Tra le varie implicazioni, la pandemia COVID-19 ha accentuato le profonde fragilità economiche e sociali presenti nei paesi in via di sviluppo, spesso situati nelle aree di maggiore interesse per i principali attori globali. Tale contesto ha riacceso un dibattito decennale sull’importanza e l’efficacia degli aiuti allo sviluppo. Di fatti, negli ultimi anni tali interventi sono stati criticati sia per la loro scarsa efficienza che per loro credibilità, soprattutto dopo i recenti scandali che hanno coinvolto la stessa Banca Mondiale.
Il Covid-19 e la crisi nei paesi emergenti, il ruolo degli aiuti allo sviluppo
I dati degli ultimi mesi forniti dal Fondo Mondiale Internazionale (FMI) mostrano come la crisi economica generata dalla pandemia sarà più complicata da affrontare per i paesi già strutturalmente più deboli. Infatti, vari elementi correlati direttamente o indirettamente all’epidemia, potrebbero compromettere la stabilità economica, in particolar modo la situazione debitoria, delle aree in via di sviluppo. Oltre al sovraccarico di sistemi sanitari di bassa qualità, il crollo dei prezzi delle materie prime potrebbe rendere insostenibili gli oneri di tali paesi verso i creditori. In tale contesto, il FMI stima come nel 2020 le percentuali di debito in valuta estera dei paesi in via di sviluppo siano aumentati di 12 punti percentuali del PIL e che per il prossimo anno ci possa essere un ulteriore deterioramento del 8%. Inoltre, lo stesso Fondo ha calcolato che nel 2020 i citati paesi hanno avuto un generale rallentamento della produzione pari al 5,7%.
Questo scenario preoccupante ha anche riacceso il dibattito sugli aiuti allo sviluppo, i quali potrebbero ricoprire un ruolo fondamentale per mantenere la stabilità economica e sociale in diverse aree mondiali. Se da una parte il mondo accademico, diplomatico e multilaterale ha sottolineato l’importanza di tali strumenti, dall’altra molte voci provenienti dagli stessi ambienti hanno espresso forti perplessità sull’utilizzo di questi mezzi, ritenuti poco credibili oltre che poco efficienti.
Donatori tradizionali vs donatori emergenti, approcci e i risultati diversi
Il dibattito sull’efficacia degli aiuti allo sviluppo è notevolmente cresciuto negli anni 90. Infatti, nello scenario post-guerra fredda, ai donatori bilaterali tradizionali (membri del Development Assistance Committee dell’OECD e per tale motivo denominati DAC) si sono aggiunti i donatori emergenti (come ad esempio: Cina, Emirati Arabi Uniti e Turchia), a cui spesso è stata criticata l’esclusiva finalità politica delle proprie donazioni. Tale discussione potrebbe essere riassunta nel quesito: “gli aiuti portano sempre dei benefici agli stati recettori?”. Questa domanda ha portato a contrapposte correnti di pensiero.
Ad esempio, numerosi dibattiti riguardano la differenza di approccio tra donatori tradizionali ed emergenti. Quest’ultimi, infatti, sembrano allocare le proprie donazioni in determinate aree mondiali seguendo apertamente i propri interessi economico/politici. Differentemente, i DAC, oltre al mero criterio del proprio tornaconto politico, ripartiscono i propri aiuti tenendo in considerazione anche altri fattori, come l’apertura democratica ed il rispetto dei diritti umani dei paesi riceventi. Tuttavia, il supporto proveniente dai donatori emergenti sembra portare maggiori benefici, perlomeno economici, alle nazioni assistite.
Inoltre, gli addetti al settore si sono anche domandati se le donazioni, sia quelle provenienti dall’ambiente bilaterale che da quello multilaterale, possano favorire ambienti politici ed economici liberali o addirittura avvantaggiare i regimi autoritari.
Gli aiuti allo sviluppo sono credibili? Il controverso caso della Banca Mondiale
All’interno di quest’ultima discussione si inserisce anche il recente scandalo che ha coinvolto la Banca Mondiale (BM). Infatti, tre ricercatori della stessa organizzazione di Washington, prendendo in considerazione 22 progetti finanziati dalla BM nei paesi più poveri del mondo, hanno mostrato una correlazione positiva tra gli aiuti forniti dalla Banca Mondiale verso gli stati riceventi ed i flussi finanziari che da queste nazioni venivano indirizzati verso paradisi fiscali.
Nel concreto, gli autori hanno realizzato come nel trimestre in cui un paese riceveva finanziamenti dalla BM, i depositi intestati ai residenti di questi paesi e collocati nei paradisi fiscali aumentavano del 3% in più rispetto a quanto avveniva per stati non aventi nessun tipo di aiuto. Quindi, nella redistribuzione dei finanziamenti, i politici e dirigenti del paese trattenevano una sorta di commissione illegale.
Gli autori, inoltre, hanno sottolineato come la classe politica che ha ottenuto maggiori benefici è stata quella proveniente dai paesi maggiormente poveri. Di fatti, gli stati con dei livelli di povertà più alti hanno avuto maggiori finanziamenti da parte della BM e di conseguenza è stata superiore la quota sottratta da parte dell’élite locale, che quasi sempre ha agito in un contesto non democratico.
In questo sfondo, l’atteggiamento della stessa BM ha ulteriormente minato la credibilità degli aiuti allo sviluppo. Di fatti, quando i ricercatori hanno presentato lo studio alla Banca Mondiale, l’organizzazione si è inizialmente rifiutata di pubblicarlo. Solamente in un secondo momento, di fronte ad una notevole pressione mediatica, l’istituzione finanziaria ha deciso di mostrare il controverso articolo.
Il COVID-19: un’occasione per ripartire
Sia il recente scandalo all’interno della Banca Mondiale che l’emergenza del COVID-19, ha fatto sì che le principali agenzie multilaterali (come la Banca Mondiale o l’OCSE) e le istituzioni pubbliche e private si interrogassero sulle modalità di gestione e di erogazione dei fondi. Di fatti, l’attuale situazione può essere considerata come un punto di ripartenza per gli aiuti allo sviluppo, nonché un modello che potrebbe essere riutilizzato. All’interno di questa discussione, diversi funzionari delle menzionate organizzazioni hanno chiesto il supporto del mondo accademico, che negli anni passato ha fornito diverse analisi empiriche sull’efficienza. In generale sono emersi tre spunti interessanti che potrebbero migliorare l’efficacia degli aiuti.
Anzitutto è fondamentale rafforzare l’abilità e la responsabilità dei principali attori pubblici e privati dei paesi riceventi chiamati a gestire gli aiuti. A tal fine, un metodo applicabile è quello definito “aid for outcomes” (aiuti per gli obiettivi raggiunti). Di base i donatori, dopo un esborso iniziale, inviano la somma maggiore di aiuti a progetto terminato, tenendo in considerazione i risultati ottenuti. A tale argomento è legata anche l’idea di adottare nuovi metodi per l’invio di donazioni, superando le lacune tra istituzioni e comunità locali e quindi raggiungendo la parte più vulnerabile della popolazione.
In tale contesto, le nuove tecnologie, come ad esempio il targeting basato sulla tracciabilità dei dispositivi elettronici, sono il migliore alleato per ottenere i menzionati miglioramenti e per avere un maggior numero d’informazioni sull’utilizzo e gestione degli aiuti.
Infine, tenendo in considerazione come la popolazione più povera viva in contesti di crisi continua, si reputa importante come i donatori non debbano solamente focalizzarsi negli obiettivi di lungo termine ma intervenire anche con finalità a breve termine che comunque devono essere basate da una progettualità
Conclusioni
Come in altri contesti, anche il settore degli aiuti allo sviluppo può considerare l’emergenza COVID come un’occasione per trovare nuovi spunti e metodi programmatici. Difatti, la complessità del momento può ed ha incentivato la discussione all’interno delle principali agenzie allo sviluppo, che hanno l’opportunità ed il dovere di migliorare l’efficienza e la credibilità degli aiuti da loro gestiti.