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Gli interventi militari dell’Ue nel Mediterraneo allargato e in Africa Subsahariana

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Il presente articolo è stato pubblicato nell’ambito dell’approfondimento “Ambizioni e vincoli dell’autonomia strategica europea. Aspetti politici, operativi e industriali“, qui consultabile, del Centro Studi Geopolitica.info sviluppato per l’Osservatorio Politica Internazionale del Parlamento Italiano.

Introduzione

Già dalla prefazione alla Bussola Strategica per la Sicurezza e la Difesa (2022) si evince chiaramente la volontà dell’Unione Europea di divenire un “fornitore di sicurezza” più capace e un “partner globale per la pace e la scurezza internazionale” più forte. Conditio sine qua non per raggiungere questi obiettivi è quello di sviluppare un’autonomia strategica a livello Europeo, che consenta al Vecchio Continente di salvaguardare i propri valori e interessi in autonomia, collaborando attivamente con altri partner internazionali su un piano di eguaglianza. A tal riguardo si possono evidenziare alcuni notevoli sviluppi: già nel 2018 viene lanciata l’iniziativa “Capacity Building for Security and Development” (CBSD) che mira a supportare attività militari che promuovano uno sviluppo sostenibile. Si può poi notare come negli scorsi anni gli aiuti comunitari allo sviluppo e diversi fondi fiduciari dell’UE siano stati utilizzati per progetti che hanno una chiara dimensione securitaria. Infine, la creazione nel 2021 dello Strumento Europeo per la Pace (EPF), volto a consolidare la capacità dell’Unione di prevenire conflitti, costruire la pace e rafforzare la sicurezza internazionale, ribadisce la volontà delle istituzioni europee di diventare una “potenza geopolitica credibile”. Più in generale questi recenti sviluppi si inseriscono in un ormai ventennale sforzo dell’UE di sviluppare una propria capacità di intervento in paesi terzi nell’ambito di operazioni di gestione delle crisi (crisis management) e di rafforzamento delle capacità locali (capacity-building). Per quanto concerne il fianco sud dell’UE, ossia il cosiddetto “Mediterraneo allargato” e l’Africa subsahariana, gli evidenti interessi dell’Unione Europea nel controllare i fenomeni migratori e nel proiettare stabilità in una regione di importanza strategica si scontrano però con un contesto politico incerto e mutevole, caratterizzato da una forte competizione internazionale. È quindi necessario comprendere quali siano le opportunità, i limiti e i rischi di una maggiore presenza dell’Unione Europea nella sponda sud del Mediterraneo.

Proiettare stabilità: opportunità, limiti e rischi

La sostanziale incapacità degli Stati Uniti e dei suoi partner internazionali di stabilizzare, anche dopo costosi e protratti interventi diretti, paesi quali l’Afghanistan, l’Iraq o la Somalia ha radicalmente cambiato il modo occidentale di concepire questo tipo di interventi. Interventi volti a costruire o ricostruire stati ed istituzioni di paesi terzi hanno infatti progressivamente lasciato spazio a sforzi altamente contestuali e adattivi, caratterizzati per la loro flessibilità e per la minor incidenza in termini di costi e impegni. In questo contesto si è potuto notare un progressivo quanto diffuso riposizionamento dell’Occidente nei confronti dell’Africa, dovuto in primo luogo ad un cambiamento delle priorità strategiche di Washington, ora incentrate sostanzialmente sulla Cina e il Sud Est Asiatico. Non è quindi un caso che nell’ultima revisione della strategia per la sicurezza nazionale americana poco più di un paragrafo sia dedicato al continente africano. Considerato il ruolo strategico che l’Africa riveste sul piano economico, energetico e securitario per l’Europa, il progressivo disimpegno americano rappresenta quindi una formidabile occasione per l’UE di mettere alla prova le proprie capacità come fornitore internazionale di sicurezza. Esistono però anche dei limiti notevoli, che occorre non trascurare. In primo luogo, le condizioni per un successo “strategico” potrebbero non essere presenti nel fianco sud. Infatti, l’ingresso nella NATO o l’integrazione europea (o forme di partenariati speciali) non possono essere utilizzati come “ricompense” per l’adattamento politico e militare dei paesi a sud del Mediterraneo, a differenza di quanto avvenuto con numerosi paesi del fianco est. Un ulteriore ostacolo, di tipo reputazionale, è rappresentato dal passato coloniale di alcuni stati membri (Francia in primis), che non solo espone l’UE ad eventuali accuse di interferenze neocoloniali, ma che è altresì abilmente sfruttato da rivali strategici quali la Russia per screditarne l’operato. In secondo luogo, l’intensa competizione “geopolitica” in Africa ha di fatto aumentato “l’offerta” internazionale in termini di aiuti per lo sviluppo e partenariati a carattere militare, diminuendo conseguentemente il margine di manovra degli stessi fornitori. Questo fa sì che i recipienti degli aiuti internazionali siano sempre meno disposti a cimentarsi in riforme della governance politica, militare ed economica necessarie quanto politicamente costose, mostrando invece una marcata preferenza per iniziative di breve termine a carattere essenzialmente transazionale. Il rischio per l’Unione Europea è quindi quello di foraggiare iniziative che accrescono il potere relativo delle élite al potere, senza ottenere alcun progresso in termini di sicurezza, controllo delle frontiere e sviluppo. Infine, se l’UE sempre più ricorre a iniziative di tipo militare per proiettare i propri interessi a sud del Mediterraneo, occorre notare come queste forme di “diplomazia cinetica” non possano sostituire la più tradizionale diplomazia latu senso. L’impiego dello strumento militare non costituisce infatti una riposta adeguata ai problemi di carattere sociale, politico ed economico che affliggono numerosi paesi africani. Iniziative di natura tecnica non possono quindi prescindere da più ampi progetti a carattere politico. L’assistenza di carattere militare fornita a numerosi paesi del Sahel sembra ad esempio non aver dato luogo ai risultati sperati, proprio perché la prospettiva eminentemente tecnica adottata da missioni quali EUCAP Sahel Niger, EUCAP Sahel Mali ed EUTM Mali non si è rivelata in grado di risolvere pressanti problemi governance. Corruzione, clientelismo, mancanza di trasparenza e controllo democratico delle forze armate e rispetto dei diritti dell’uomo necessitano dunque in primo lugo di risposte politico-diplomatiche.

Se i punti discussi finora costituiscono dei limiti strutturali legati alla capacità europea di proiettare stabilità a sud del Mediterraneo, una reale autonomia strategica dell’UE in questa regione può concretizzarsi solo tenendo in considerazione alcuni rischi. La prima sfida è sicuramente quella della coordinazione fra stati membri. Come si è potuto notare nel caso del Niger, del Gambia, del Mali e del Burkina Faso l’UE non è riuscita a coordinare efficacemente le diverse iniziative bi e multilaterali, che hanno di fatto dato luogo a una congerie di programmi e azioni che ha minato l’essenziale unità degli sforzi. L’esistenza di diversi programmi che talvolta si sovrappongono non solo rischia di sopraffare le limitate capacità locali, ma tende anche a favorire corruzione e clientelismo che diminuiscono inevitabilmente l’efficacia dell’assistenza europea. Inoltre, l’esistenza di interessi e agende divergenti fra gli stessi stati membri dell’UE ha portato alcuni a parlare di “assemblaggi securitari” continuamente soggetti a dinamiche di contrattazione fra fornitori stessi oltre che fra fornitori e recipienti. Conseguentemente il rischio per l’UE è quello di cimentarsi in interventi che progressivamente adottano una logica a sé, cioè meno attenti all’impatto che hanno concretamente sul campo. Laddove si è potuta osservare unità di intenti e coordinazione fra fornitori di sicurezza, come nel caso dello sforzo internazionale contro il fenomeno della pirateria nel Corno d’Africa, i risultati non sono invece mancati. Un secondo elemento è essenziale per una piena realizzazione dell’autonomia strategica Europea in Africa: l’effettiva implementazioni di programmi che mirino a rafforzare le capacità locali di controllo e supervisione delle autorità civili nei confronti di quelle militari. Un’eccessiva attenzione al rafforzamento delle capacità militari e di sicurezza locali rischia infatti di accrescere esponenzialmente il potere relativo dell’apparato militare a scapito di quello civile, favorendo così l’insorgenza di colpi di stato e regimi repressivi. L’ondata di colpi di stato che ha attraversato il Sahel fra il 2020 e il 2023, può infatti essere letta anche sotto questa luce, cioè, almeno in parte, come il risultato di una crescente “securitizzazione” della regione. A questi due rischi si aggiunge quello della relativa rigidità degli accordi di sicurezza che l’Unione Europea e i suoi stati membri stringono con i partner africani. Sebbene meno costosi e impegnativi rispetto ad interventi diretti, si tratta comunque di sforzi notevoli. Presa la decisione di supportare l’apparato di sicurezza di un partner, sarà quindi difficile per un fornitore internazionale ritirare il proprio supporto, anche di fronte a palesi violazioni degli accordi da parte del recipiente. Questo non solo disincentiva i paesi recipienti a non rispettare gli impegni presi, ma crea anche dei pericolosi precedenti. Un esempio lampante è quello del Ciad. Sebbene il paese riceva sostanziali aiuti militari da Parigi, il paese è di fatto guidato da una giunta militare che non appare intenzionata ad indire elezioni. Perché quindi condannare i colpi di stato in Niger, in Mali e in altri paesi africani quando uno degli alleati d’eccellenza dell’UE nella guerra al terrorismo nel Sahel è anch’esso guidato da una giunta militare?

Conclusione

Sebbene esuli dallo scopo del presente contributo, rischi e limiti dell’impegno UE in Africa portino ad interrogarsi su cosa realmente significhi autonomia strategica. Da un lato, come dimostrano gli sforzi dell’UE di sviluppare delle proprie capacità di intervento in paesi terzi, l’elemento capacitario è dirimente. In altre parole, non c’è autonomia senza capacità di agire “in proprio” a tutela degli interessi dell’Unione Europea e dei suoi stati membri. Dall’altro però rimane il fatto che gli interessi, quali che siano, dell’UE come istituzione sovranazionale non coincidono perfettamente con quelli degli stati che ne sono membri. Un rafforzamento delle capacità di coordinazione, supervisione e direzione degli sforzi individuali dei suoi stati membri sembra pertanto necessario al fine di sviluppare una reale autonomia strategica dell’UE. Per quanto concerne l’impegno dell’Unione nella stabilizzazione della sponda sud del Mediterraneo, sino ad ora paesi che hanno uno legame storico con l’Africa (come la Francia), hanno sostanzialmente svolto un ruolo di guida nella politica estera UE. L’impegno degli uni, e il tiepido supporto degli altri, hanno però determinato uno scollamento fra priorità dell’Unione e di alcuni dei suoi stati membri. Definire chiaramente le priorità strategiche dell’Unione, e costruire un consenso più o meno ampio attorno ad essi è però essenziale. In un contesto caratterizzato da una forte competizione internazionale, scegliere alcuni partner strategici dell’Europa in Africa (e non già dei suoi stati membri), permetterebbe infatti un’azione europea più coordinata, mirata ed efficace sia sul piano militare sia su quello politico.

Punti essenziali

  • Il disimpegno degli USA dal continente africano rappresenta un’opportunità per l’Europa di mostrarsi come un fornitore di sicurezza credibile. È però necessario tenere in conto la forte competizione internazionale in questo teatro; pertanto, si raccomanda una maggiore flessibilità nell’imporre condizioni all’assistenza che gli stati membri intendono fornire a paesi terzi;
  • Lo strumento militare da solo non può risolvere problemi di natura eminentemente politica. Pertanto, è necessario che forme più tradizionali di diplomazia complimentino e guidino l’utilizzo delle forze armate nel proiettare stabilità;
  • La coordinazione fra stati membri dell’UE nella definizione e nell’implementazione di missioni volte a proiettare stabilità rimane una condizione sine qua non per il successo di questi sforzi. Maggiore unità di sforzi e intenti è quindi necessaria, onde evitare il duplicarsi di iniziative complementari e talvolta sovrapposte.

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