Raggiungere le vette più alte della terra richiede un’ardua, a volte addirittura fatale, impresa. Pochi ed allenatissimi alpinisti si avventurano, principalmente durante i mesi estivi, in costosissime spedizioni organizzate che raccolgono una manciata di questi eroici sportivi da tutto il mondo. Eppure, nell’era della globalizzazione non è solo la venerabile Dea montagna l’unico “nemico” da affrontare: le contese tra Paesi diventano più invasive nel rilascio di un permesso di scalata. Affrontare un versante piuttosto che un altro può significare la differenza tra la vita e la morte. E nessuno dei protagonisti ha intenzione di cedere terreno d’altitudine, benché sia uno particolarmente ostico da controllare. Com’è possibile? Quali altre sfide globali si pongono sul tetto innevato del mondo?
L’Himalaya è una catena montuosa dell’Asia meridionale dall’invidiabile lunghezza di 2400 km ed ospita le montagne più aspre del nostro pianeta. Rappresenta intrinsecamente, pertanto, la Mecca per ogni alpinista che voglia avventurarsi nella più ardua delle imprese di ascensione.
L’altitudine massima vede spesso superare gli ottomila metri, estrema condizione in cui il corpo umano deperisce facilmente a causa del freddo e della scarsa ossigenazione; e le condizioni morfologiche di ghiacciai, crepe, e slavine da dover scansare come trappole non richiede soltanto un allenamento fisico intenso, bensì la pianificazione del miglior tracciato al fine di poter proseguire in sicurezza verso i campi base superiori. Anzitutto, si denota già agli alpinisti quanto la montagna sia campo di scontro geopolitico: la via di salita di “proprietà” di un Paese piuttosto che un altro fa la differenza per la riuscita della propria integrità fisica, ed affare da tenere in calcolo al pari dell’aspetto atletico.
Himalaya deserto e sovraffollato
Il tetto del mondo è incastonato tra sette Stati sovrani, per casualità il numero sacro buddista della completezza. I due Paesi più popolosi al mondo e che superano entrambi il miliardo di abitanti, Cina ed India, condividono questo enorme confine innevato per 3.380 chilometri. Ad ovest del confine indiano è situato l’altrettanto sovrabitato Pakistan, che conta ben 231 milioni di cittadini. Oltre alla folta popolazione la triade condivide il possesso di armi nucleari. A completamento del corollario di montagne centrali sono inglobati i modesti territori di Nepal e Bhutan, ed a sud-est troviamo infine piccole porzioni di confine con Bangladesh (165 milioni di abitanti) e Myanmar.
Sebbene condividano tutti la vicinanza con la catena montuosa più illustre al mondo, questi Paesi racchiudono in sé un crogiolo di culture con filosofie millenarie (cinese, indiana, islamica) che danno origine a tendenze centrifughe. Il rischio degli scontri tra minoranze nazionali e gruppi etnici è quello di poter portare instabilità politica in grado di condizionare le prospettive di sviluppo economico.
Visti, permessi, carte da bollo… in altre parole, entrate di cassa
Dopo l’equinozio di primavera del 2022 sherpa ed alpinisti sono ripartiti a pieno ritmo con l’attività di esplorazione in vetta; sono state contate circa centocinquantamila presenze all’anno di cui oltre mille soltanto sul celeberrimo e commerciale, per la sua facilità di scalata rispetto agli altri “ottomila”, monte Everest. Ma qual è l’impatto che tutto questo movimento crea sulla montagna e sulla geopolitica d’alta quota?
Il Covid aveva complicato di molto l’organizzazione di queste sovraffollate spedizioni, non avendo gli Stati adottato una politica omogenea di controlli sanitari e di reale contrasto alle malattie, con profonde conseguenze sul successivo rilascio del permesso per l’attività sportiva.
Il dipartimento del turismo del Nepal, ad esempio, in carico di supervisionare le spedizioni sull’Everest, mantiene la massima riservatezza per non dire minimizzazione sull’argomento sicurezza sanitaria, in special modo a seguito di spedizioni cancellate e salvataggi forzati per alpinisti in preda a sintomi febbrili dopo aver contratto il virus. La regola vuole che i recuperi in alta quota costituiscano un evento rarissimo, considerata l’onerosità di dover affittare un elicottero e personale medico. Per arginare il problema, le autorità locali avevano pensato di richiedere l’attestato di avvenuta vaccinazione (Green Pass et similia internazionali) e poche altre misure restrittive.
Si attende ancora di capire come si farà a controllare il rispetto della legge in una remota regione quale il Khumbu. Questo minuscolo Paese incastonato tra le montagne, infatti, fa alto affidamento sulla presenza turistica grazie all’aeroporto presente nella capitale Kathmandu e agli introiti derivati dalla concessione dei permessi per le scalate (in media, più di mille dollari statunitensi a scalatore), per non parlare dell’apporto economico che gravita intorno alle guide locali, noleggio attrezzature, e non potrebbe permettersi di sopperire alla mancanza di turisti per nessuna ragione.
Grande mamma India e fratello Pakistan
Più a sud, l’India vive un periodo di felice prosperità nei rapporti con l’Occidente, di funzionante democrazia e di prudenza internazionale volto a salvaguardare gli interessi “di casa propria”. Il Paese, oggi guidato dal primo ministro Narenda Modri, ha sperimentato un avvicinamento alla Russia ad inizio guerra fredda anche e soprattutto per controbilanciare il distacco della costola Pakistan con l’indipendenza raggiunta nel 1947.
A ciò si è aggiunto un aumento delle tensioni con la Cina con cui ha contese territoriali su gran parte del confine di più di tremila chilometri di lunghezza.
Sui ring alpestri d’Himalaya tali scontri si consumano persino a colpi di pietre e bastoni, con l’ultimo incidente riportato dalle testate internazionali il 13 dicembre scorso nel territorio dell’Arunachal Pradesh. Si capisce quanto queste botte da orbi non servano tanto a poter tener il proprio piede su questa o quella porzione di terreno roccioso e scosceso, quanto per poter ideologicamente difendere la cosiddetta “linea di controllo effettivo”, una specie di linea di sopravvivenza come quella del “Russkij Mir” declinata ad indicare il minimo spazio e che entrambi i Paesi reclamano in diversa misura.
È bene rispondere, dunque, alla domanda che ne consegue: a cosa serve tener possesso militare di un gruppo di impervie montagne?
Anzitutto, l’Himalaya funge da “osservatorio” sulla pianura cinese; nel corso degli anni si sono susseguiti diversi progetti di installazione di antenne per visuale e telecomunicazioni a lungo raggio.
È, inoltre, sorgente di fiumi importantissimi (Gange, Indu, Mekong, fiume Giallo, per citare i più importanti) che fungono da vie di comunicazione, ed apportano contributi vitali all’agricoltura ed al ridimensionamento dei devastanti monsoni stagionali.
La montagna lontana dai riflettori rispetto al territorio centrale ed urbano finisce, così, per essere termometro caldo di misurazione delle istanze presenti sui tavoli di trattativa diplomatici tra Paesi tramite le contese ai suoi confini. Questi luoghi remoti di confluenza di differenti gruppi etnici stanziati in zone rurali con le loro immutabili tradizioni sono un teatro più al “centro del mondo” rispetto a quanto si pensi.
Intanto il Pakistan, un Paese di recente costituzione la cui geografia spazia dalle aspre montagne del Karakorum allo sbocco sull’oceano Indiano, soffre particolarmente nel campo della sfida climatica mondiale. Scalando celebri montagne quali il K2 si nota ogni anno di più quanto il galoppante cambiamento climatico risultante nello scioglimento dei ghiacciai perpetui disagi nella risalita, oltre a costituire un rischio stesso per l’incolumità dei turisti.
La Repubblica islamica del Pakistan in cui la religione si impone sulla bandiera come nella vita di tutti i giorni racchiude una varietà di paesaggi montani, desertici e marini e popolazioni,ammassate in agglomerati urbani (dieci città superano il milione di abitanti) o nomadi, più difficili da censire (si stima che i soli pastori Kochi si aggirino sui quindici milioni). Quinto Paese al mondo per popolazione, è teatro della contraddizione urbana che troviamo in Karachi, città portuale da venti milioni di abitanti: è una grande metropoli che genera più della metà del reddito del Paese, ma anche dove più della metà dei suoi cittadini vive nelle baraccopoli.
Per queste limitazioni ancora da sciogliere, il Pakistan è un Paese giovane e promettente ma che mal può imporre il suo braccio di ferro contro l’ex sorella India sul tavolo montuoso, giocando piuttosto la carta del bilanciamento di deterrenza da armi nucleari.
La minaccia viene da Oriente
Al pari delle ultime due nazioni illustrate, la Repubblica popolare cinese rivela sull’alto delle montagne le medesime sfide di fronteggiare la crescita della popolazione e la tutela dell’ambiente in conciliazione con una crescita economica di stampo più sostenibile.
La Cina sta investendo massicciamente nello sviluppo della regione di confine della Belts and Roads Initiative (BRI). Priorità dei progetti cinesi sono strade, infrastrutture tecnologiche, e soprattutto la protezione del bacino Brahmaputra per la costruzione di centrali idroelettriche, controllo dell’acqua. La costruzione di dighe sul fiume Brahmaputra, un fiume trasfrontaliero che nasce in Tibet ed attraversa India e Bangladesh, è iniziata quasi tredici anni fa, nel novembre del 2010, con 7,9 miliardi di renmibi investiti per la sola costruzione della centrale Zangmu.
Insomma, se la Cina costruisce una diga su un fiume sacro tibetano non lo fa solo a stretti scopi di sviluppo, ma soprattutto per rimarcare un controllo territoriale già citato di presenza su ogni angolo di territorio nazionale; quanto più ostica sia l’impresa di collocazione, tanto più accrescerà il prestigio del Paese che ha avuto le risorse per rivendicarlo. Ecco come mai questo progetto ha così tanta importanza e precedenza su altri: parliamo di una regione strategica, con presenza di minoranze non ancora assimilate e che servono a tener unito il consenso dello Stato centrale.
Risiko ad alta quota
Sport, nazionalismi, infrastrutture: questi fattori sono le pedine giocate nella competizione tra i Paesi “proprietari” delle vette d’alta quota dell’intero globo, disintegrando di quest’ultime la solennità ed il ruolo centrale come mediatore neutrale a livello geografico e climatico che hanno avuto, indisturbate, per millenni. Le montagne sono diventate il campo di battaglia più inospitale, disumano e difficoltoso su cui si potesse scegliere di ospitare le Olimpiadi della geopolitica tra vicini.
Porre violenza alla montagna, alla natura, al ruolo sacro dei Sette che ricopre, è tra gli aspetti più negatividell’era di frenesia moderna dove il conflitto pervade i profondi abissi, i mari, la terra, le altitudini e le regioni di spazio aperto ancora inesplorato.