Il recente tentativo di avvelenamento del blogger russo Alexei Navalny, da più parti imputato alla Russia di Vladimir Putin, getta un’ulteriore ombra sul gasdotto Nord Stream 2, la cui realizzazione è già da tempo minacciata dall’opposizione europea e dalle sanzioni imposte dagli Stati Uniti. Per la prima volta, infatti, anche la Germania, prima beneficiaria dell’eventuale raddoppio di Nord Stream, apre alla possibilità di rivedere i piani relativi alla costruzione del gasdotto che porterà in Europa altri 55 miliardi di metri cubi di gas russo all’anno.
Un gasdotto in fase avanzata (ma in ritardo)
Nei piani del presidente russo Vladimir Putin, Nord Stream 2 avrebbe dovuto essere operativo intorno alla fine del 2019. I (numerosi) tentativi americani ed europei di bloccare la realizzazione del gasdotto hanno comportato, fino ad ora, un significativo aumento dei costi e, soprattutto, un ritardo nella sua costruzione, che si trova comunque oramai in una fase avanzata: ad oggi, infatti, è stato completato più del 90% del tragitto. E se ancora sino a pochi mesi fa si pensava che il gasdotto avrebbe potuto essere operativo tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021, i recenti avvenimenti rendono sempre più probabile un ulteriore rinvio, se non addirittura una (comunque difficile) cancellazione del progetto, così come avvenuto in passato con South Stream.
Le sanzioni (e le ambizioni) americane
Osteggiato anche dall’amministrazione Obama (il presidente americano George Bush aveva già manifestato il proprio dissenso verso la realizzazione di Nord Stream), Nord Stream 2 è diventato presto uno dei bersagli principali del presidente Donald Trump. La posizione del presidente americano è stata riassunta dal Vice Segretario di Stato John Sullivan, che nel corso di un viaggio a Kiev nel 2018 affermò la contrarietà degli Stati Uniti al raddoppio di Nord Stream in quanto avrebbe messo in pericolo “la sicurezza e l’indipendenza energetica europea, minacciando al contempo in maniera significativa l’Ucraina”. Da qui la decisione del presidente Trump, nel dicembre 2019, di adottare un pacchetto di sanzioni contro le società impegnate nella costruzione del gasdotto costringendole, di fatto, a bloccarne la realizzazione, così come la recente lettera minatoria di tre senatori repubblicani contro la società che gestisce le attività portuali della città tedesca di Sassnitz, accusata di fornire sostegno logistico ai lavori per il Nord Stream 2. Alla base della contrarietà americana alla realizzazione del progetto non vi è solamente la volontà di ridimensionare l’influenza che la Russia è in grado di giocare su alcuni paesi europei attraverso le proprie forniture di gas, bensì anche quella di erodere quote di mercato europeo a Mosca: da qualche anno, infatti, gli Usa stanno inviando in Europa navi cariche di shale gas.
L’opposizione di Visegrad
Se Francia e Germania sono stati sino ad oggi i principali sostenitori del raddoppio di Nord Stream, altri paesi del vecchio continente, invece, hanno sin da subito manifestato la propria contrarietà al progetto. Particolarmente attivi in tal senso sono i paesi del cd. “Blocco di Visegrad”, ovvero Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Polonia. Due sono fondamentalmente le ragioni alla base dell’opposizione di questi paesi che, nei primi tre casi, hanno una dipendenza dei consumi interni dalle importazioni russe che si attesta tra l’80% e il 90%. E’ chiaro quindi come vedano nella diversificazione delle fonti di approvvigionamento innanzitutto un mezzo per ridurre la propria dipendenza dalla Russia, vera e propria condizione per ottenere investimenti e supporto politico dagli USA. Ma, soprattutto, paesi che, qualora Mosca decidesse di convogliare su Nord Stream buona parte del gas che oggi viene trasportato in Europa, perderebbero gli (elevati) introiti derivanti dai diritti di transito pagati da Gazprom. A guidare il “Blocco di Visegrad” troviamo la Polonia, che punta in particolare sulla realizzazione del Baltic Pipe, un nuovo corridoio intereuropeo del gas che fornirà gas direttamente dalla Norvegia in Polonia, Danimarca e nei paesi confinanti, per ridurre ulteriormente l’influenza di Mosca nell’area.
Lo scontro con Bruxelles
All’offensiva di alcuni paesi europei si aggiunge poi quella delle istituzioni europee, in particolare della Commissione europea, che prova a fermare, o comunque ad ostacolare, la costruzione del gasdotto sul piano legale e del Parlamento europeo, che nel 2016 ha approvato una dura risoluzione nella quale chiede di abbandonare il progetto, definendolo “una minaccia per la sicurezza europea”. Proprio recentemente, il regolatore tedesco ha respinto la richiesta di Gazprom di derogare all’applicazione della (nuova) normativa europea, approvata nel 2019, che impone ai gestori delle infrastrutture di permettere l’accesso a società terze anche nei progetti offshore così come la separazione delle attività tra fornitori di gas e proprietari dei gasdotti. Una decisione che influirà sia sui tempi di realizzazione che, in particolare, sui costi.
Un gasdotto al veleno
L’avvelenamento del blogger russo Alexei Navalny, principale oppositore del presidente russo Putin, rappresenta la vera novità nella “lotta” politica ed economica contro la realizzazione di Nord Stream 2, dal momento che ha provocato reazioni senza precedenti tra i politici tedeschi, portando anche il cancelliere Angela Merkel, attraverso una propria portavoce, a riconoscere come questo episodio potrebbe avere conseguenze negative sulla realizzazione del gasdotto. Sino ad oggi, infatti, la Germania, il paese che beneficerebbe in primo luogo dei 55 miliardi di metri cubi di gas russo, è stato il principale sostenitore del Nord Stream, tanto da essersi più volte scontrata con gli USA, accusati, anche dall’Unione Europea stessa, di violare il diritto internazionale attraverso le sanzioni, e con l’ex cancelliere Gerard Schroeder presidente del consorzio Nord Stream AG.
Tutto ruota intorno a Berlino
Difficilmente le sanzioni americane e l’opposizione europea potrebbero riuscire nell’intento di bloccare la costruzione di Nord Stream, limitandosi per lo più a ritardarne la realizzazione ed aumentandone i costi. Ben diverso il discorso qualora anche la Germania dovesse cambiare idea sul progetto. Un’ipotesi, però, ad oggi poco realistica, dal momento che nel paese la produzione domestica di gas nel 2018 è crollata di oltre il 13%, a fronte di un calo dei consumi di poco superiore all’1%. In particolare, la realizzazione del gasdotto porrebbe i consumatori tedeschi in una posizione di vantaggio rispetto agli altri consumatori europei, dal momento che ricevendo per primi il gas lo pagherebbero ad un prezzo inferiore rispetto agli altri, che dovrebbero invece sopportare anche i costi del trasporto. La soluzione alternativa, ovvero quella di rimpiazzare il gas russo con lo shale gas americano, risulta abbastanza impraticabile: le (timide) aperture europee allo shale gas di Washington si sono presto scontrate con i costi di trasporto e i prezzi di vendita, nettamente superiori rispetto a quelli del gas proveniente da Mosca.
Fabrizio Anselmo
Geopolitica.info