A seguito della decisione del Ministro della Difesa Kono di sospendere il sistema antimissile Aegis Ashore annunciata lo scorso giugno, il Primo Ministro giapponese Abe si è espresso a favore della possibilità che il paese adotti un nuovo piano di difesa che consenta l’utilizzo di ‘first-strike capabilities’ contro target nemici pronti al lancio di missili balistici aventi il Giappone come bersaglio. Tale disposizione garantirebbe al paese di rafforzare il suo approccio di deterrenza attraverso misure di difesa offensiva.
L’inclusione di ‘first-strike capabilities’ contro basi militari nemiche all’interno del piano di sicurezza nazionale, la cui revisione era già prevista entro la fine del 2020, è ancora tutta in discussione ma, se approvata, consisterebbe in un ulteriore passo avanti verso la normalizzazione della politica di difesa del paese. Considerata la crescente minaccia della Corea del Nord e il dilemma di una Cina sempre più ambiziosa e risoluta, numerosi esperti ritengono tale revisione necessaria per garantire la sicurezza del paese. Tali disposizioni non sono, tuttavia, senza critiche. Secondo i critici, infatti, una strategia fondata su quello che è, a tutti gli effetti, un attacco preventivo, non è altro che una violazione dell’Articolo 9 della costituzione giapponese ed una misura che riflette l’abbandono di una posizione puramente difensiva.
Quali sono le implicazioni di una strategia basata su ‘first-strike capabilities’?
Da un lato, l’eventuale adozione di ‘first-strike capabilities’ rappresenta, per alcuni, il tentativo di rassicurare l’Amministrazione Trump, da sempre critica dell’insufficiente contributo giapponese all’alleanza nippo-statunitense, a seguito della decisione di abbandonare il programma congiunto Aegis Ashore. Secondo quanto riportato dall’Asahi Shimbun, le discussioni riguardo l’adozione di ‘first-strike capabilities’ servirebbe, infatti, a dimostrare agli Stati Uniti che il Giappone è disposto ad assumere maggiori responsabilità per quanto riguarda le proprie capacità di difesa del paese, capacità che verrebbero integrate con misure di difesa attiva e non puramente passiva.
A riguardo, è fondamentale notare che tale revisione risulta essere in linea con i molteplici tentativi da parte dell’Amministrazione Abe di modificare la Costituzione e le altre disposizioni autoimposte che limitano le capacità militari delle Forze di Autodifesa giapponesi. Il supporto di Abe a favore di un eventuale ‘first-strike capability’, pertanto, non sorprende e deve, invece, essere considerato alla luce dei suoi sforzi di realizzare il tanto ambito obiettivo di trasformare il paese in una ‘normale’ potenza militare.
Dall’altro lato, un Giappone dotato di ‘first-strike capabilities’ aggiunge nuove perplessità a quella che pare essere una già precaria stabilità regionale. Se la realizzazzione del programma Aegis Ashore rischiava di provocare la Cina e di innescare una nuova corsa agli armamenti, tale scenario appare non meno probabile nel caso di un Giappone aperto all’impiego di un attacco preventivo. Sebbene tali modifiche alla strategia di sicurezza nazionale giapponese siano presentate come misure per potenziare la difesa del paese, è improbabile che queste disposizioni non aggravino storiche preoccupazioni e sospetti da parte degli altri attori presenti nel Nord-est Asiatico, attori con cui il Giappone continua a mantenere rapporti fragili a causa dello spettro dei crimini commessi durante la seconda guerra mondiale. Il rischio di un ulteriore deterioramento delle relazioni tra Giappone e Cina, ma anche Corea del Sud, non si può, pertanto, escludere. Non c’è alcun dubbio che, da un punto di vista puramente tattico, ‘first-strike capabilities’ consentirebbero al Giappone di consolidare, almeno sulla carta, le sue misure di deterrenza e di incrementare la propria difesa. Il rischio che tali disposizioni vadano ad infiammare antagonismi storici e a compromettere il fragile equilibrio nel Nord-est Asiatico tuttavia rimane.