Il Dialogo di Sicurezza Quadrilaterale (QUAD) è un partenariato centrale per comprendere le dinamiche di sicurezza dell’Indo-Pacifico. La centralità di questa iniziativa, che vede coinvolti Stati Uniti, Giappone, Australia e India, è stata riaffermata in particolare lo scorso anno, quando sotto la leadership del neopresidente americano Biden, i leader dei quattro paesi hanno partecipato a ben due Summit, uno virtuale a marzo, e uno tenutosi a Washington DC lo scorso settembre. Tra i quattro membri, il Giappone ha tradizionalmente ricoperto una funzione di primo piano nell’avanzare la visione del gruppo. Per meglio comprendere il ruolo e la prospettiva di Tokyo all’interno del Quad, abbiamo intervistato il Prof. Giulio Pugliese, Professore allo European University Institute e docente di Japanese Politics e International Relations presso l’Università di Oxford. Il Prof. Pugliese si occupa di politica estera giapponese, competizione tra potenze in Asia e ha scritto ed è intervenuto in diverse occasioni proprio sul Quad.
Prof. Pugliese, innanzitutto grazie per la disponibilità. La domanda da cui vorremmo partire riguarda proprio la posizione di Tokyo nel Quad. Il Giappone ha avuto un ruolo chiave nel rilancio del gruppo. Come è cambiato l’approccio di Tokyo al Dialogo di Sicurezza Quadrilaterale, e qual è l’effettiva capacità del Giappone di definirne l’agenda?
Il Giappone è l’attore protagonista di una visione strategica che pone al centro dell’Indo-Pacifico proprio il Quad. Sia il meccanismo informale di consultazione tra potenze marittime noto come Quad, che la narrativa strategica dell’Indo-Pacifico nascono, infatti, entrambi a Tokyo. Queste due iniziative, volte a definire l’architettura dell’Asia-Pacifico, ora ribattezzata appunto Indo-Pacifico, sono state gradualmente assorbite anche dagli Stati Uniti che le hanno fatte loro. È interessante notare che è la prima volta che gli Stati Uniti si appropriano di iniziative di un alleato asiatico. In altre regioni era già successo – si pensi al ruolo che Israele ricopre nel definire l’approccio statunitense in Medio Oriente. È la prima volta, tuttavia, che un alleato in Asia, il Giappone di Abe Shinzo, è riuscito a promuovere e far accettare una propria visione strategica.
Il Quad, un meccanismo informale di consultazione tra potenze marittime, è una coalizione in fieri tra le potenze navali di Stati Uniti, Giappone, Australia e India, partner che condividono l’interesse di preservare lo status quo in funzione anticinese. Questa iniziativa era in linea con la volontà dell’amministrazione di George W. Bush di aprire alla potenza indiana, una grande potenza in divenire, per controbilanciare la Cina (si veda già nel 2005, con l’accordo sul nucleare civile). Ma è anche in linea con la volontà statunitense di allacciare rapporti tra i principali alleati dell’Asia non solo attraverso legami bilaterali ma anche attraverso formazioni mini-laterali, ad esempio tra Giappone e Australia, i principali alleati degli Stati Uniti in quel teatro, e potenzialmente anche con altre potenze quali la Corea del Sud. Come alcuni di voi sapranno, tuttavia, il principale ostacolo all’allacciamento dei rapporti tra Corea del Sud e Giappone, non è soltanto la diversità di vedute nei confronti della Cina, ma sono anche i tormentati rapporti politici tra Seul e Tokyo. La responsabilità di questi tormentati rapporti politici è attribuibile sia a Seul, dove domina un fortissimo nazionalismo antigiapponese condiviso in maniera bipartisan dalla leadership coreana, che a Tokyo, soprattutto in seno alle amministrazioni conservatrici come quella di Abe Shinzo.
Nel contesto dell’ascesa marittima della Cina, non soltanto nell’immediato vicinato, ma anche negli oceani, il Giappone di Abe Shinzo guardava a Pechino con timore. La Cina sta costruendo una flotta importante che include portaerei, un numero maggiore di navi da guerra, ma anche navi della guardia costiera militarizzate all’uopo. In tale contesto, Abe teme un potenziale disingaggio degli Stati Uniti. In questo periodo, Washington è infatti sia preoccupata per le sorti del Medio Oriente, sia, dopo la crisi finanziaria del 2008, incalzata da un significativo declino relativo rispetto all’ascesa cinese. In tale contesto, un meccanismo quadrilaterale come quello tra Australia, India, Stati Uniti e Giappone avrebbe garantito un bilanciamento di potenza favorevole a queste potenze like-minded, ma allo stesso tempo avrebbe incatenato e ingaggiato gli Stati Uniti nel teatro dell’Indo-Pacifico. Questa è, a grandi linee, la visione dietro ai due concetti del Quad e dell’Indo-Pacifico avanzati da Tokyo.
Questa visione, tuttavia, viene meno con la scomparsa politica prematura della prima amministrazione Abe nel 2007, e con il succedersi in Giappone di un’amministrazione a guida più moderatamente conservatrice, sotto la guida di Fukuda Yasuo. A determinare un temporaneo abbandono della visione del Quad sono anche l’avvicendamento di un governo laburista in Australia a guida di Kevin Rudd e il ritrovato interesse americano, soprattutto durante la seconda amministrazione Bush, nell’ingaggiare la Cina e renderla un attore responsabile nell’agone internazionale. Quest’ultimo punto è evidente, per esempio, con le Six Party Talks, le negoziazioni per il disarmo nucleare della Corea del Nord. La seconda amministrazione Bush è inoltre popolata da nuovi attori, tra cui Christopher Hill, molto più critici del Giappone di Abe Shinzo e più interessati ad ingaggiare la Cina per risolvere sfide strategiche quali appunto il breakout missilistico e nucleare della Corea del Nord. Con la crisi finanziaria, questi imperativi di ingaggiare la Cina divennero ancora più importanti. Un’iniziativa come il Quad, che comportava il bilanciamento di potenza e la creazione di coalizioni tra potenze navali marittime venne fatta, quindi, morire prematuramente, in quanto avrebbe ostacolato l’obiettivo di rendere la Cina un attore responsabile e collaborativo. A questo dobbiamo poi aggiungere, la riluttanza dell’India ad essere inserita nel Quad durante il 2006-2007, anche in virtù della sua tradizionale politica estera di non allineamento.
Fondamentali per il rilancio del Quad saranno, quindi, non solo un ritorno di Abe Shinzo al potere in Giappone nel 2012, ma anche l’avvento di un’amministrazione conservatrice in America. Questo perché anche l’amministrazione Obama era poco interessata a questa forma di potenziale big stick diplomacy. A tal riguardo, tuttavia, non dobbiamo fare l’errore di equiparare il Quad ad un’alleanza quadrilaterale. Il Quad è più simile ad una entente cordiale, se vogliamo usare termini da altre epoche. Il Quad si propone, quindi, come un’intesa tra potenze marittime interessate a segnalare alla Cina di Hu Jintao e, poi, di Xi Jinping in termini sia operativi, attraverso maggiori esercizi, sia in termini politico-strategici che la possibilità di un balancing è concreta.
Negli ultimi due anni, il Quad ha progressivamente ampliato la propria agenda, al di là di questioni di sicurezza tradizionale e di cooperazione nel campo marittimo. Qual è il ruolo di Tokyo in tale contesto e quali sono le capacità che il Giappone può mettere a disposizione di queste nuove e più estese aree di cooperazione?
Questa è una domanda molto interessante, perché con l’avvento dell’amministrazione Biden si è venuto a creare un nuovo assetto del Quad. Alle consultazioni militari sulla sicurezza, soprattutto marittima, si sono aggiunte promesse di cooperazione in dossier non propriamente securitari che spaziano dall’approvvigionamento di vaccini, alla lotta al riscaldamento globale, alla messa in sicurezza delle catene di valore e delle tecnologie emergenti. Riguardo all’approvvigionamento dei vaccini, tali promesse di cooperazione si sono concentrate soprattutto nei paesi del sud-est asiatico, poiché questa è la regione più cara ad Australia, Giappone, Stati Uniti e, per un certo verso India. È questa la regione che costituisce il cuore pulsante del cosiddetto Indo-Pacifico. La centralità del sudest asiatico è dettata da due motivi principali: innanzitutto è qui che si registrano fortissimi tassi di crescita economica, in secondo luogo è proprio nel Mar Cinese Meridionale che si registrano le più aspre dispute territoriali e marittime tra la Cina e i suoi vicini. Relativamente alla questione delle tecnologie emergenti, una delle preoccupazioni all’interno del Quad riguarda l’appropriazione di queste stesse tecnologie da parte della Cina. Queste sono importanti sia sul profilo economico che militare, perché trovandoci agli albori della cosiddetta quarta rivoluzione industriale, non possiamo dimenticare la loro natura dual use.
Questa nuova linfa all’agenda del Quad è stata data dall’amministrazione Biden soprattutto sotto la leadership del Coordinatore del desk Indo-Pacifico in seno al Consiglio nazionale per la sicurezza, Kurt Campbell, che fu già centrale nel cosiddetto Pivot to Asia dell’amministrazione Obama, un Pivot to Asia che, dal punto di vista giapponese, si rivelò una tigre di carta. Il Pivot si poneva in continuità a livello di ribilanciamento strategico militare con l’amministrazione di George W Bush (in tema si consiglia la lettura dell’articolo di Nina Silove, The Pivot Before the Pivot, che poggia su documentazione messa a disposizione dall’ex Segretario della difesa Donald Rumsfeld e da molte interviste con esponenti del Consiglio per la sicurezza nazionale di George W Bush). Se il Pivot di Kurt Campbell e dell’Amministrazione Obama era, in ottica militare, in continuità con l’iniziativa dell’amministrazione di George W Bush, si ha invece un ritrovato bilanciamento sul fronte economico, ad esempio con la partecipazione americana al Trans Pacific Partnership, un accordo di libero scambio che vedeva coinvolte 12 potenze dell’Asia-Pacifico, e che, a livello diplomatico, prevedeva un ritrovato ingaggio soprattutto nel sudest asiatico. Sotto Biden, Campbell si riappropria di questa enfasi su settori non propriamente securitari, e cerca di gestire le nuove sfide del ventunesimo secolo, tra cui l’avvento di una quarta rivoluzione industriale, e la necessità di ridurre la dipendenza dei paesi del sudest asiatico dalla diplomazia dei vaccini della Cina. È bene ricordare, a riguardo, che in termini quantitativi, i vaccini elargiti o esportati dalla Cina, sono tuttora più numerosi rispetto a quelli esportati o donati dai paesi Quad. Pertanto, il sudest asiatico diventa un teatro importante in questa cosiddetta “geopolitica dei vaccini”, e l’impegno diplomatico in quest’area assume una rilevanza strategica. Se da un lato, questa è la logica diplomatica dell’amministrazione Biden, allo stesso tempo, però, Washington ha confermato di voler ingaggiare Pechino da una posizione di forza. A tale scopo, l’Amministrazione Biden ha quindi cercato di rinsaldare il rapporto del Quad, le alleanze degli Stati Uniti con paesi quali il Giappone e la Corea e, addirittura, i rapporti con Taiwan.
Perché tanta insistenza sul ruolo degli Stati Uniti? Perché se è vero che il Giappone di Abe Shinzo è stato in grado di affermare il concetto e consolidare l’architettura del Quad, anche soltanto come visione e consesso informale, permettendo quindi la formazione di questa sorta di intesa in fieri tra potenze navali dell’Indo-Pacifico, è anche vero che è stata l’amministrazione Biden ad assumere il ruolo di attore più importante nel definire un’agenda più concreta, sia in termini di deliverables, che in termini di nuovi dossier, quali appunto quello delle tecnologie emergenti e quello della diplomazia dei vaccini. Quindi, sono due i fattori che oggi sono alla base delle nuove evoluzioni del Quad: da un lato, il fatto che non ci sia più un Amministrazione Abe al potere in Giappone, dall’altro, il fatto che a Washington vi sia un’amministrazione più strategica rispetto a quella di Trump. Il team di Trump, a detta di un ex alto funzionario dell’amministrazione Bush, era una sorta di D team, in quanto era composto da funzionari che mancavano dell’expertise necessaria per la propria posizione, nonché di un network sufficientemente importante da poter permettere loro di gestire la macchina pubblica americana in posizioni apicali. Questo perché una parte dei funzionari più competenti era stata inserita in una lista nera per aver firmato lettere o editoriali pubblici in cui sostenevano che non avrebbero mai lavorato con Trump ed erano quindi stati esclusi dalle posizioni di dirigenza. Di conseguenza, l’amministrazione Trump si era circondata di ex funzionari e ufficiali militari, molti dei quali hanno assunto posizioni di preminenza a livello diplomatico, in qualità di ambasciatori e funzionari di alto rango in seno al Dipartimento di Stato, che però non erano ferrati nella macchina diplomatica statunitense o nella logica della diplomazia. In questo vuoto si è inserita la capacità di agenda setting giapponese, che è mancata una volta che a Tokyo hanno preso potere nuove amministrazioni di più corto respiro. Quando nel 2020 Abe si è dimesso, gli è succeduto il suo capo di gabinetto Suga Yoshihide, che aveva scarso interesse per la politica estera, e che ha delegato moltissimo al Ministero degli Affari Esteri. A Suga, che è rimasto al potere praticamente un anno, è poi succeduto Kishida Fumio. Pertanto, questa scarsa longevità politica del Giappone ha impedito a Tokyo di mantenere la stessa coerenza strategica e lo stesso tipo di approccio che in precedenza gli avevano permesso di dettare l’agenda regionale. Allo stesso tempo, a Washington, sotto Biden è tornata un’amministrazione costituita da esperti di Asia. Oggi, il Giappone vede di buon occhio la dinamicità americana nel contribuire con nuova linfa all’agenda del Quad.
Alla luce di questi sviluppi, una questione di cui si sente spesso parlare riguarda la potenziale istituzionalizzazione del Quad. A riguardo, quali saranno le priorità e gli interessi strategici di Tokyo? Il Giappone preferisce operare all’interno di un gruppo informale? Oppure è a favore di una struttura anche più rigida e istituzionalizzata?
Questa è un’ottima domanda ed è difficile dare una risposta. Partiamo dal ruolo di Abe che è stato un Primo Ministro atipico per il Giappone proprio per la sua caratura quasi presidenzialista nel gestire la cosa pubblica. Abe ha promosso riforme istituzionali che hanno permesso all’ufficio del Primo ministro giapponese di essere molto più centrale, soprattutto in campo di politica estera e di sicurezza. Questi due ambiti erano proprio i pet projects di Abe che si è circondato di una squadra di politica estera composta da diplomatici e strateghi di fiducia e ha inserito un proprio team in posizioni dirigenziali in seno al Kantei, la residenza del capo dell’esecutivo in Giappone. In questo modo, questa squadra di diplomatici e strateghi è riuscita di fatto ad elaborare una strategia coerentemente volta al bilanciamento della Cina. A detta di Kanehara Nobukatsu, uno degli strateghi principali ed ex vice consigliere per la sicurezza nazionale, c’era una volontà sicura di Abe di istituzionalizzare il Quad, di legare Australia, Stati Uniti e India, e di realizzare una maggiore interoperabilità tra le flotte di questi paesi. Kanehara stesso ha definito il Quad il cuore pulsante dell’Indo-Pacifico.
C’era ad esempio una volontà di usare basi militari indiane nell’Oceano Indiano, quali ad esempio quelle nel Golfo di Bengala, di far transitare le forze navali indiane e australiane nel Mar Cinese Orientale per farle attraccare anche a Tokyo. Attingendo alla terminologia delle Relazioni internazionali, Abe e la sua squadra cercavano di promuovere un bilanciamento di potenza esterno, tanto che già durante il primo mandato, Yachi Shotaro, il National Security Advisor giapponese e il principale consigliere e mente diplomatica di Abe, definiva la partnership strategica con l’Australia una “quasi alleanza”. Che ci si stia avvicinando a una alleanza è evidenziato anche dal Reciprocal Access Agreement, che di fatto garantisce alle forze militari australiane di essere di stanza in Giappone e viceversa alle forze giapponesi in Australia, e che stabilisce lo statuto e le legislazioni vigenti, nel caso ci fossero problemi. Pertanto, c’è sicuramente una volontà di cementificare e istituzionalizzare il Quad da parte di questi attori.
L’effettiva istituzionalizzazione del Quad dipende, però, da una serie di questioni. Innanzitutto, cosa succede quando si ha al potere attori come Kishida, che sono storicamente e per background personale più inclini al dialogo con i vicini asiatici, e meno alla deterrenza? Sicuramente, Kishida ha attraversato un processo di adattamento nei confronti della Cina, convincendosi gradualmente che la “logica del bastone” possa funzionare a volte con la Repubblica popolare cinese. Ciò detto, però Kishida viene da un background diverso e esprime posizioni di carattere più moderato. Se è vero, infatti, che la Cina è un problema, è vero, di contro, che il Giappone rischia di rimanere invischiato in una competizione strategica tra Stati Uniti e Cina, che influenzerebbe pesantemente la sicurezza giapponese, in quanto Tokyo si ritroverebbe automaticamente a dover entrare in gioco in eventuali scenari di crisi, ad esempio a Taiwan o nel Mar Cinese Meridionale. Un’istituzionalizzazione eccessiva del Quad e del pilastro della politica estera e di sicurezza giapponese, cioè l’alleanza nippo-americana, porterebbe ad alcuni rischi che Abe, invece, considerava di poco conto rispetto al rischio di un abbandono da parte dell’egemone americano.
Tra l’altro, anche la stessa Amministrazione Biden ha cercato di estendere ed istituzionalizzare il Quad. Per quanto riguarda l’estensione del Quad a nuovi partner, c’è stato sicuramente un investimento americano affinché la Corea del Sud entrasse, almeno a livello informale, nel gruppo. Nonostante ciò, Kurt Campbell si è trovato di fronte al rifiuto di Seul. Come evidente dal summit bilaterale tra Biden e Moon, c’era la volontà di contenere la Cina sia sul versante Taiwan, che sul versante delle tecnologie emergenti, in cui, se si vuole creare una sorta di nuova architettura economica parallela per quanto riguarda le tecnologie emergenti e la messa in sicurezza di alcune catene di valore, è importante che un attore tecnologicamente avanzato come la Corea del Sud sia integrato. Seul si è, però, smarcata da questo tipo di richieste, limitandosi ad alcune concessioni a livello bilaterale, ma non in seno al Quad.
Per concludere, c’è sempre da ritornare alla questione del principale attore emergente al centro del concetto stesso di Indo-Pacifico, l’India. L’India è una grande scommessa, una grande potenza in divenire che, però, ha moltissimi problemi strutturali. Anzitutto, sebbene ci sia sicuramente la volontà di mantenere uno status quo che è parte integrante del cosiddetto “ordine liberale internazionale”, si pensi al mantenimento di alcuni beni pubblici internazionali, quali la libertà di navigazione e di sorvolo, e un commercio internazionale, libero e equo, l’India presenta diverse criticità perché non è sempre un attore ligio alle regole. Ad esempio, Washington è spesso in contrasto con le rivendicazioni marittime esagerate dell’India nel proprio vicinato. L’India è anche potenzialmente un problema per quanto riguarda la lotta al riscaldamento globale, che è uno degli obiettivi nell’agenda del Quad. Ricordiamo, ad esempio, che al Summit di Glasgow, paradossalmente la Cina è stata molto più ambiziosa per quanto riguarda la lotta al riscaldamento globale, mentre l’India è stata, di fatto, uno dei fanalini di coda. L’India è più oggetto che soggetto nell’approvvigionamento dei vaccini o delle infrastrutture o nel campo della cosiddetta statecraft economica e della connectivity, uno degli altri grandi temi che potranno riguardare il Quad e che già riguardano la competizione tra Stati Uniti e Cina, e tra Giappone e Cina. Infatti, gran parte di questa competizione per l’influenza si gioca anche sulle elargizioni di prestiti per la costruzione di infrastrutture strategiche in paesi in via di sviluppo e paesi emergenti. L’India è ancora più oggetto che soggetto, nel senso che l’India è ancora un paese che beneficia di elargizioni da parte di paesi terzi. Durante l’impennata di casi della variante Delta del Covid-19, l’India non è stata in grado di produrre dosi sufficienti di vaccini per esportarli nel sud-est asiatico.
L’India resta anche un problema per il suo sistema politico, che difficilmente è qualificabile come “la più grande democrazia del mondo”. Questo perché soprattutto con Modi, c’è stata una regressione democratica che fa avvicinare l’India sempre di più al Pakistan, e cioè a un regime sostanzialmente oscurantista che vede di malgrado le minoranze etniche, in particolare quella musulmana. Purtroppo, questa regressione democratica in India rivela i double standards delle narrazioni che si riferiscono alla competizione in corso come a una lotta tra democrazie e autocrazie. Si aggiungono, inoltre, il fatto che l’India rimane fortemente innamorata del suo tradizionale non allineamento. Forse dopo le dispute territoriali iniziate nella prima metà del 2020, è possibile che ci sia un maggiore allineamento di Nuova Delhi ma nel medio-lungo periodo, l’India è ancora solo una grande promessa.