Il nesso tra energia e geopolitica è, oggigiorno, una delle questioni pivotali a livello internazionale, il cui epicentro sembra essere il confine russo-ucraino. L’invasione militare dell’Ucraina da parte di Mosca, iniziata nella prima mattinata del 24 febbraio 2022 in seguito alla volontà di Kiev di aderire ufficialmente alla Nato, non lascia spazio a interpretazioni disomogenee: si prospetta un’ulteriore guerra del gas nel terzo millennio le cui perturbazioni e ripercussioni, dal punto di vista geopolitico ed energetico, saranno imminenti e notevoli per quanto concerne l’Unione Europea. Sarà dunque Bruxelles in grado di ridurre la propria dipendenza energetica da Mosca e risolvere l’enigma del gas russo?
UE-Russia: una relazione storica caratterizzata dalle crisi del gas
Ridurre il proprio impatto sul clima e adattare sostenibilmente i propri consumi è una delle sfide fondamentali intraprese dall’Unione Europea. Uno dei principali foci di Bruxelles è il gas naturale, il meno inquinante dei tre tradizionali combustibili fossili, i cui stock di riserve certe sono situati primariamente in Russia, seguita da Iran e Qatar. A tal proposito, una recente dichiarazione del vicepresidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, ha rafforzato ulteriormente questa teoria: il gas naturale (insieme all’energia nucleare) è stato inserito nella tassonomia green, ossia una lista di attività economiche sostenibili e, di conseguenza, finanziabili attraverso fondi comunitari.
Un’economia climaticamente neutra, auspicata dalla Commissione Europea, non può dunque prescindere dalla centralità del gas naturale. Tuttavia, le recenti ostilità militari tra Russia e Ucraina hanno evidenziato come gli equilibri siano sempre più sul filo del rasoio. Tradizionalmente, l’UE è caratterizzata da una gravosa dipendenza dal gas russo: Mosca sta sfruttando il suo potere di oligopolista, considerati i circa 238 milioni di metri cubi di gas naturale esportati, per ragioni prettamente geopolitiche. Il risultato è un sorprendente deficit commerciale, un surplus di importazioni rispetto alle esportazioni che nell’Eurozona non si verificava dal lontano 2014.
La Russia rifornisce il 40% del gas naturale utilizzato nel Vecchio Continente, principalmente attraverso il gasdotto di Nord Stream, una rete di infrastrutture che attraversa proprio il territorio ucraino (oltre al gasdotto Yamal attraverso la Bielorussia e il Turkstream attraverso la Turchia). La situazione critica al fronte ha innescato una serie di preoccupazioni dal punto di vista energetico tanto che l’Europa sembra possa essere reindirizzata verso uno scenario di crisi stile anni ’70. La produzione interna di gas, limitata solamente all’area olandese di Groningen, insieme alle importazioni provenienti da Norvegia, USA, Nigeria, Algeria e Qatar, non possono essere considerate sufficienti al fine di sopravvivere, in un’ottica a medio-lungo termine, ad una tragica sospensione delle importazioni di gas russo, fondamentale per rispondere alla domanda interna di almeno 20 su 27 Stati Membri dell’UE, in particolar modo quelli sud-orientali. Secondo il think tank Bruegel, se Mosca dovesse interrompere definitivamente la fruizione di gas in Europa, attualmente l’Unione Europea non sarebbe in grado di sostituire l’offerta, motivo per cui la questione russo-ucraina ha definitivamente acceso la spia dell’allarme energetico in quel di Bruxelles.
Conflitto russo-ucraino: origini e conseguenze di una tragedia annunciata
Nel 2021, la diminuzione delle forniture di gas russo all’UE è stata drasticamente ridotta del 25% rispetto all’anno precedente in seguito alla (ennesima) guerra del gas tra Mosca e Kiev. Il primo “conflitto energetico” risale al marzo 2005 quando la Russia accusò la compagnia nazionale del gas ucraina (Naftogaz) di prelevare illegalmente le risorse destinate all’Europa e di aver accumulato un debito non più sostenibile. I successivi contenziosi, tra il 2007 e il 2009, hanno portato ad un deterioramento nei rapporti diplomatici, con una conseguente cristallizzazione del comparto industriale a Kiev che ebbe notevoli ripercussioni principalmente sull’architettura europea. L’UE ha inevitabilmente intrapreso un discorso di diversificazione delle rotte energetiche che, oggigiorno, risulta essere di assoluta urgenza.
Le origini delle criticità attuali non sorprendono: l’Ucraina vuole entrare nella Nato, la Russia non tollera ulteriori espansioni nel suo vicinato da parte dell’organizzazione internazionale, specialmente se gli interessi in gioco riguardano un’ex repubblica sovietica con la quale condivide più di 1500 chilometri di confine. La possibilità che Putin potesse replicare un intervento armato simil-2014, nel quale la creazione di repubbliche separatiste filo-russe nel Donbass orientale ha portato all’annessione della Crimea, si è materializzata all’alba del 24 Febbraio 2022 con il riconoscimento ufficiale delle repubbliche separatiste del Donbass situate in territorio ucraino, Donetsk e Lugansk. La strategia del Cremlino è ben congegnata e, nonostante numerosi incontri diplomatici volti a sancire una (temporanea) tregua, la campagna militare moscovita continua ad intensificarsi; tuttavia, se da un lato è evidente come l’attacco non miri esclusivamente al controllo delle due sopracitate regioni contese dell’Ucraina orientale, dall’altro è difficile immaginare un’invasione su vasta scala dell’intero territorio ucraino senza ripercussioni critiche.
La materializzazione del conflitto ha già avuto le prime ripercussioni a livello energetico sull’Unione Europea, tanto che il gasdotto Yamal-Europa ha smesso di funzionare. L’interruzione del circa 10% delle forniture totali di gas che passano attraverso Ucraina, Polonia e Germania, è solamente il primo campanello d’allarme a livello energetico che rende sempre più concreto lo scenario nel quale l’UE debba rinunciare a più di un terzo del gas importato dalla Russia. L’aumento vertiginoso, attuale e nel breve periodo, delle quotazioni di gas naturale ed il perseguimento degli obbiettivi posti in essere dal Green Deal, che richiede una riduzione della produzione interna dei 27 Stati Membri, rende necessario riprendere proattivamente le questioni più spinose concernenti la diversificazione delle fonti.
Mosca potrebbe subire un contraccolpo economico per quanto concerne il via libera all’iter autorizzativo del Nord Stream 2, il gasdotto che dovrebbe entrare in funzione nel secondo trimestre del 2022 trasportando gas in Europa attraverso la Germania, ma che rimane subordinato al nodo geopolitico dell’approvvigionamento energetico. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha dichiarato che “la certificazione per l’avvio della pipeline Nord Stream 2 non potrà essere data“, dimostrando una rottura col precedente governo Merkel, da sempre arduo sostenitore di un progetto costato circa €12 miliardi. Tuttavia, il Cremlino reputa di avere un asso nella manica alternativo, rappresentato dal mercato e dalla domanda cinese in forte espansione. L’implementazione del gasdotto Forza della Siberia 2, che collegherebbe la regione siberiana alla Cina settentrionale sembra proprio andare verso questa direzione, con risvolti economici talmente importanti che permetterebbero a Mosca di utilizzare ancor di più il gas come un’arma di pressione politico-economica a livello regionale e globale.
Evitare a tutti i costi le “spalle al muro” energetiche: le contromisure di Bruxelles
La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, si è fatta portavoce di un’Unione Europea volta ad intensificare la cooperazione energetica al fine di fornire approvvigionamenti affidabili e convenienti a tutti i cittadini del Vecchio Continente. I recenti sviluppi al fronte russo-ucraino hanno intensificato i dibattiti all’interno della Commissione Europea, il cui impegno comunitario prioritario è proprio quello di definire un ‘energy compact’ volto a contenere l’inevitabile caro prezzi generato dal conflitto. Oggi più che mai, le ambiziose intenzioni dovranno necessariamente essere concretizzate nel breve-medio periodo: si prospetta che l’UE possa (eventualmente) sopravvivere ad un’interruzione su larga scala da parte di Mosca solamente fino all’ultimo trimestre del 2022, periodo oltre il quale i paesi si vedrebbero costretti ad intraprendere misure di emergenza.
L’ultimo rapporto dell’Agenzia Internazionale dell’Energia e la recente analisi pubblicata dal think tank Ecco saranno certamente le linee guida ideali al fine di ridurre nettamente le importazioni di gas russo entro dodici mesi al massimo; si annoverano principalmente l’abbassamento temporaneo di un grado della temperatura del riscaldamento domestico, nuovi progetti eolici e solari, maggiore approvvigionamento da bioenergie e nucleare ed, infine, una concreta diversificazione delle fonti di energia che punta primariamente sulle forniture di Gas Naturale Liquefatto da numerosi paesi.
Dopo la Russia, rispettivamente Norvegia, Algeria, USA e Qatar sono i maggiori partner di Bruxelles. Ciononostante, nessuno di questi attori pare in grado di poter sostituire il ruolo primario ricoperto dal gas russo nel breve periodo. I recenti contatti con il Qatar e gli Stati Uniti sono sicuramente di impatto positivo in un’ottica a lungo termine ma la diversificazione dal punto di vista energetico richiede uno sforzo a 360° che implica potenziali collaborazioni con partner centro-asiatici e nord-africani, specialmente l’Azerbaijan e l’Egitto, che potrebbero fornire una soluzione innovativa e meno soggetta ad ingerenze esterne.
L’UE non potrà comunque far fronte ad un arresto prolungato del gas russo in quanto non dispone di ingenti capacità d’importazione di riserva e l’investimento, dal punto di vista logistico ed economico, risulterebbe impraticabile, anche nella migliore delle ipotesi che prevedrebbe un non-intervento da parte di Bruxelles sul lato della domanda attraverso l’allocazione di risorse economiche straordinarie. Certamente, l’UE potrebbe innovare ed efficientare il già esistente sistema di gasdotti europeo, tuttavia ottenere la risorsa primaria attraverso un costante volume di importazione aggiuntiva resta utopico, soprattutto in prospettiva politica.
Conclusione
Lo scoppio del conflitto russo-ucraino sembrava sottolineare nuovamente come l’Unione Europea fosse cauta nel perseguire una posizione comune e decisa dal punto di vista sanzionatorio. Tuttavia, considerato che Bruxelles avrebbe avuto più da perderci che da guadagnarci, la situazione è totalmente cambiata: la retorica congiunta tra Washington e Bruxelles ha lasciato spazio a concrete misure economiche, tra il cui congelamento di beni e l’esclusione di alcuni istituti di credito russi dal sistema SWIFT, e militari, con l’invio di armi in Ucraina anche da parte di quei paesi tradizionalmente caratterizzati da non-interventismo militare come la Svezia. L’Unione Europea ha sempre mantenuto rapporti solidi con il Cremlino, nonostante molteplici crisi geopolitiche; tuttavia, il costante aumento dei prezzi dell’energia e l’instabilità creatasi nella regione impattano negativamente sull’ambiente politico-economico europeo. L’interdipendenza che tuttora esiste tra Russia e UE dal punto di vista energetico rappresenta sicuramente uno degli elementi in gioco più importanti: Bruxelles è nettamente più attrezzata e resiliente rispetto alle precedenti crisi energetiche, tuttavia è difficile immaginare un futuro senza Mosca. Ragion per cui, politiche di decarbonizzazione e diversificazione dovranno parimenti essere integrate da uno sforzo diplomatico e geopolitico che possa soddisfare tutti gli attori in gioco e garantire un futuro energetico prospero e sicuro.