ucraina? E che conseguenze potrebbe avere sull’instabilità che affligge l’ordine internazionale del post-Guerra fredda?

Vi possono essere due nozioni di vittoria: la prima è quella che viene ufficialmente dichiarata dal governo ucraino; la seconda, invece, è quella che viene perseguita più prudentemente dagli occidentali, ossia dai Paesi europei e Stati Uniti. La vittoria dell’Ucraina, sulla base della visione ufficialmente dichiarata del governo ucraino, consisterebbe in una completa cacciata dei russi dal territorio ucraino, la quale non riguarderebbe solo il Donbass, ma anche la Crimea [occupata dalle forze russe dal 2014]. Tuttavia, una vittoria del genere rischierebbe di essere percepita e considerata dagli osservatori e delle cancellerie internazionali eccessiva e soprattutto poco realistica in quanto richiederebbe uno sforzo militare e dei costi esorbitanti sia per gli ucraini sia per gli occidentali. La seconda nozione di vittoria consisterebbe in una cacciata dei russi dal Donbass, prevedendo, però, una situazione di stallo in Crimea. I Paesi europei e gli Stati Uniti non hanno, infatti, la pretesa e la velleità di cacciare i russi dalla Crimea per evitare che il conflitto si estenda. In questo caso si potrebbe parlare di una quadratura del cerchio: da un lato si fa di tutto affinché l’Ucraina vinca, dall’altro, però, si cerca di non farla vincere troppo. Per quanto riguarda le conseguenze che la vittoria potrebbe avere sull’ordine internazionale, bisognerà andare a vedere il tipo di vittoria che si otterrà. Nell’accezione dei Paesi occidentali, la vittoria non pregiudicherebbe, per esempio, la ripresa di rapporti accettabili tra la Federazione Russa e la NATO. Nel caso di una sconfitta rovinosa della Russia – una cacciata dei russi dalla Crimea si potrebbe definire come tale – tutto andrebbe completamente ripensato. Probabilmente la Federazione Russa vivrebbe una crisi interna di dimensioni tali da doverci fare ripensare la nozione di ordine internazionale nella sua interezza. 

Al netto di come finirà la partita sul terreno, a meno che il conflitto non si internazionalizzi, quali conseguenze produrrà sull’Alleanza Atlantica? 

Posto che il conflitto si è già internazionalizzato dal momento che la NATO, gli Stati Uniti e i singoli Paesi europei sono a tutti gli effetti parte del conflitto, siamo già a conoscenza delle conseguenze di breve periodo sulla NATO e quindi possiamo interrogarci altresì su quelle di lungo periodo. Le conseguenze di breve sono quelle date dal rilancio dell’Alleanza, il quale è passato attraverso almeno tre vettori: in primo luogo, la NATO è stato il soggetto di gran lunga più attivo nella gestione della crisi militare con la Federazione Russa. Secondariamente, l’Alleanza, durante il conflitto, è riuscita persino ad allargarsi, convincendo due Paesi [Svezia e Finlandia], che fino ad adesso si erano tenuti ai margini dell’Alleanza, a fare richiesta di ammissione; questo è naturalmente un enorme successo di carattere diplomatico. Il terzo vettore è il fatto che la NATO è riuscita a strappare concretamente un significativo aumento delle spese militari da parte degli Stati membri, cosa che non era riuscita ancora a fare se non in termini di promesse. Tutti questi tre fattori costituiscono un rilancio nel breve periodo della NATO. Dopodiché, la NATO, se viene rilanciata, sarà rilanciata con tutti i problemi che ha manifestato negli ultimi trent’anni. Dunque, è difficile che il grado di coesione all’interno dell’Alleanza possa crescere per effetto della guerra in Ucraina. 

Tanto per cominciare perché le preoccupazioni dei membri della NATO continuano a essere diverse tra loro. Il suo principale azionista, cioè gli Stati Uniti, è più focalizzato sull’Indo-Pacifico che sull’Europa e supporta il rilancio della NATO perché intenzionato a estenderla all’Indo-Pacifico. I Paesi europei, a differenza degli Stati Uniti, sono naturalmente più concentrati sul proprio territorio che sull’Indo-Pacifico. Tuttavia, tra i Paesi europei, i diversi Stati membri sono interessati a questioni differenti. Per esempio, Stati dell’Europa centro-orientale e baltica saranno ancora a lungo ossessionati dalla minaccia della Federazione Russa; mentre è probabile che i Paesi del Mediterraneo, in particolare il nostro, finiranno molto presto a essere occupati da altre problematiche. Non bisogna dimenticarsi, infatti, che non solo la Russia confina con l’Europa, ma vi sono anche la sponda del Mediterraneo, nella quale vige una crisi strisciante che rischia sempre di esplodere in altrettante crisi puntuali, e i Balcani, i quali stanno vivendo una fase di transizione molto pericolosa. Credo che tra uno/due anni le preoccupazioni di sicurezza degli Stati membri della NATO torneranno ad essere quelle che precedevano lo scoppio della guerra. Con un’aggravante: questa guerra ha cambiato i pesi all’interno dell’Alleanza dando ai Paesi dell’Europa centro-orientale una rilevanza esorbitante, in modo particolare alla Polonia. Questo costituisce un’enorme sfida di carattere anche politico e identitario. Non dimentichiamoci, infatti, che fino ad un anno fa la Polonia era perennemente sul banco degli imputati con l’accusa o di sovranismo oppure di essere un Paese reazionario. A oggi, la Polonia ha assunto il maggior peso politico-militare di questa guerra e questo avrà un contraccolpo nelle relazioni tra i Paesi europei sia in ambito NATO che in quello dell’Unione europea. Non parliamo poi dell’eventualità che l’Ucraina entri a far parte della NATO o dell’Unione europea. Penso che sia difficile, in questo contesto, chiedere agli ucraini di non essere nazionalisti o sovranisti. Non ci si stupirebbe che gli stessi che oggi si schierano a fianco degli ucraini, entro due o tre anni torneranno ad accusarli di essere dei nazisti. 

Quali sono, a oggi, le prospettive dei rapporti di NATO e UE con la Russia? 

I rapporti NATO-Russia sono l’elemento critico. Le sensibilità all’interno dell’Europa e della NATO sono profondamente diverse. Ci sono Paesi che danno l’impressione di non porsi neanche un problema di ripresa delle relazioni con la Federazione Russa; dall’altra ci sono Paesi che hanno sempre percepito la Russia come un nemico naturale, come la Polonia. Alcuni Paesi vivono, inoltre, da duecento anni a questa parte, una paranoia russofoba anche con una buona dose di ipocrisia, come il Regno Unito. Questi Paesi mi danno l’impressione di non porsi molti problemi sulla ripresa delle relazioni con la Russia. Ci sono, invece, Stati che si pongono questo problema. Pensiamo all’insistenza con cui il Presidente francese Macron continua ad ammonire sul rischio che la Russia venga umiliata. Questo perché una Russia umiliata rischierebbe di porre un doppio rischio: da un lato, il rischio di cercare la rivincita – un Paese umiliato cova il desiderio di rivincita e fa di tutto per creare agli altri almeno una parte dei problemi che gli altri gli hanno creato. L’altro rischio, che continuo a pensare che sia letteralmente la tempesta perfetta per la sicurezza europea, è la trasformazione della Russia in un enorme Stato fallito. Non credo che sia nell’interesse di qualcuno, né degli Stati Uniti né dei Paesi europei, avere un gigante come la Russia in stato di quasi fallimento alle porte coerentemente ai rischi che venivano già sollevati agli inizi degli anni Novanta. Quindi questa è l’altra grande quadratura del cerchio: la NATO non può perdere questa guerra per questioni reputazionali, ma se quest’ultima ha un po’ di razionalità politica, come credo ce l’abbia, è consapevole di non poter vincere troppo perché c’è un limite oltre il quale la vittoria rischia di creare più problemi di quelli che risolve e la distruzione politica della Federazione Russa non è un buon affare. Inoltre, sarebbe un motore probabilmente di crisi che non credo, a meno che qualcuno mi convinca che i Paesi europei abbiano un futuro economicamente radioso, l’Europa sia nelle condizioni di poter gestire contemporaneamente. Gli Stati Uniti, non facciamoci illusioni, con molta probabilità, eleggeranno un Presidente che non sarà così entusiasta, come quello attuale, di investire ancora risorse per una guerra che una parte dell’opinione pubblica e degli studiosi americani ritengono secondaria. Questo perché gli Stati Uniti hanno individuato la Cina come sfidante fondamentale a livello internazionale e quindi si chiedono quale sia l’utilità del dissipare risorse al di fuori del tavolo principale. 

Da quanto è possibile osservare, quali sono i risultati della guerra di disinformazione che la Russia aveva lanciato all’inizio del conflitto quando le autorità russe continuavano ad affermare che non ci sarebbe stata nessuna invasione? Gli eventi che hanno preso origine dal 24 febbraio 2022 che effetti potrebbero avere su prestigio e credibilità del Cremlino? 

Per quanto riguarda il primo quesito, la Russia ha fatto solo ciò che tutti gli Stati nella storia umana hanno già fatto. Questa cosiddetta novità della disinformazione è fuorviante: nessuno confessa un crimine a meno che non sia masochista. La Russia ha cercato di nascondere, come è ovvio che avvenga, la propria aggressione fino all’ultimo momento. Può anche darsi che non tutti nella classe dirigente della Federazione Russa fossero convinti fino alle ultime settimane di dovere perseguire tale politica invece che altre; questa potrebbe essere una possibilità, ma lo verremo a scoprire tra qualche anno quando avremo accesso agli archivi. L’effetto, invece, che questa guerra ha avuto sulla Russia è stato devastante. La Russia ha già pagato un enorme prezzo reputazionale. Ne è uscita gravemente e ulteriormente ferita nel proprio status di grande potenza e si ha la sensazione che la guerra abbia inferto un gravissimo colpo anche alla sua credibilità. A meno che nelle prossime settimane la Russia non ci stupisca e vada a vincere trionfalmente la guerra, il Paese uscirà dal conflitto gravemente indebolito. Questo sarà, a guerra finita, un problema anche per il Presidente Vladimir Putin in quanto si apriranno i conti all’interno del suo governo per scoprire chi ha sbagliato e chi è responsabile degli errori commessi. La Russia post-sovietica passa da una diminuzione reputazionale all’altra. È un Paese che ha vissuto una deprivazione relativa clamorosa e questa deprivazione non è qualcosa che si paga solo sul terreno del potere, ma anche su quello dell’identità. Trentacinque anni fa la Russia era una delle due Superpotenze del sistema internazionale, mentre oggi è ridotta a essere un Paese che non riesce a prendere il Donbass dall’Ucraina. Dal punto di vista dell’identità russa, dell’autorappresentazione, è una mezza catastrofe. 

Un ulteriore indebolimento della Russia, sia sul piano economico che su quello militare, avvantaggerebbe la Cina, nonostante il calo nella crescita economica del Paese a causa delle sue politiche contro il Covid? Una Russia perdente potrebbe, in sostanza, velocizzare il processo di ascesa della Cina a più importante sfidante degli Stati Uniti?

Non credo ci sarà un effetto diretto. Anzi, la Cina ha tutto l’interesse che la Russia non perda troppo. Si tratta di due partite in larga parte separate. Da un lato la Cina, per conto proprio, è cresciuta e sta crescendo in modo tale da configurarsi come l’unico sfidante credibile degli Stati Uniti a livello globale. La Russia, nelle migliori delle ipotesi, resterà quello che in realtà era già stata negli ultimi anni, ovvero un partner minore in questa sorta di collaborazione strategica/opportunistica tra Federazione russa e Cina. La sua condizione di inferiorità all’interno della collaborazione sino-russa non è affatto vero che sia un effetto della sconfitta in Ucraina, quali che siano le dimensioni di questa sconfitta. Tra i due Paesi c’è un abisso economico, politico, di capacità organizzative e, a questo punto, anche militari. Questo è un elemento incontrovertibile. A maggior ragione, dopo la fine di questa guerra, la Russia, nelle migliori delle ipotesi, resterà un alleato minore della Cina in quanto non sarà in grado di imprimere nella collaborazione una direzione propria. 

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