Il Medioriente così come l’Oriente, intesi come aree geografiche, sono sempre stati causa di rivalità strategiche tra le varie potenze che storicamente si sono affacciate sul panorama mondiale con forme e strumenti diversi in relazione al periodo storico. L’imperialismo o meglio il perseguimento di una politica internazionale egemone, ha assunto originariamente la forma del colonialismo per poi trasformarsi in partenariati, accordi di natura economica/commerciale, interventi militari per fini umanitari e altre forme di cooperazione dietro le quali si cela più delle volte, l’intento di conquistare o mantenere il controllo di aree determinanti per fini strategico/militari e per lo sfruttamento di risorse strategiche e naturali.
Da quest’approccio, le linee guida tracciate dall’amministrazione Obama, dal suo primo mandato, non sono immuni. Lo stesso Barak Obama lo afferma nell’intervista sull’Atlantic in cui, ripercorrendo le scelte da lui assunte in otto anni in politica estera, enuncia i suoi obiettivi strategici che sono stati alla base del suo agire o non agire in campo internazionale.
“ Per Obama l’Asia rappresenta il futuro…l’Europa di cui non ha una visione romantica è una fonte di stabilità globale che richiede l’appoggio di Washington…il Medioriente è una regione da evitare e che presto, grazie alla rivoluzione energetica in corso negli Stati Uniti, avrà un’importanza trascurabile per l’economia America” (The Obama Doctrine, The Atlantic 2016).
Queste affermazioni dimostrano come le maggiori decisioni prese dall’attuale presidente degli Stati Uniti siano il frutto di un preciso disegno strategico il cui risultato finale è quello di rimarcare nel panorama internazionale il ruolo degli Stati Uniti ancora da potenza egemone. La riformulazione delle modalità e la scelta delle aree di intervento, in relazione ai mutati equilibri geopolitici, hanno costretto il governo americano a riaprire porte un tempo proibite (Iran, Cuba, Russia, Vietnam.)
Medioriente: assenza degli Stati Uniti colmata da guerre locali per la conquista dell’egemonia sul territorio
Per Obama questo è il miglior Medioriente possibile. È il risultato di un’accurata riflessione strategica che può essere inquadrata in un disegno che ha origini antiche. Obama persegue, pur se in maniera originale,una strategia longeva.
Uno dei traguardi fondamentali raggiunti da Obama è l’accordo nucleare siglato con l’Iran sciita, potenza levantina storica, da tempo emarginata dal contesto internazionale. La relativa importanza del contenuto dell’accordo si evince dal fatto che Obama, nei suoi discorsi, non si è mai soffermato sui dettagli contenutistici ma sulla necessità di siglare un’intesa al fine di riammettere l’Iran nel contesto delle relazioni internazionali e di conseguenza consentire ad esso di avere un ruolo egemone nel territorio mediorientale da contendere con le altre potenze.
“L’obiettivo finale, per Obama, non è il riorientamento verso Teheran ma piuttosto la costruzione di uno stabile equilibrio regionale della potenza – uno che non richieda l’impiego permanente di grandi quantità di risorse statunitense” (Lynch, Foreign Affairs 2015)
Utilizzare l’hard power tramite l’intervento militare non avrebbe riequilibrato il caos levantino e non avrebbe consentito agli Stati Uniti di mantenere tacitamente e indirettamente la loro egemonia. La rilegittimazione iraniana, risulta fondamentale nel disegno strategico di Obama poiché oltre a ricostruire una solida architettura regionale limita, di conseguenza, interventi militari dispendiosi e lascia gli Stati Uniti liberi di controllare l’area del Pacifico. Consente di arginare il problema della Siria, quest’ultimo, storico alleato dell’Iran per farlo ricadere così nella sua sfera di influenza. La scarsa rilevanza strategica della Siria per gli Stati Uniti si evince nel 2013, quando la violazione della red line tracciata da Obama per intervenire nei confronti della Siria qualora fosse manifesta la presenza e l’uso di armi chimiche nel territorio, è rimasta impunita e non ha determinato un intervento militare. Nonostante l’opinione pubblica nazionale e internazionale e gli altri governi abbiamo giudicato incoerente e inadatto il non agire di Obama, egli stesso rivendica la scelta di essere andato contro il manuale delle regole di Washington avendo evitato un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nella guerra civile musulmana in atto, sfruttando così la sola minaccia d’intervento americano per eliminare il pericolo di un attacco chimico.
L’accordo siglato il 14 luglio 2015 ha, di fatto, modificato i precari equilibri in Medioriente alternando le gerarchie tra i vari paesi e gli Stati Uniti. In funzione del nuovo disegno egemonico tracciato dagli USA, è stata imposta una convivenza forzata tra storici alleati quali Arabia Saudita e Israele e il nuovo Iran riabilitato. Le guerre locali che potrebbero sorgere per finalità egemoniche, sono la diretta conseguenza della strategia americana che lasciando un territorio in preda al caos impedirebbe a ciascuna potenza di avere il controllo totale sul Medioriente.
In questa cornice l’Isis è un elemento marginale che non deve essere sconfitto ma solo contenuto in quanto è un ulteriore fattore di destabilizzazione dell’area che impedisce l’emergere di una potenza egemone.
Oriente: arginare l’avanzata cinese alternando l’equilibrio di cooperazione/ competizione
La riduzione della centralità strategica del Medio Oriente è funzionale al riposizionamento strategico verso il Pacifico per frenare l’avanzata cinese.
La sfida maggiore per Washington nei prossimi decenni è quella di superare il rapporto di cooperazione/competizione con la Cina rendendola un partner privilegiato disposto ad accettare le regole economiche commerciali e politiche imposte dagli Stati Uniti.
A differenza del Medioriente e anche della Russia, la Cina è nel nostro momento storico, una potenza concorrente con quella statunitense nell’ordine internazionale dal punto di vista economico e commerciale. I commerci, gli investimenti e le delocalizzazioni di imprese tra Washington e Pechino si contrappongono alle frizioni e all’espansionismo militare. La combinazione di questi elementi fino ad oggi ha costituito la base per la creazione di un equilibrio precario tra le due potenze che è rimasto saldo soprattutto perché la Cina è stata la principale finanziatrice del debito americano.
Per capire come gli Stati Uniti reagiscono alla sfida del dragone cinese, bisogna avere in mente il disegno strategico della Cina. Al fine di tutelare il proprio sviluppo e ascesa economica tutte le strategie geopolitiche intraprese dalla Cina negli ultimi anni sono strettamente connesse con la protezione degli strumenti che consentono ad essa la sua continua espansione: tutela delle proprie linee di rifornimento per proteggere il mercato interno, le rotte commerciali e le risorse strategiche dall’interdizione straniera attraverso l’espansione della sua presenza marittima e del suo peso finanziario e politico sulla scena internazionale.
Per contenere la sua espansione economica, Obama ha messo in pratica l’arma dell’isolamento economico, siglando un accordo di libero scambio TTP, nel 2013, con tutti i maggiori paesi che si affacciano sulle coste del Pacifico, escludendo la Cina.
Per arginare l’avanzata militare cinese, l’Amministrazione Obama ha potenziato militarmente,nel maggio 2016, il Vietnam con l’eliminazione dell’embargo sulle armi, ha risvegliato la potenza giapponese dalla pace perpetua, per la questione del controllo delle isole Senkaku/Diaoyu nel Mar Cinese Orientale.
Da questo policentrico scenario internazionale l’Europa sembrerebbe non avere alcun valore strategico per gli Stati Uniti. Le divisioni interne tra gli stati europei rendono l’Europa un contendente debole in campo internazionale. La forte dipendenza militare dagli Stati Uniti attraverso la NATO, difficilmente consentirà al continente europeo di poter avere mire espansionistiche che potrebbero spaventare l’indole egemonica USA.
L’Europa potrebbe recuperare un ruolo decisivo nello scacchiere internazionale guidato dagli Stati Uniti solo qualora siglasse il TTIP, l’accordo di libero scambio con gli Stati Uniti, che creerebbe un’area, con un elevato valore economico, utile agli Stati Uniti per isolare anche nell’area atlantica l’avanzamento cinese e all’Europa per rimanere unita almeno dal punto di vista economico commerciale e per non essere emarginata dal sistema internazionale.