Pochi giorni dopo la visita di Stato in cui Xi Jinping ha portato a casa l’assenso italiano alla Belt And Road Initiative (BRI) tra le polemiche degli alleati, anche il Lussemburgo ha firmato un simile memorandum d’intesa, diventando il secondo paese fondatore dell’UE a riconoscere la nuova visione del mondo secondo Pechino. Anche in questo caso la scelta è motivata da mire economiche piuttosto che strategiche, il granducato è un hub finanziario perfetto per le imprese cinesi. La “fame” di investimenti e la mancanza di una strategia comunitaria permettono alla Cina di conquistare sempre più spazio in Europa, un rapporto profondamente asimmetrico che potrebbe ridisegnare gli assetti continentali.
Per molti la nuova postura cinese, così smaccatamente assertiva, è una sorpresa. Mentre in Europa si guardava in maniera ossessiva alla figura di Vladimir Putin e della sua grande Russia, in Cina iniziava la terza rivoluzione dopo quella di Mao Tse Tung nel 1949 e di Deng Xiaoping alla fine degli anni settanta: una rivoluzione che ha il volto e il carisma di Xi Jinping. In patria il presidente cinese ha concentrato su di sé il potere, e dato alla politica estera della repubblica popolare una svolta decisa, quasi imperiale. Pechino adesso si considera una potenza ineluttabile e vuole dimostrarlo al mondo. Con la rivoluzione di Xi si chiude definitivamente l’epoca di Deng in cui l’impetuosa crescita economica era accompagnata da un rassicurante (ma calcolato) basso profilo.
La BRI è l’orizzonte geopolitico di questa terza rivoluzione, con essa Pechino punta a cambiare gli assetti internazionali e tornare a essere il centro del mondo. Nella cornice della BRI l’Italia interessa soprattutto per il porto di Trieste, l’idea è farlo diventare un hub logistico del Mediterraneo connesso alla Mitteleuropa. Entro la fine dell’anno – o al più tardi all’inizio del 2020 – a Trieste nascerà un nuovo terminal a sud del porto attuale, a poca distanza dal confine con la Slovenia. Già tra qualche mese un’azienda cinese dovrebbe iniziare a usarlo. Vale la pena soffermarsi sul potenziamento del porto di Trieste per rendersi conto dell’impatto fortemente asimmetrico della Cina in Europa.
Oggi i porti più grandi dell’Europa sono quelli di Rotterdam, Anversa e Amburgo (il c.d. Nordrange o Northern Range), porte di accesso all’heartland industriale dell’Unione Europea. Il ruolo di Trieste, se pur in crescita, è ancora marginale per via di un secolo di decadenza dovuto agli esiti dei due conflitti mondiali. L’interesse cinese per il porto del nord-est italiano potrebbe segnare una svolta è accelerare una tendenza già in atto: l’espansione e lo spostamento verso est dell’industrializzazione europea. Con il crollo della cortina di ferro le industrie occidentali hanno esteso la propria catena del valore verso est, con la Germania – in particolare la Baviera – a fare da polo d’attrazione di una fitta rete di industrie che va dalla Polonia all’Ungheria e continua a estendersi arrivando fino alla Romania. Anche l’Austria e ha un ruolo importante nella definizione del nuovo spazio geo-economico, contribuendo a costituire una nuova regione altamente industrializzata corrispondente grosso modo all’ex territorio dell’Impero Asburgico. Questa evoluzione sta anche rendendo meno importanti le regioni industrializzate del Nord Italia. È in questo contesto che per Trieste si presenta la possibilità di tornare a essere uno dei porti più importanti del continente.
Il capoluogo del Friuli-Venezia Giulia è in una posizione ottimale per accogliere navi provenienti dal Mar Nero, dal Canale di Suez e dal Nordafrica. Se consideriamo anche gli investimenti cinesi in Africa, non è difficile immaginare Trieste come terminale di un fitto network di infrastrutture che connette i paesi mitteleuropei al Mediterraneo “cinese” della nuova via della seta marittima.
La distanza tra Monaco di Baviera da Trieste è circa la metà rispetto al porto di Amburgo. Secondo un calcolo del prof. Joost Hintjens dell’Università di Anversa, passando per Trieste i tempi di spedizione Shanghai–Monaco verrebbero ridotti di 10 giorni (da 43 a 33), quelli Hong Kong–Monaco di 9 giorni (da 37 a 28). Nel momento in cui la Cina inizierà a spedire (e a farsi spedire) le merci a/da Trieste, i porti del Nordrange perderanno quote di mercato.
Il presidente dell’Autorità portuale di Trieste, Zeno D’Agostino, giustamente è entusiaste delle opportunità che si aprono per la sua città e ci tiene a dichiarare che «il porto non sarà controllato da Pechino» (cosa che invece accade nel porto greco del Pireo), ma questo non basta. Immaginando la BRI realizzata e completamente operativa, la Cina potrà decidere a piacimento quali hub sfruttare di più e quali di meno. Oltre a Trieste, a connettersi con la Mitteleuropa c’è il già citato porto del Pireo (attraverso i Balcani). Poi c’è la via della seta terrestre, con la linea ferroviaria Chongqing-Xinjiang-Europe Railway a collegare la costa industrializzata cinese a Duisburg, e da lì al resto d’Europa. Senza contare la possibilità di usare la rotta artica, per ora marginale ma nella visione cinese parte integrante della BRI.
Potenzialmente quindi, la Cina potrebbe ridisegnare la geografia industriale d’Europa in base ai suoi interessi economici e strategici dando più o meno importanza a determinati poli industriali e logistici, senza che i paesi europei possano rendersi parte attiva perché privi di potere negoziale. Per Pechino sta diventando molto semplice inserirsi nelle divisioni nazionali degli Stati membri dell’UE, costantemente in competizione tra loro per accaparrarsi investimenti e quote di mercato ma uniti in un sistema comunitario che permette ai cinesi di influenzare le politiche del blocco facendo pressione su alcuni singoli stati più in difficoltà, come recentemente accaduto con Grecia e Portogallo. La Cina guarda all’Europa come una sola entità geopolitica e trova nelle contraddizioni e divisioni interne la principale risorsa negoziale. Al momento gli Stati membri non riescono a trovare una posizione comune nemmeno sulle infrastrutture 5G di Huawei, né sulla creazione di giganti industriali europei da contrapporre a quelli cinesi protetti da Pechino. L’approccio continua a essere solo ed esclusivamente economicistico.
Oggi più che mai l’UE ha bisogno di strumenti per gestire la propria conflittualità politica ed economica, e trovare il modo di far convivere la necessità di una maggiore integrazione con l’altrettanta necessaria volontà di mantenere la dignità nazionale. Le premesse non sono buone, gli Stati europei vogliono recuperare sovranità, non cederla in funzione di una visione strategica continentale. Senza trovare una soluzione al dilemma tra sovranità nazionale e strategia continentale l’Europa resterà una potenza economica e un nano (geo)politico, fino a quando smetterà anche di essere una potenza economica.

http://www.trieste-marine-terminal.com/en/rail-connections