Dopo due mesi e mezzo dall’inizio del conflitto in Apure, la tensione tra la FANB e i gruppi dissidenti delle FARC sembra affievolirsi, ma a un costo potenzialmente molto elevato per Caracas: oltre ai dubbi sulla morte di Santrich e sulla liberazione degli 8 militari, il ritiro dell’esercito venezuelano rischia di lasciare nelle mani della guerriglia il controllo del territorio.
¹Questo articolo intende essere un aggiornamento sulla delicata situazione al confine tra Colombia e Venezuela. I dettagli sulle parti in causa, sui prodromi e sulle vicende del primo mese di conflitto sono stati già trattati in un precedente contributo.
La decisione di Caracas di ritirare parte del proprio contingente dalla zona calda dell’Apure apre nuovi scenari. Ma per comprenderne la portata, vanno richiamati alcuni degli accadimenti dell’ultimo mese di ostilità. Alla fine di aprile, dopo un breve periodo di tregua in cui era stata paventata la possibilità di aprire un tavolo di dialogo tra le parti, il ministro della Difesa venezuelano Vladimir Padrino López ha annunciato la morte di altri 8 militari della Fuerza Armada Nacional Bolivariana (FANB), mentre pochi giorni dopo l’ONG FundaRedes ha segnalato il ferimento di 5 membri dell’esercito di Maduro per mano della dissidenza del Frente Décimo nella zona di Los Cañitos. L’inasprimento del conflitto è stato poi confermato anche dalla notizia del rapimento di 8 militari venezuelani: a tal proposito – nel comunicato rilasciato dal ministero della Difesa venezuelano lo scorso 15 maggio – Caracas si appella alla comunità internazionale, denunciando il sequestro e dichiarando di aver avviato un dialogo con il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) per la liberazione degli ostaggi. Successivamente, il 20 maggio – in occasione di un’esercitazione militare nello Stato di Miranda – Padrino López ha nuovamente richiesto il rilascio dei prigionieri, sostenendo che: «Quello che accade in Apure è una minaccia che ha avuto la sua genesi in Colombia, un paese che da 60 anni è costretto a far fronte a conflitti di natura ideologica, armata, violenta e che è attraversato dalla piaga del narcotraffico».
Oltre alle ulteriori defezioni fatte registrare tra le fila dell’esercito venezuelano, una delle notizie di maggior rilevanza dell’ultimo mese è quella della morte del comandante di Segunda Marquetalia, Jesús Santrich. Secondo il comunicato emesso dal gruppo dissidente sul proprio sito web, il “guerrigliero cieco” sarebbe stato ucciso da un’imboscata eseguita da un commando dell’esercito colombiano lo scorso 17 maggio. L’operazione sarebbe avvenuta nella zona di confine della Serranía del Perijá, all’interno del territorio venezuelano, dove da tempo Santrich si era rifugiato per intraprendere nuovamente la lotta armata. Sempre stando ai guerriglieri, l’azione sarebbe stata ordinata e diretta dal presidente colombiano Iván Duque, benché da Bogotà – come prevedibile – non siano arrivate conferme in tal senso. Ciononostante, fin dal primo momento sono stati sollevati dubbi riguardo la veridicità della versione fornita dal gruppo dissidente, poiché tale coinvolgimento implicherebbe una violazione della sovranità territoriale venezuelana, che potrebbe comportare diverse problematiche e un’ulteriore esposizione per il governo di Bogotà, già costretto a far fronte a forti pressioni interne.
Parallelamente a quella dei guerriglieri, sono state effettuate diverse ipotesi alternative: 1) in primo luogo, che Santrich possa essere stato ucciso da alcuni gruppi di mercenari, interessati a riscuotere le taglie messe dai governi di Stati Uniti (10 milioni di dollari) e Colombia (3 miliardi di pesos) sulla testa del comandante di Segunda Marquetalia; 2) un’altra pista da seguire – sostenuta dal direttore della ONG FundaRedes, Javier Tarazona – è quella che vedrebbe il coinvolgimento diretto di Caracas, in quanto solo a Palazzo Miraflores potrebbero essere a conoscenza delle coordinate esatte dei luoghi dove si nascondono i cabecillas delle FARC e dell’ELN, e le avrebbero vendute alla dissidenza di Gentil Duarte in cambio della liberazione degli 8 militari sequestrati – una versione sulla quale, per il momento, il governo di Maduro non si è espresso; 3) infine, la terza ipotesi è quella che Santrich sia stato ucciso dalla dissidenza rivale del Frente Décimo, l’organizzazione che gode del supporto del gruppo più potente delle ex FARC, quello di Gentil Duarte.
Pochi giorni dopo la morte di Santrich, mentre l’opposizione – tramite le parole dell’ambasciatore del governo provvisorio venezuelano in Colombia, Tomás Guanipa – ha chiesto l’appoggio del Vaticano e della Croce Rossa per portare avanti le operazioni di rilascio dei militari rapiti, Javier Tarazona ha diffuso la notizia del rapimento di altri 4 componenti della FANB, per mano del Frente Décimo, guidato da alias “Iván”. Sebbene i militari siano stati rilasciati poche ore dopo, il sequestro rappresenta un ulteriore elemento a riprova della debolezza sistemica che le forze armate bolivariane hanno dimostrato nel corso del conflitto. Il culmine di tali criticità è stato raggiunto lo scorso 28 maggio quando – seppur senza dichiarazioni ufficiali da parte di Caracas – è stato segnalato il ritiro delle forze armate venezuelane dallo Stato di Apure. A tal proposito, sono stati chiusi i 9 checkpoint presenti sulla strada che collega La Victoria a La Soledad, mentre nella rotta tra La Victoria e Guasdualito (città a sud-ovest del Venezuela che ospita una base aerea militare della FANB) sono rimasti attivi solo 2 dei 7 checkpoint installati. Inoltre, i carri armati e alcuni veicoli sono stati spostati in un deposito vicino a La Victoria. A seguito del passo indietro da parte di Caracas, il 31 maggio il gruppo dissidente del Frente Décimo ha rilasciato gli 8 militari venezuelani rapiti lo scorso 23 aprile. Secondo quanto dichiarato dal ministro della Difesa Vladimir Padrino López, la liberazione sarebbe avvenuta nell’ambito dell’operazione “Águila Centenaria”. Lo stesso López ha poi ribadito che: «In ottemperanza alle precise istruzioni del presidente Maduro, continueremo a combattere le organizzazioni criminali che intendono utilizzare il sacro territorio nazionale per commettere crimini che pregiudichino la pace, lo sviluppo e la stabilità del paese».
Chi comanda in Apure
Alla luce di questi ultimi eventi, restano molti gli interrogativi da chiarire: quali saranno le conseguenze della morte di Jesús Santrich? A che prezzo sono stati liberati i militari venezuelani? E, soprattutto, chi assumerà il controllo della zona dopo il ritiro della FANB?
Secondo alcuni analisti, la notizia della morte di Santrich continua a destare numerosi sospetti, principalmente per l’assenza di conferme ufficiali che provino la veridicità dell’accaduto: interrogativi alimentati dal mancato ritrovamento del cadavere, ma anche dal fatto che l’Interpol mantenga validi i mandati internazionali di cattura, emessi dagli Stati Uniti e dalla Colombia nei suoi confronti, con l’accusa di associazione a delinquere, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti. Ad ogni modo, al di là delle suddette perplessità, l’annuncio della morte del guerrigliero cieco è giunto appena una settimana dopo la sentenza della Suprema Giurisdizione Colombiana sulla richiesta di estradizione di Santrich, avanzata due anni fa dal governo degli Stati Uniti, sulla base di reati compiuti dopo l’accordo di pace tra Bogotà e le FARC. Inoltre, l’eventuale conferma della sua scomparsa potrebbe far supporre che il Venezuela non sia più un luogo di rifugio sicuro per i leader della guerriglia, neanche per quelli della Segunda Marquetalia, che in passato avevano ricevuto l’appoggio esplicito del presidente Maduro.
Le problematiche in Apure, però, non si limitano alla morte del leader di Segunda Marquetalia, e restano sul campo varie questioni da approfondire. Come accennato in precedenza, sarà fondamentale cercare di comprendere i reali dettagli che stanno dietro la liberazione dei prigionieri della FANB avvenuta lo scorso 31 maggio. A dispetto del trionfalismo che traspare dal comunicato rilasciato da Padrino López, fonti indipendenti e dell’opposizione forniscono una visione opposta dei fatti. Secondo esponenti di FundaRedes, la liberazione sarebbe stata il culmine di una trattativa svoltasi a Ciudad Sucre, che vedrebbe coinvolta anche la Croce Rossa Internazionale, intervenuta su richiesta del Frente Décimo per garantire il rilascio dei sequestrati in cambio del ritiro dell’esercito venezuelano dall’area. Posizione condivisa anche dall’ufficio dell’alto commissario del governo provvisorio del Venezuela presso le Nazioni Unite. Tuttavia, le lamentele non arrivano solo dalle fazioni antagoniste, ma anche dagli stessi (ex) membri dell’esercito di Caracas: il generale a riposo José Salazar Heredia sostiene che le Forze Armate «si ritirano dall’Apure con un bilancio negativo in termini di morti, ostaggi e scomparsi, in mezzo al silenzio e all’umiliazione inflitta da una banda di terroristi insediati in territorio venezuelano». Inoltre, Heredia sottolinea la sua delusione per l’inopportuna immagine dei militari che festeggiano il rientro a Caracas con patatine e caramelle. Dello stesso parere anche un altro ex generale dell’aviazione venezuelana, il quale mette in evidenza come la liberazione dei soldati possa essere stata realizzata in cambio del ritiro delle truppe, e quindi della spartizione del territorio tra le fazioni di guerriglieri.
È proprio sulla questione del controllo territoriale che si gioca la partita più importante a livello geopolitico. Già alcuni giorni prima del ritiro della FANB dall’area, si sono registrati scontri tra la fazione di Gentil Duarte e l’Armada Colombiana, originati a seguito del sequestro da parte dell’esercito di Bogotà di due imbarcazioni usate dai guerriglieri per il trasporto di cibo nei loro accampamenti in territorio venezuelano. In risposta a questo gesto, la guerriglia ha teso un’imboscata sul fiume Arauca, attaccando le voladoras (piccole imbarcazioni veloci adibite al trasporto di merci e persone) delle forze armate, che a sua volta hanno risposto al fuoco. Tale evento rappresenta l’ennesima conferma dell’instabilità della zona e del ruolo preponderante della guerriglia in Apure. L’arretramento della FANB potrebbe avere delle conseguenze drastiche sugli equilibri della regione e sulla lotta al narcotraffico, rischiando di lasciare una fondamentale parte di territorio nelle mani di criminali stranieri. Inoltre, le molteplici criticità messe in luce dall’esercito venezuelano ne minano la credibilità anche su più larga scala, mettendo in dubbio la reale capacità di Caracas di garantire la sicurezza nel proprio territorio.
Sebbene l’informazione ufficiale di Miraflores abbia spesso presentato il fallimento come un atto di eroismo, in oltre due mesi di conflitto il bilancio per la FANB fa registrare pesanti perdite: 16 militari assassinati, 8 sequestrati e svariati dispersi. In virtù di questo saldo negativo, il Frente Institucional Militar – un’organizzazione formata da 260 militari in congedo – ha chiesto le dimissioni delle alte cariche dell’esercito venezuelano e «un processo per aver rinunciato al sacro dovere di difendere e mantenere la sovranità del Paese sul territorio». Contestualmente, la situazione per la popolazione rimane estremamente delicata: oltre alle migliaia di sfollati e ai numerosi arresti arbitrari, il governo di Maduro ha deciso unilateralmente di bloccare il passaggio pedonale umanitario, nonostante la Colombia abbia deciso di riaprire le frontiere lo scorso 2 giugno. Questa scelta obbliga molti migranti a utilizzare percorsi alternativi (oltre 500 trochas) ad oggi interamente controllati dai guerriglieri, i quali impongono il pagamento di un pedaggio per consentire il transito. La decisione di mantenere chiusa la frontiera da parte del Venezuela favorisce il finanziamento diretto delle dissidenze con la complicità del regime di Maduro.
Alla luce degli avvenimenti descritti, la situazione in Apure resta molto complicata e imprevedibile. A tal proposito, secondo fonti locali lo scorso 13 giugno il Frente Décimo delle FARC ha ordinato alla popolazione dei villaggi di El Ripial e La Capilla (a est della città de La Victoria, centro nevralgico degli scontri) di lasciare il territorio, in quanto potrebbe scoppiare a breve un nuovo conflitto per il controllo della zona. Vista la scarsità di notizie ufficiali, resta da chiarire quali saranno gli attori eventualmente coinvolti. Quel che è certo al momento è che se Caracas non sarà in grado di riportare la situazione sotto il proprio controllo, le conseguenze sul piano geopolitico e umanitario rischiano di stravolgere gli equilibri regionali.