L’allontanamento a furor di popolo del Presidente Compaorè,orientato a modificare la costituzione per ottenere un ulteriore mandato in Burkina Faso,e la nomina di un Capo dello Stato transitorio fino alle elezioni del novembre prossimo hanno aperto nuovi scenari nei processi di avvicendamento alla guida degli Stati africani.La primavera burkinabè ha inviato un importante segnale ai governanti del continente,in particolare a quelli determinati a restare in carica oltre i termini previsti dalle costituzioni dei loro Paesi.
Occorre sperare che dagli eventi in Burkina Faso traggano utile insegnamento anche i leaders della regione dei Grandi Laghi africani,che comprende notamente Burundi,Rwanda,Repubblica Democratica del Congo ed Uganda.Sono i Paesi che dal 1994 in poi hanno animato e condiviso una stagione di conflitti e di instabilità politica.Attualmente la regione appare pacificata,tranne le province orientali congolesi.In esse la sicurezza ed il controllo del territorio da parte del Stato permangono fragili e forse illusori,nella corsa allo sfruttamento illegale delle ingenti ricchezze del sottosuolo,nella quale coesistono e si intrecciano gli obiettivi dei gruppi ribelli, gli interessi di attori nazionali ed internazionali,la fragilità delle strutture statuali congolesi ed il carattere non inclusivo dei governi dell’area.
Ai timidi segnali di stabilità fanno riscontro le sfide all’orizzonte in Burundi,Congo e Rwanda,collegate alle prossime tornate elettorali. In Burundi,dove sono previste nel 2015 elezioni presidenziali e legislative,è in aumento il ricorso all’uso della forza per spianare la strada ad una riconferma del Presidente in carica e del suo partito. Dopo le tornate elettorali del 2006 e del 2011 il Congo da parte sua è tuttora alla ricerca di un miglioramento duraturo dei rapporti con i paesi vicini e delle riforme interne necessarie per affermare la pace e la sicurezza nell’intero territorio e la legittimità e l’efficacia del governo.
Le elezioni del 2006,le prime multipartitiche,libere e regolari dopo l’indipendenza,hanno messo fine alla transizione politica ed a un decennio di conflitti,ribellioni ed instabilità.Quelle del 2011 avrebbero dovuto consolidare un assetto democratico ancor fragile.Esse sono state invece preparate per consolidare il potere della classe dirigente,sollevando forti dubbi sulla regolarità e trasparenza delle procedure e sulla credibilità dell’esito finale.
D’altronde le timide proteste elevate dalla comunità internazionale nei confronti della modifica costituzionale operata alla vigilia del voto per abolire il secondo turno di ballottaggio alle presidenziali del 2011 non prometteva bene per il regolare e pacifico svolgimento della tornata elettorale e per la credibilità del risultato che ha riconfermato il Presidente Kabila.L’abolizione del secondo turno ha consentito al vincitore di essere eletto al primo turno con una maggioranza semplice e di evitare così il ballottaggio con Tshisekedi,oppositore storico di Mobutu,avente un grande ascendente popolare ed in grado di aggregare intorno a sè i milioni di elettori delusi dal regime.
In questi giorni la storia sembra ripetersi e le presidenziali previste il prossimo anno rischiano di slittare nel tempo se il Parlamento approverà una modifica della legge elettorale,che postula la tenuta di un censimento della popolazione ancor prima di andare al voto.La modifica è aspramente osteggiata dai partiti di opposizione e dalla società civile,che intravedono in essa una mossa di Kabila per restare al potere oltre la scadenza dei due mandati prevista dalla costituzione.Come effetto immediato della proposta sottoposta all’esame del Parlamento la capitale ed il resto del Paese sono divenuti teatro di violenti scontri tra manifestanti e forze di sicurezza e lo scenario burkinabè sembra far capolino anche sulle sponde del fiume Congo.Resta da vedere se il Parlamento congolese approverà o non la modifica della legge elettorale e quali saranno gli ulteriori sviluppi e le risposte delle cancellerie straniere che hanno più a cuore la pace e la stabilità nell’area.
Elezioni presidenziali sono in calendario nel 2016 anche in Rwanda,dove i notevoli traguardi socio-economici raggiunti dopo il genocidio del 1994 sono in parte offuscati dalle restrizioni delle libertà politiche. Gli sforzi vanno reiterati affinchè il ricorso alle urne si svolga in armonia con le regole democratiche e con il rispetto della legalità e delle prerogative del pluralismo partitico e non sia una prova di forza per affermare l’attaccamento al potere dei candidati e delle maggioranze uscenti,grazie all’appoggio determinante degli apparati statali.
Spetta in primo luogo ai leaders di Burundi,Congo,Rwanda ed Uganda,quasi tutti ex guerriglieri passati alla politica,il compito di sostenere i principi della legalità e della democrazia,non soltanto nel momento di ascendere al potere ma anche in quello di lasciarlo. Spetta poi alla comunità internazionale di dar prova di coerenza nella difesa dei principi fondamentali recepiti nella Carta delle Nazioni Unite e di non cedere alle tentazioni del ” fait accompli” e del”business as usual” che hanno arrecato notevoli perdite e sofferenze ai popoli dei Grandi Laghi.Che senso ha peraltro caldeggiare l’esigenza di stabilità nella capitale di un paese quando alcune sue province sono tuttora alla mercè di gruppi armati ed i livelli di sviluppo umano della popolazione sono agli ultimi posti nelle graduatorie mondiali?
Occorre infine un rinnovato impegno a tutti i livelli per estirpare le radici dei conflitti e dei sopprusi e per promuovere l’avvicendamento al potere all’insegna della democrazia,della non violenza e del rispetto dei diritti umani. Altrimenti spetterà ai popoli dei Grandi Laghi prendere in mano i loro destini dopo i lunghi anni di governi autocratici,conflitti,povertà e disordini.
Leonardo Baroncelli,
già Ambasciatore italiano nella Repubblica Democratica del Congo