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La geopolitica tedesca nello specchio della crisi dei profughi: Parte II – Dentro e fuori i confini

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Rispetto agli equilibri partitici all’interno del Bundestag o nei singoli Länder, i problemi più drammatici stanno emergendo piuttosto nel quadro internazionale e dalle frizioni interne alla società multiculturale tedesca. I vicini europei della Germania hanno scelto di non raccogliere affatto la sfida lanciata da Berlino, iniziando al contrario a introdurre controlli alle frontiere.

Addirittura un paese come la Svezia – che aveva rappresentato, in una certa misura, un modello per la stessa Germania – ha deciso di imprimere una decisa svolta alle propria condotta in materia di asilo politico e accoglienza dei migranti, promettendo l’adozione di misure più restrittive. Maggiormente gravida di conseguenze è tuttavia la crescente opposizione del cosiddetto “gruppo di Visegrád” – Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria – contro le politiche migratorie dei paesi occidentali e, in particolare, la linea tedesca sulla questione.

L’Europa divisa

Con la vittoria di Beata Szydło e del partito di destra Diritto e Giustizia nelle elezioni di novembre, uno scontro particolarmente aspro si è aperto tra Berlino e Varsavia – appena stemperato dalle formule di circostanza durante l’incontro bilaterale tra Szydło e Merkel del 12 febbraio. Le ragioni di tensione sono molteplici: dalle critiche di Bruxelles contro una riforma costituzionale ritenuta anti-democratica, all’irritazione per le campagne della stampa polacca contro i “nazisti tedeschi”, mentre la questione dei migranti e delle cosiddette “quote” pare soltanto uno dei tanti elementi capaci di produrre una profonda frattura tra l’Europa occidentale e i vicini orientali. Se l’attuale crisi dell’Unione europea sembra portare al rafforzamento di gruppi d’interesse definiti secondo criteri geografico-culturali (di cui quello di Visegrád è un esempio illuminante), in Germania si affaccia sempre più spesso un dubbio di fondo riguardo allo “spirito” dell’Europa unita, incapace di condividere un comune senso di solidarietà di fronte a drammi umanitari oggettivi o di fornire risposte condivise in relazione alle crisi internazionali del momento.

La questione è vieta e quasi oziosa – ovvero l’assenza non soltanto di una politica estera europea, ma soprattutto di un’“europeicità” al di sopra dei singoli nazionalismi – mentre neppure le posizioni tedesche sono scevre da contraddizioni e opportunismi. Tuttavia si tratta di un problema molto serio. Se all’Europa orientale piace bearsi in un doppio (o triplo) gioco tra quella occidentale, gli Stati Uniti e la Russia, e se quella meridionale ama farsi coraggio a parole o con toni aggressivi e grossolani contro i “ricchi” del nord, nessuna delle due vuole veramente il collasso dell’Unione – in primo luogo perché esse avrebbero soltanto da perdere nell’ipotesi di uno scenario simile. Se l’Europa settentrionale, invece, giungesse a smarrire l’affezione verso l’unità politico-economica del continente, non sussisterebbero effettivi freni materiali per impedire un unilaterale abbandono dell’Unione – al quale seguirebbero immediatamente nuovi accordi regionali che porterebbero alla formazione di aree di libero scambio più omogenee, tra le quali ovviamente il Benelux e, con tutta probabilità, Austria, Germania e Francia.

È ancora presto per trarre pronostici, ma è comunque significativo rilevare come, tastando gli umori dei tedeschi, emerga forse più l’insofferenza per l’atteggiamento sordo di diversi paesi europei verso un’equa ripartizione dei migranti che la questione dei profughi di per sé – e ciò vale anche per l’elettorato orientato maggiormente a destra, anche se dobbiamo ammettere come i sentimenti profondi di quella parte politica rimangano largamente taciuti. In ogni caso, i contraccolpi di una crisi interna all’Unione europea sarebbero difficilmente immaginabili. Per rimanere nel quadro dei rapporti tedesco-polacchi, basti ricordare che i due paesi condividono quasi 500 km di frontiera e che più di mezzo milione di cittadini dello Stato orientale lavorano e vivono in Germania, rappresentando la seconda minoranza del paese dopo quella turca.

Valori, identità e multi-culturalità

Alle tensioni con i paesi esteri, si sommano anche le quotidiane difficoltà legate all’accrescimento esponenziale di diverse comunità straniere in un determinato tessuto sociale. In altre parole, i piccoli cultural clashes nelle città e nelle metropoli. Gli attacchi terroristici di Parigi hanno sconvolto in pari misura tutti i popoli europei. Soprattutto chi vive nei grandi centri urbani, o chi ha stretti congiunti che abitano in qualche capitale del Vecchio Continente, si sente parimenti minacciato dalle azioni di gruppi come l’IS o da singoli “lupi solitari” del terrorismo islamista. I tedeschi non fanno eccezione. Tuttavia gli attentati di novembre a Parigi non hanno sollevato un dibattito specifico sul senso di sicurezza – o di insicurezza – in Germania, e questo nonostante che il paese sia ritenuto un potenziale bersaglio, anche a fronte del suo recente impegno in Siria. I cittadini, al contrario, paiono ancora accordare una certa fiducia alla loro Polizei e alla capacità dello Stato di prevenire azioni terroristiche su vasta scala.

A colpire piuttosto la sensibilità tedesca sono stati i noti eventi di Capodanno a Colonia. Senza poter entrare nel merito delle ragioni, superficiali o profonde, che hanno condotto a molestie di gruppo e a violenze sessuali nella notte tra il 31 dicembre e il 1° gennaio – che meriterebbero di essere affrontate a parte – ci limitiamo a rilevare come l’intera Germania si sia sentita colpita nel profondo. Sessualità, corpo della donna e senso di appartenenza nazionale sono elementi connessi tra loro da quando l’umanità ha una memoria (dal ratto di Elena a Srebrenica, solo per rimanere in ambito occidentale) e si potrebbero immaginare poche altre maniere per urtare così duramente la morale nord-europea come attraverso la manifestazione di atteggiamenti sessisti o, addirittura, di esplicita sopraffazione maschile.

Le reazioni non si sono fatte attendere e hanno investito le basi stesse dell’attuale società tedesca. Nel dibattito pubblico è emersa con forza la questione su quanto l’auspicata multi-culturalità della Germania odierna vada a compromettere i “valori non-negoziabili” su cui essa si basa – dove questi “valori” sono, da una parte, quelli del 1789 (sintetizzabili nel trinomio rivoluzionario) e, dall’altra, i diritti civili e democratici conquistati nel secondo Novecento. Il problema riguarda i profughi solo in una certa misura e più in una prospettiva futura. Nell’immediato, esso è invece rappresentato dai profondi mutamenti avvenuti nella composizione della popolazione tedesca durante gli ultimi vent’anni, con il crescere delle minoranze nordafricane e, perfino, con la specifica collocazione della consistente comunità turca.

Una società divisa

Lo spettro contro cui si tende a puntare il dito è costituito dallo sviluppo di società parallele. L’opinione pubblica tedesca pare infatti particolarmente spaventata dalla nascita e dalla sopravvivenza di mondi a sé all’interno della Germania, ognuno con i propri valori, i propri codici etici e, infine, i propri scopi politici. Delle cellule aliene che quindi minacciano di compromettere l’organismo sociale del paese, ledendone abitudini e libertà ritenute sacrosante. Il problema sussiste indubbiamente, ma in questi termini è posto in maniera semplicistica. Le società parallele esistono infatti in ogni comunità complessa. Queste possono distinguersi per grado e per natura, ed essere dettate per differenze generazionali (ad esempio le sub-culture), economiche (le élite o gli emarginati), geografiche (per regioni o perfino per quartieri), confessionali (grandi religioni o piccole sette) e via dicendo. È estremamente complicato definire il livello di “parallelismo” di singole società interne a un complesso statale, mentre certo nessuna – neppure la più segregata per etnia, lingua e culto – vive assolutamente separata dal contesto generale. Trovandosi nel campo di forze rappresentato dallo Stato ospite, esse entrano con lui in un rapporto per cui possono alternativamente danneggiarlo o favorirlo, e per questa ragione le entità parallele in una società complessa offrono una serie di opportunità e di rischi per la politica nazionale.

Inoltre, neppure i contraccolpi degli eventi di Colonia hanno prodotto una sostanziale modifica negli orientamenti politici della Germania. La principale risposta della classe dirigente è stata fornita tentando di imprimere un ulteriore sforzo verso l’integrazione dei migranti vecchi e nuovi, lasciando dunque trasparire la chiara volontà di proseguire sulla strada intrapresa. I termini in cui si possa attuare questa integrazione sono ancora abbastanza vaghi e, soprattutto, duramente discussi dalle due componenti della Grande coalizione. Tuttavia non pare lecito attendersi nessun completo voltafaccia, né da parte dell’orizzonte partitico né, in ultima analisi, della maggioranza dell’elettorato. A questo punto però è opportuno porsi una domanda di respiro, potremmo dire, geopolitico: ovvero interrogarci su quanto le politiche di asilo della Germania di Angela Merkel, con i rischi che comportano, possano rispondere a una strategia internazionale ben precisa.

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