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Aggiornamenti dalla guerra civile etiope: il Nobel per la pace va in guerra, la via dell’escalation e le preoccupazioni internazionali

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Le ultime settimane sono state particolarmente calde sul fronte della guerra civile etiope, che vede ormai da circa un anno lo schieramento governativo e i ribelli tigrini competere per il controllo del territorio. La situazione è sempre più preoccupante per gli osservatori internazionali che temono un’ulteriore escalation di violenza nella regione, già fonte di preoccupazioni per la profonda crisi umanitaria e lo spettro di tendenze genocidarie.

L’ipotesi della caduta di Addis Abeba

Nella prima settimana di novembre si era fatta largo la possibilità che la capitale etiope Addis Abeba cadesse nelle mani dei ribelli tigrini: seppur la capitale non fosse mai stata sotto minaccia diretta del Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè, i ribelli stavano avanzando con decisione verso sud. In quei giorni il Tigray People’s Liberation front (TPLF) e l’Esercito di Liberazione Oromo (OLA) – un gruppo separatista della regione Oromia dell’Etiopia – avevano anche reso pubblica la loro “unione” e annunciato la conquista di due città strategiche lungo un collegamento commerciale vitale tra Addis Abeba e il porto di Gibuti.

Questa notizia ha da subito messo in stato di allerta gli attori internazionali e il governo etiope, che ha risposto con immediatezza: il primo Ministro Abiy Ahmed, dopo il voto favorevole dei deputati etiopi, ha indetto lo stato di emergenza, che permette la coscrizione di qualsiasi cittadino in età militare che abbia armi. Questo ha dato il via a una serie di azioni volte all’arruolamento della popolazione civile: il sindaco di Addis Abeba ha invitato i residenti a prendere le armi per rendere sicuri i loro quartieri e l’esercito ha chiesto ai veterani di tornare in servizio.

La discesa in campo di Abiy Ahmed

Dopo aver lanciato svariati appelli alle armi rivolti a tutta la popolazione, il 23 novembre il Primo Ministro Abiy Ahmed ha annunciato che avrebbe guidato lui stesso la difesa delle forze governative, lasciando il Ministro degli Esteri a fare le sue veci nella capitale. Nello stesso momento le forze ribelli reclamavano la presa di Shewa Robit, ad appena 220 chilometri da Addis Abeba, e l’intenzione di rafforzare il controllo su Afar e Amhara, due Stati confinanti con il Tigrè. Il susseguirsi di annunci ha reso il clima particolarmente teso. Il Premio Nobel 2019 per la Pace si è lanciato in dichiarazioni incendiarie contro i ribelli, mentre il TPLF ha dichiarato ai media internazionali che Abyi Ahmed non è mai stato interessato a una vera pacificazione. 

Il 28 novembre l’esercito etiope ha annunciato, dopo pochi giorni dalla scesa in campo del Premier, di aver ripreso la città di Chifra, nella regione di Afar. Dopo la diffusione di vari video che ritraggono il Primo Ministro etiope al fronte, il 1 dicembre il portavoce del governo, Legesse Tulu, ha annunciato che le forze fedeli allo Stato centrale avevano ripreso anche il controllo di Shewa Robit. Il governo etiope ha dichiarato sempre nello stesso giorno la riconquista del sito patrimonio dell’UNESCO Lalibela, caduto nelle mani dei ribelli lo scorso agosto. Il Fronte Popolare tigrino ha quindi subito un duro colpo, dopo un inizio di novembre in cui la simmetria del potere sembrava volgere in suo favore. Il Premier Abyi in un discorso ai soldati ha dichiarato il fronte tigrino sconfitto e lo ha intimato ad arrendersi: “Il nemico è sconfitto. Il nostro compito rimanente è quello di sbaragliare il nemico e distruggerlo (…) I giovani del Tigrè stanno cadendo come foglie. Dovrebbero sapere che sono stati sconfitti e arrendersi a partire da oggi”.  Al momento il TPLF non ha rilasciato dichiarazioni in merito.

Le reazioni internazionali

Gli attori internazionali hanno seguito gli avvenimenti dell’ultimo mese con preoccupazione crescente, anche in luce di un potenziale effetto destabilizzante al di fuori dei confini etiopi. Il 27 Novembre, l’esercito del Sudan ha riferito che “diversi” soldati sono stati uccisi in un attacco di gruppi armati e milizie legate all’esercito etiope nell’area di Al-Fashaqa. L’Etiopia ha negato ogni coinvolgimento e ha riversato le responsabilità dell’accaduto sulle forze armate tigrine.

Francia, Irlanda e Regno Unito hanno esortato i cittadini che attualmente vivono in Etiopia a lasciare il paese il prima possibile, avvertendo che il deterioramento della situazione della sicurezza potrebbe presto portare alla chiusura dell’aeroporto di Bole ad Addis Abeba. Mentre i governi europei invitano i loro cittadini a lasciare l’Etiopia e il personale diplomatico viene espulso, l’UE è sempre più preoccupata che l’escalation del conflitto civile rischi di far crollare completamente il Paese.

Il Segretario di Stato Blinken ha espresso un alto livello di preoccupazione per la situazione etiope definendo il Paese sulla “via della distruzione”. In un’intervista rilasciata alla CNN, Anthony Blinken ha aggiunto che “non c’e’ una soluzione militare” al conflitto etiope perché “le forze in campo non hanno possibilità di vittoria l’una sull’altra”. La nuova amministrazione statunitense sembra essere più presente sulle questioni africane rispetto a quella uscente; il 17 Novembre il Presidente Biden ha firmato un ordine esecutivo che autorizza ampie sanzioni contro coloro che sono coinvolti nella perpetrazione del conflitto in corso in Etiopia, compresi il governo etiope ed eritreo. 

Nell’ultima settimana, mentre il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi è in visita in Etiopia come segno di supporto al Primo Ministro, il governo di Ahmed Abiy è stato fortemente criticato dal mondo occidentale e dalle organizzazioni internazionali. Venire ad Addis Abeba “dimostra la fiducia della Cina nell’ Etiopia”, ha detto Wang dopo un briefing congiunto con il vice Primo Ministro della nazione del Corno d’Africa, Demeke Mekonnen.

Conclusioni

L’instabilità in Etiopia continua a colpire duramente il Paese e la sua popolazione. Le conseguenze del conflitto nel Tigré scuotono profondamente la politica interna di Addis Abeba. Abiy Ahmed, da pacificatore degli scontri etno-politici che avevano caratterizzato l’Etiopia fino alla sua elezione, sembra ricoprire ora il ruolo di istigatore di nuovi e vecchi conflitti. Inoltre, il prolungarsi delle tensioni etiopi sta coinvolgendo progressivamente anche attori internazionali. Allo stesso tempo l’epidemia da COVID, cambiamenti climatici e povertà endemica minacciano milioni di persone nel Corno d’Africa e la stabilità etiope può senza dubbio contribuire alla prosperità regionale.

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