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Geopolitica dell'energiaGeopolitica dell’energia: una prospettiva italiana

Geopolitica dell’energia: una prospettiva italiana

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Il problema della sicurezza nazionale dell’Italia appare legato a doppio filo a quello della sicurezza energetica. Tra i membri UE, il nostro Paese è l’ottavo – dopo Cipro, Malta, Lussemburgo, Irlanda, Belgio, Lituania e Portogallo – per tasso di dipendenza energetica dall’esterno e il primo tra i “grandi” Stati europei (Fonte: Eurostat, marzo 2017). Questa “fragilità” è parzialmente compensata dalla centralità della penisola italiana nel bacino del Mediterraneo, che la proietta nel ruolo di ponte tra il Medio Oriente Nord Africa (MENA), una parte dell’ex Spazio sovietico e i territori dell’Unione Europea. Alcune importanti infrastrutture energetiche già collegano l’Africa settentrionale direttamente alle nostre coste, ma l’Italia grazie alle sue potenzialità “geopolitiche” potrebbe ambire a diventare un vero e proprio hub energetico continentale.

Come è noto, il mercato del gas è molto più rigido di quello del petrolio, a causa del numero ridotto di rigassificatori (in Italia quelli di Panigaglia, Livorno e Porto Viro, mentre nei Paesi UE sono in tutto 18) e dell’interdipendenza determinata dalle pipeline. La costruzione dei gasdotti, infatti, diventa l’oggetto di accordi politici tra Stati, poi implementati dai rispettivi campioni nazionali, che compiono una vera e propria scommessa sui rispettivi destini così come su quella degli attuali tavoli di discussione attivi sul piano della realizzazione normati dalle linee dell’Unione Europea in materia di accordi sul transito del gasdotto. Va da sé, infatti, che dopo la sigla degli accordi i Paesi coinvolti diventano mutuamente interessati alla reciproca stabilità politica, la quale diventa un “bene pubblico” ugualmente interessante per tutti e un incentivo alla cooperazione. La destabilizzazione di uno Stato o di intere aree comporta, invece, oltre ai danni economici, anche un contestuale aumento dell’esposizione strategica dei paesi partner, siano essi venditori o consumatori.

Russia, Libia, Algeria, Qatar, Norvegia e Olanda sono, attualmente, i principali fornitori di gas dell’Italia. Per ambire ad ottenere la posizione di hub per il continente o, quanto meno, di suo hub meridionale (con la Germania nel ruolo di hub settentrionale), Roma deve mantenere, anzitutto, i suoi ottimi rapporti con Mosca ma, al tempo stesso, sviluppare anche progetti di autonomia energetica. La Russia fa la parte del leone nell’import energetico italiano: nel 2015 ha soddisfatto il 45% della nostra domanda di gas, il 16% di prodotti petroliferi e il 21% di combustibili. I gasdotti che partono dal suo territorio verso l’Europa (Soyuz, Yamal, Brotherhood), tuttavia, transitano in Ucraina, tanto da rendere molto rilevante dalla prospettiva italiana anche la stabilità di questo Paese, turbata dall’annessione russa della Crimea e dalla guerra civile nel Donbass (a partire dal marzo 2014).

Sebbene il settore energetico sia stato coinvolto solo in misura marginale dalle conseguenti sanzioni dell’UE contro la Russia (che prevedono il divieto di esportazione di tecnologie per l’upstream), la crisi ucraina diventa un banco di prova per i rapporti tra Mosca e Roma. I nostri governi, infatti, hanno cercato di svolgere un ruolo “moderatore” rispetto agli Stati con posizioni più intransigenti sul capitolo delle sanzioni (Gran Bretagna, alcuni Paesi dell’Europa orientale). L’Italia ha così adottato una politica definita di “ambiguità costruttiva”. Pur condannando l’annessione della Crimea sotto il profilo giuridico, l’ha considerata una questione “persa” sotto il profilo politico. Pertanto, ha concentrato i suoi sforzi verso la risoluzione della crisi nell’Ucraina orientale. A tal fine Roma ha lavorato affinché le sanzioni non fossero rinnovate automaticamente e con durata annuale, ma fondate su un impianto negoziabile ogni sei mesi sulla base dei progressi registrati rispetto ai 13 punti degli accordi di Minsk (quindi alle evoluzioni politiche nel Donbass). Uno degli obiettivi da conseguire nel medio periodo attraverso questa operazione potrebbe essere quello di ottenere da Mosca una ridiscussione del progetto South Stream (arenatosi in favore del Turkish Stream proprio in conseguenza della crisi del 2014), che attribuirebbe all’Italia un elevato peso strategico e permetterebbe di riequilibrare quello ottenuto dalla Germania con la realizzazione del Nord Stream. Questo diventerebbe persino schiacciante se anche il progetto Nord Stream 2 divenisse realtà.

Per evitare che tale scenario si realizzi, (di fatto non piace agli americani, divide gli europei e l’Italia è poco convinta) il nostro Governo deve comunque lavorare al progetto del cosiddetto “corridoio” meridionale dell’energia. Oltre a insistere sul processo di State building in Libia per mettere in sicurezza “anche” i suoi interessi energetici, ha altri due importanti progetti in ballo. Il primo è quello del Trans Adriatic Pipeline – meglio noto come TAP – che dalla frontiera greco-turca, attraversando Grecia e Albania, dovrebbe far approdare in Italia il gas azero (collegandosi al TANAP e al South Caucasus Pipeline). Sebbene la capacità del TAP non rivoluzionerebbe gli equilibri energetici del continente, anche l’Unione Europea gli ha attribuito lo status di Progetto di Interesse Comune (PCI), secondo le nuove linee guida TEN-E (Trans-European Energy infrastructure). L’opposizione dei movimenti NIMBY e una campagna politico-mediatica avversa, tuttavia, rischiano di far perdere al nostro Paese questa opportunità, tanto che ultimamente è emersa l’ipotesi dello Ionian Adriatic Pipeline (IAP), che porterebbe il gas azero in Europa via Montenegro, Albania, Bosnia e Croazia.

Il secondo progetto su cui l’Italia vuole investire è quello dello sviluppo del potenziale gasifero del Mediterraneo sud-orientale, dove già erano stati scoperti i giacimenti Afrodite, Tamar e Leviathan nelle acque territoriali di Cipro e Israele. Nel 2015 Eni ha effettuato una scoperta di gas di rilevanza mondiale nell’offshore egiziano, nel prospetto esplorativo denominato Zohr. Si tratta di giacimento supergiant che presenta un potenziale di risorse fino a 850 miliardi di metri cubi di gas, con un’estensione di circa 100 chilometri quadrati, che potrebbe modificare – in favore dell’Italia – gli equilibri del mercato del gas. La tragica vicenda di Giulio Regeni e la recente virata anti-russa dell’Amministrazione Trump, potrebbero mettere tutto in discussione. Il contenzioso aperto tra l’Italia e l’Egitto in relazione alla scomparsa del giovane ricercatore naturalmente rende più difficile la collaborazione tra i due governi e produce effetti potenzialmente destabilizzanti sul Paese nordafricano. L’isolamento dell’Egitto, inoltre, lo sta facendo scivolare completamente nell’orbita della Federazione Russa, tanto che i rapporti tra Mosca e Il Cairo non erano mai stati così intensi dai tempi di Nasser. Inoltre, il progetto Mediterraneo Sud-Est potrebbe risultare tra quelli colpiti (come lo sarà sicuramente Nord Stream 2) dalle nuove sanzioni imposte dall’Amministrazione Trump, a causa della partnership al 30% della società russa Rosneft (l’altro partner è British Petroleum al 10%).

Rispetto a tali scenari resta da riflettere su chi e perché guardi con sfavore: a) il rafforzamento della posizione italiana sul mercato del gas; b) un riequilibrio del baricentro del mercato del gas verso sud-est. Due attori più di altri sembrano, per ragioni diverse, osteggiarne la realizzazione, sebbene questa dipenda da una cornice ben più complessa. La Germania appare contraria alla prima ipotesi in quanto si fa promotrice di un progetto uguale e contrario a quello italiano, che la vedrebbe nel medio termine diventare il principale hub energetico europeo. La contrarietà a questa ipotesi è complementare a quella nei confronti della seconda. A differenza di Roma, infatti, Berlino può aspirare a questo ruolo solo attraverso il gas russo e, quindi, non ha interessi affinché nuovi giacimenti vengano scoperti e nuove rotte edificate. La Russia, dal canto suo, pur accordando attualmente le sue preferenze al progetto tedesco, è contraria solo alla seconda ipotesi. Se questa prendesse forma, pur essendo Mosca parte in causa di alcuni dei progetti menzionati, rischierebbe di vedersi sottratte significative quote di mercato, di assistere a un’ulteriore flessione dei prezzi energetici e di perdere uno strumento di pressione nei confronti dei Paesi dell’Unione Europea.


Angelo Colombini
– Segretario Confederale CISL

Gabriele Natalizia – Professore di Relazioni internazionali Link Campus University

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