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TematicheItalia ed EuropaIl gas che preoccupa il Vecchio Continente

Il gas che preoccupa il Vecchio Continente

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La questione dell’approvvigionamento energetico da parte dell’Europa e, più nello specifico, dei Paesi dell’Unione europea, costituisce da sempre uno dei maggiori e più profondi vulnera europei: una problematica mai del tutto risolta, che vede l’UE, e con essa i 28 Paesi che la compongono, profondamente dipendente da forniture di gas e petrolio provenienti da Paesi esterni, soprattutto dalla Russia, che costituisce oggi il principale fornitore di risorse energetiche da cui l’Unione attinge. L’Unione Europea, infatti, si trova stretta tra la mancanza di risorse endogene sufficienti a soddisfare le necessità energetiche interne e il desiderio, al contempo, di ridurre la propria dipendenza gasifera da Mosca e, più in generale, dal ridotto numero di partner che attualmente forniscono all’Unione larga parte dei propri consumi di energia.

Poche risorse, molte importazioni. La situazione dell’Unione e dell’Italia

Con un bisogno energetico in rialzo costante, e una produzione interna insufficiente a soddisfare anche solo metà della domanda di gas, l’Europa deve fare i conti con una oggettiva necessità di approvvigionamento da fonti esterne, tra le quali la Russia ha costituito e costituisce ancora oggi uno dei protagonisti principali. Il problema, è bene sottolinearlo, si pone in maniera particolare per quanto concerne l’approvvigionamento di gas, poiché, per quanto anche il petrolio costituisca una fonte scarsamente presente sul territorio europeo, le forniture di oro nero sono maggiormente diversificate e beneficiano di un’ampia gamma di Paesi da cui l’Unione europea può importare. Non così per il gas.

L’intera Unione, in primo luogo, si trova ad importare oltre metà del proprio fabbisogno energetico, restando dunque largamente dipendente dal mercato estero. Secondo i dati della Commissione Europea[1], infatti, “più della metà dell’energia consumata nell’UE-28 proviene da paesi extra UE, e nell’ultimo decennio tale quota è andata generalmente aumentando. Gran parte dell’energia proviene dalla Russia, le cui controversie con i Paesi di transito hanno rischiato di provocare una sospensione delle forniture negli ultimi anni, come è accaduto ad esempio tra il 6 e il 20 gennaio 2009, quando le forniture di gas dalla Russia attraverso l’Ucraina sono state interrotte”. Alla dipendenza diffusa dei Paesi europei da fonti esterne, fa eccezione la Danimarca, unico Paese dell’Unione ad avere un tasso di importazione negativo.

In questo scenario già di per sé complesso, l’Italia si trova in una posizione particolarmente difficile. Il nostro Paese importa oltre l’80% del suo fabbisogno energetico dall’estero: ciò significa che, a parte le ridottissime produzioni interne di gas e petrolio, e una minima percentuale di energia ottenuta mediante le fonti rinnovabili, l’Italia è ampiamente dipendente dai fornitori esteri (peraltro in misura largamente superiore alla media europea) per assicurare energia sufficiente alla propria popolazione. D’altra parte, neppure ha giovato al nostro Paese la situazione che si è creata in Libia, da cui l’Italia importava una grossa fetta del proprio fabbisogno petrolifero, grazie alla stipula del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione siglato il 30 agosto 2008: a seguito della rivoluzione libica, e del conseguente stato di profonda instabilità del Paese, l’Italia ha visto crollare le proprie importazioni dalla Libia, incrementando ancora di più la propria dipendenza dalla Russia.

Tuttavia, come visto poc’anzi, il problema energetico non è una questione che preoccupa esclusivamente l’Italia ma rappresenta una variabile parzialmente sconosciuta per le economie e le popolazioni di molti Paesi europei. Nel 2019, peraltro, arriverà a scadenza il contratto con la Federazione russa per le forniture di gas attraverso il suolo ucraino, con tutte le incognite che, alla luce delle vicende degli ultimi mesi, potrebbero essere in agguato. Ad un primo sguardo, tre anni parrebbero un lasso di tempo sufficiente per permettere all’Europa di organizzare forniture e strutture per ottenere le risorse di cui necessita, eppure essi sono, in realtà, un tempo terribilmente limitato.

La Russia: una posizione (fino ad oggi?) dominante

E’ in questo complesso scenario, che si inserisce il recente comunicato con cui Saipem ha annunciato di aver ricevuto dal proprio cliente South Stream l’avviso di revoca della sospensione dei lavori, che era stata annunciata improvvisamente dalla Russia nel dicembre 2014. La notizia ha rimesso in gioco quello che sembrava essere un progetto definitivamente archiviato, il South Stream, appunto, che dovrebbe permettere, a lavori conclusi, di fornire approvvigionamenti energetici all’Unione europea direttamente dalla Russia, passando per le condutture del Mar Nero.

Nel dicembre 2014, infatti, Putin aveva annunciato l’improvvisa cancellazione del South Stream, che avrebbe dovuto essere completato entro il 2015 e che invece era stato – momentaneamente – messo in pausa, molto probabilmente in favore del Turkish Stream. Quest’ultimo permetterà il passaggio degli approvvigionamenti di gas verso l’Europa attraverso la Turchia e di esso sono parse particolarmente entusiaste Ungheria e Grecia che nutrono la speranza di ricoprire, in futuro, il ruolo di hub dei flussi del gas russo verso l’Europa.

Nonostante la recente notizia della revoca della sospensione dei lavori al South Stream e anche ipotizzando, dunque, la conclusione del gasdotto, il problema per l’Unione europea resta: di fronte ad una ineluttabile dipendenza dall’estero, le forniture continuerebbero ad arrivare in misura preponderante dalla Russia, mentre oggi l’Europa avverte più che mai la necessità di diversificare le proprie fonti di approvvigionamento. La diversificazione condurrebbe, infatti, ad una maggiore indipendenza europea, oltre a conferire un ruolo geopolitico di maggiore rilievo ad un continente che tradizionalmente deve affidarsi a fonti esterne per soddisfare i propri consumi.

D’altra parte, grazie all’accordo tra Russia e Cina sulla fornitura del gas, firmato dopo una lunga gestazione nel maggio 2014, Putin è riuscito a trovare una valida alternativa al mercato europeo (o, quantomeno, un degno concorrente), accaparrandosi un contratto trentennale con un partner costantemente affamato di energia per nutrire la sua economia galoppante. L’accordo, siglato lo scorso anno ma con data di inizio 2018, garantisce alla Cina una fornitura russa di 38mld di metri cubi di gas l’anno a prezzi estremamente competitivi.

E così, se prima l’Unione europea poteva far valere, in quanto massiccio cliente del gas russo, la propria posizione privilegiata di acquirente “solitario”, ora si trova quantomeno spodestata dalla sua posizione e si trova di fronte ad un apparente dilemma: giocare secondo le regole del venditore oppure cambiare gioco.

Le alternative europee

La soluzione, tuttavia, sarebbe prima facie semplice e risiederebbe in una terza opzione: svincolare l’Unione europea dal gas russo, rafforzando e ampliando la diversificazione delle fonti, non in un’ottica di un’improbabile (se non impossibile e controproducente) interruzione delle forniture di gas provenienti dalla Russia, quanto piuttosto di una riduzione della dipendenza dal fornitore russo, che nel 2013 figurava come il primo fornitore europeo di gas, petrolio e combustibili solidi.

Ma, a conti fatti, quali potrebbero essere le alternative plausibili alle forniture del gigante russo? E’ possibile esaminare le diverse opzioni a disposizione dell’Europa, in base alla provenienza geografica degli approvvigionamenti.

Partendo dal Nord, una delle più probabili alternative alla preponderanza russa è costituita dalla Norvegia. L’Europa importa una notevole quantità di gas da questo Paese, che ha rappresentato il secondo fornitore europeo dopo la Russia per molti anni e che, secondo i dati del primo quadrimestre del 2015, ha addirittura scavalcato il gigante eurasiatico.

Sul versante orientale, invece l’Europa e l’Italia possono puntare sulla TAP (Trans Adriatic Pipeline) che, con un gasdotto che parte dalla Grecia, attraversa l’Albania e giunge in Puglia, rappresenta un progetto di ampio respiro dal quale specialmente l’Italia ha da guadagnare, in quanto destinataria e porto di arrivo delle forniture gasifere in partenza dall’Azerbaigian. Da non sottovalutare anche Iran e Turkmenistan, ricchissimi di risorse energetiche e al tempo stesso partner che ricoprono una fetta ancora relativamente ridotta delle importazioni europee (al 2013, la quota di petrolio iraniano si attestava al 6% del totale).

A Sud, invece, l’Europa guarda al Nord Africa: l’Algeria rappresenta un eccellente partner commerciale dell’Unione europea. I flussi commerciali con l’Europa sono cresciuti notevolmente nel corso degli anni, in particolar modo dal 2002 e, nel 2013, l’Unione europea acquistava circa il 54% delle esportazioni algerine, che costituivano un’ottima fonte di approvvigionamento energetico per l’Europa. Eppure, anche in Nord Africa c’è un preoccupante rovescio della medaglia. Il problema della sicurezza non è trascurabile, soprattutto alla luce della forte instabilità causata dalla questione libica che tutto sembra fuorché avviarsi a rapida soluzione. Resta, dunque, una priorità chiave per l’Europa, e in particolare dell’Italia, la stabilizzazione della regione nordafricana, nell’ottica di una futura, rafforzata cooperazione in ambito economico ed energetico.

A chiudere il quadro, c’è la questione GNL, in cui due attori principali emergono nel panorama internazionale. Da un lato, il Qatar, primo esportatore di gas liquefatto e al momento già attivo sotto questo profilo, ha visto crescere notevolmente le proprie esportazioni verso l’Unione, i cui acquisti di gas naturale da questo Paese sono passati dall’1% del 2002 fino a toccare l’11% nel 2011, segnando dunque un trend generalmente positivo seppur con un parziale calo nel 2012 (anno in cui le importazioni europee di gas naturale si sono attestate all’8.4%). L’altro possibile partner per il GNL sono gli USA che, sebbene siano ancora in fase di costruzione delle infrastrutture necessarie, potrebbero partire con le esportazioni verso l’Europa (ma anche verso l’Asia) già nel 2016.

Quali prospettive?

Nonostante il ruolo preponderante tuttora ricoperto dalla Russia, dunque, i fornitori alternativi che potrebbero scendere in campo per soddisfare la domanda europea sono molti. Pertanto, l’Unione deve cogliere l’occasione per dimostrare saper mettere in atto un piano efficace, una strategia di politica estera energetica concreta, che le permetta di divenire un attore più competitivo sul piano internazionale e meno legato ai mutevoli interessi del vicino russo.

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