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L’Unione Europea in competizione con la Cina: il Global Gateway come risposta alla Belt and Road Initiative

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Una strategia per rendere l’Europa fonte d’ispirazione nella costruzione di connessioni più resilienti con il mondo. Così lo ha definito la presidente della Commissione europea, Ursula Von Der Leyen, quando lo scorso primo dicembre ha presentato l’ambizioso progetto denominato Global Gateway.

Il piano, nelle intenzioni della commissione, intende promuovere una connettività intelligente, pulita e sicura in materia digitale, di energia e di trasporti tale da rafforzare i sistemi sanitari, dell’istruzione e della ricerca in tutto il mondo. In particolare, l’obiettivo di questo ambizioso progetto, è quello di realizzare collegamenti sostenibili e affidabili al servizio delle persone e del pianeta, creando allo stesso tempo le condizioni per affrontare le incombenti sfide globali: dai cambiamenti climatici alla protezione dell’ambiente, dal miglioramento della sicurezza sanitaria al rafforzamento della competitività e delle catene di approvvigionamento globali. 

Le risorse messe a disposizione dall’Unione Europea

Per raggiungere questi scopi il Global Gateway mira a mobilitare fino a 300 miliardi di € di investimenti tra il 2021 e il 2027 per sostenere una ripresa globale duratura, tenendo conto delle esigenze dei partner dell’Unione e degli interessi europei. Oltre a garantire gli investimenti attraverso gli strumenti messi a disposizione dalla Banca europea per gli investimenti (BEI) e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS) la strategia del Global Gateway si concretizzerà nella promozione dei valori democratici e di standard elevati rispetto alla governance e alla trasparenza, delle infrastrutture che verranno realizzate attraverso tali finanziamenti. Sotto questo profilo non si possono non cogliere dei riferimenti critici alle modalità con cui stanno prendendo corpo i progetti della Belt and Road Initiative (BRI) che la Repubblica popolare cinese ha sviluppato a partire dal 2013 e che vede l’Europa, oltre all’Asia e l’Africa, quali terminali dei suoi ingenti investimenti. In tal senso il Global Gateway costituisce lo sviluppo più recente di un lungo percorso di crescente attenzione alla connettività da parte europea, nonché ai rischi geopolitici derivanti da progetti di altre potenze, come nel caso appunto di quelli della Nuova Via della Seta. Sebbene l’UE, in una prima fase si sia dimostrata più attendista, l’accelerazione impressa dalla Von Der Leyen, indica un nuovo approccio da perseguire anche in questo ambito, considerato come strategico. Per queste ragioni si rintracciano nel Global Gateway dei chiari riferimenti alla potenza asiatica, in particolare laddove si valuta la possibilità di istituire uno strumento europeo per il credito all’esportazione che riesca ad aumentare la potenza di fuoco complessiva sia dell’UE che delle imprese che potrebbero agire in condizione di maggiore parità in quei paesi terzi, dove si trovano a competere con concorrenti che ricevono ingenti sostegni da parte dei loro governi. Una strategia europea per realizzare infrastrutture di qualità, che colleghino beni, persone e servizi in tutto il mondo attraverso progetti visibili e ad alto impatto. Si spiega così la volontà di curare con rinnovata attenzione aree strategiche quali i Balcani, il Medio Oriente, il Maghreb ed il Sahel in cui esercitare maggiore influenza.

Riflessi geopolitici della strategia europea sulle infrastrutture

Il Global Gateway rappresenta anche un riallineamento dell’Unione Europea rispetto alle politiche USA di contenimento della Cina nei suoi propositi egemonici, concretizzatisi in questi anni proprio attraverso gli investimenti infrastrutturali. Ciò in controtendenza rispetto ad un anno fa, quando in maniera del tutto sorprendente, l’UE stipulò con la Cina il Comprehensive Agreement on Investment (CAI), un accordo bilaterale mirante a rafforzare ed estendere la cooperazione economica, perseguendo il tanto agognato regime di reciprocità tra i due blocchi economici. In quella circostanza Washington non mancò di sollevare più di un rilievo. Da allora però si è registrata una rinnovata sintonia con gli Stati Uniti sancita in occasione del G7 di Glasgow, allorché il presidente Biden, nell’ambito del suo proposito di fronte comune delle democrazie, annunciò un piano coordinato di investimenti industriali nei Paesi a basso e medio reddito, il Build Back Better for the World (B3W). Una mossa che formalizzava il tentativo dUE,i arginare la preminenza cinese negli investimenti in strade, ponti, ferrovie, infrastrutture energetiche, idriche e digitali nei Paesi in via di sviluppo. Il Global Gateway nasce proprio con gli auspici di rafforzare quell’iniziativa. Un impegno ribadito anche durante la COP26 in cui è stata confermata la volontà di riunire tutti quei partner che condividono gli stessi principi e valori nell’affrontare la crisi climatica attraverso lo sviluppo di infrastrutture pulite, resilienti e coerenti con un futuro a zero emissioni nette. A distanza di un anno dal CAI è possibile comunque riscontrare un elemento di continuità nelle dinamiche interne all’Unione Europea. Infatti, come allora, a spingere in maniera convinta sul nuovo e ambizioso piano di investimenti europeo, pare esserci sempre la Germania, preoccupata dall’espansionismo cinese e quindi maggiormente convinta della necessità di ricercare con Xi Jinping una relazione più bilanciata. In questa direzione è opportuno segnalare come accanto alle risorse statali e comunitarie, tra gli obiettivi del Global Gateway, vi sia quello di attrarre anche molti capitali privati. Ulteriore tassello nell’attivismo della Commissione per giungere alla creazione di filiere autonome dimostratesi, soprattutto in questo periodo di crisi, cruciali per l’economia europea e per troppo tempo sottovalutate.

Ambizioni e criticità

Introducendo il Global Gateway, Ursula Von Der Leyen ha sottolineato l’importanza dei partenariati con i paesi africani. Anche sotto questo aspetto appare evidente il proposito di competere con gli investimenti cinesi nel continente, promuovendo progetti in grado di creare valore aggiunto su larga scala. Nello specifico la Presidente della Commissione, ha riconosciuto che l’iniziativa europea in Africa dovrà caratterizzarsi per investimenti intelligenti, affermando esplicitamente che “non ha senso per l’Europa costruire una strada perfetta tra una miniera di rame di proprietà cinese e un porto di proprietà cinese”. Un’occasione, dunque, per creare corridoi commerciali promuovendo allo stesso tempo, regole e pratiche in linea con le priorità ed i valori europei. Fermo restando dunque l’intenzione di rendere il Global Gateway uno strumento di autoaffermazione geopolitica dell’Unione Europea, non si possono non rilevare alcuni aspetti critici. Innanzitutto, il richiamo legittimo alla trasparenza, al rispetto dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori, rappresenterà una vuota dichiarazione di intenti se paragonata all’ambizione concreta di sfidare efficacemente la Cina e la Nuova Via della Seta. Per evitare il fallimento sarà opportuno stabilire tempi, modalità e soprattutto i progetti che si vogliono realizzare, rammentando che attualmente sono previsti già 1.300 progetti dell’iniziativa cinese in 165 paesi. Pechino starebbe inoltre aumentando la dotazione della Nuova Via della Seta, secondo Morgan Stanley, fino a 1,2 o 1,3 trilioni di dollari. Nella realizzazione del piano sarà altresì fondamentale dare sostanza alla proposta che vede l’UE non solo offrire ai partner condizioni finanziarie solide, sovvenzioni, prestiti agevolati e garanzie di bilancio per ridurre i rischi degli investimenti e migliorare la sostenibilità del debito, ma promuovere con decisione l’alterità del Global Gateway rispetto agli schemi di finanziamento opachi di Pechino, i quali prevedono delle pesanti, ancorché implicite, condizionalità politiche, come dimostrato tra gli altri dai casi dell’autostrada Bar-Boljare in Montenegro e dal porto di Hambantota nello Sri Lanka).

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