Il 6 aprile 2021 si sono tenute le elezioni parlamentari in Groenlandia, in anticipo di un anno a causa del dibattito riguardante il secondo più grande giacimento di terre rare del mondo, situato nel monte Kuannersuit. A seguito del recente cambiamento di leadership del principale partito di governo, è stata messa in discussione la concessione alla Greenland Minerals, una società australiana di estrazione mineraria. Il governo australiano è attualmente alle prese con la creazione di una catena produttiva high-tech senza la Cina, iniziativa che prevede anche l’approvvigionamento alternativo di terre rare, di cui la potenza asiatica è il principale fornitore a livello mondiale.
Gli interessi australiani in Groenlandia
Nel settembre 2020, il principale partito di governo, il Siumut, aveva concesso alla società australiana Greenland Minerals la realizzazione di una miniera nel menzionato monte. Il Kvanefjeld (nome danese di Kuannersuit) Project della compagnia australiana mira a farlo diventare la principale fonte di terre rare del mondo e le elezioni del 6 aprile potrebbero aver costituito un freno a questa iniziativa.
L’elevata percentuale di uranio presente nel sito minerariosembrerebbe essere al centro delle preoccupazioni della popolazione limitrofa: costituita in prevalenza da pescatori e da lavoratori vicini a questo settore, questa teme che l’estrazione del metalli radioattivo possa portare ad un inquinamento estremamente nocivo delle acque della zona e di conseguenza danneggiare l’economica locale. Tuttavia, il 9 aprile la compagnia australiana affermava di non essere intenzionata all’estrazione dell’uranio, di cui il monte groenlandese costituisce il quinto deposito al mondo.
La cooperazione economica nel Quad
Le ripercussioni internazionali delle elezioni svoltesi nell’isola danese sono di non banale interpretazione; le intenzioni del presidente statunitense Biden, circa la costruzione di una catena produttiva senza Cina, prevede anche l’approvvigionamento di terre rare al di fuori della sfera di influenza del Dragone.
Ad inizio marzo 2021 i leader del Quad, il Quadrilateral Security Dialogue, confermavano la propria volontà di introdurre norme a livello nazionale per incentivare la produzione interna di terre rare; un mese dopo, il Giappone procedeva, appunto, alla modifica di leggi interne per ridurre il limite agli incentivi statali per aumentare gli investimenti pubblici ad imprese attive nel settore.
“Il Medio Oriente ha il petrolio, la Cina le terre rare”
La frase riconducibile a Deng Xiaoping, leader de facto della Cina dal ‘78 al ‘89, ben riassume l’attuale potere negoziale in mano al Dragone. La strategia degli Stati Uniti, dunque, mira a rimuovere il primato cinese sulle terre rare. La vittoria di un partito contrario all’estrazione di terre rare da parte di un’impresa australiana si configura come un rallentamento di questi piani?
Non necessariamente. Il più grande azionista di Greenland Minerals è la Shenghe Resources, una compagnia cinese; la commistione di interessi in gioco rende difficile analizzare la vicenda. Il decoupling tra la Cina e gli Stati Uniti, dunque, assume contorni sempre più grigi: la volontà del presidente Biden di rafforzare il fronte anti-cinese nel settore high-tech si scontra con diverse incongruenze, di cui il Kvanefjeld project rappresenta un esempio.
In realtà, la Cina non è solamente esportatore di terre rare. Ciò in cui l’industria cinese in questo settore è specializzata è rappresentato dalla trasformazione di queste ultime in materia raffinata. Infatti, il colpo di Stato avvenuto ad inizio 2021 nel suo vicino del sud-est asiatico, ha ricordato al Dragone quanto sia dipendente dall’importazione di minerali grezzi dai suoi vicini, tra cui anche il Vietnam.
Il dilemma del cobalto
La definizione che il manuale di biologia della Zanichelli ci dà di terre rare indica il gruppo di 17 elementi costituiti da scandio, ittrio, lantanio e di tutti quelli che fanno parte della famiglia dei lantanidi. Sebbene non si configuri come “terra rara”, il cobalto rappresenta un elemento fondamentale nella realizzazione di batterie agli ioni di litio e rappresenta un altro terreno di scontro nel settore: negli ultimi anni il suo prezzo è aumentato considerevolmente, fino a raggiungere, nei primi giorni di aprile 2021, un picco del 59.5% rispetto all’anno precedente.
Circa il 70% della quantità totale di cobalto minata al mondo proviene dalla Repubblica Democratica del Congo, di cui la Cina controlla circa il 60% del totale. È rilevante sottolineare questo aspetto poiché l’approvvigionamento di questo minerale da parte della Repubblica di Corea, alleato degli Stati Uniti e teoricamente partecipe nel processo di decoupling del settore tecnologico, dipende fortemente dal Celeste Impero.
L’aumento del prezzo di questo materiale, che continua a crescere soprattutto in concomitanza all’annuncio statunitense di febbraio, preoccupa non poco il Paese del Calmo Mattino, dal momento che LG Energy Solution, SK Innovation e Samsung SDI rappresentano il 35% circa del mercato mondiale di batterie per veicoli elettrici. Il principale timore sudcoreano è che Pechino possa divergere il cobalto destinato alle esportazioni verso la fornitura delle proprie imprese leader nel settore, tra cui CATL e BYD.
La difficile situazione nell’Indo-Pacifico
È difficile districarsi attraverso la serie di intrecci economici e finanziari che legano gli alleati degli Stati Uniti con la Cina; il caso della Groenlandia, i semiconduttori e le batterie coreane e la manifattura giapponese fortemente integrata con il mercato cinese, ne sono degli esempi.
Inoltre, gli USA stanno varando ulteriori norme ed incentivi alla costruzione di fabbriche di semiconduttori sul suolo americano; la Corea del Sud e Taiwan saranno i primi a rimanere danneggiati dall’iniziativa statunitense, dal momento che rappresentano i principali fornitori mondiali di quelle componenti. A ciò si aggiunge anche che la Cina non è restia ad usare il proprio peso economico come strumento di ripercussione, si pensi al caso dell’Australia, o a quello relativo alla fornitura di terre rare verso il Giappone.
Insomma, l’approvvigionamento sia di terre rare, che di altri minerali fondamentali per la realizzazione di componenti elettroniche, rappresenta un terreno di scontro tra le prime due economie del globo; quale sia la dimensione dello scontro, tuttavia, rimane difficile da quantificare, dal momento che se da una parte gli Stati Uniti dichiarano di voler escludere la Cina da determinate catene produttive, dall’altra le due economie, così come quelle dei loro alleati, sono fortemente interconnesse tra loro.
Alessandro Vesprini,
Geopolitica.info