La politica estera e di sicurezza comune (PESC) dell’Unione europea è stata istituita nel 1993 dal trattato sull’Unione europea al fine di preservare la pace, la sicurezza internazionale, promuovere la cooperazione internazionale e consolidare la democrazia, lo Stato di diritto e il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. La storia della politica estera comune è però una storia fatta di fallimenti, veti, progressi lenti e dualismo con gli alleati NATO. La Difesa comune europea è – paradossalmente – la politica comune che doveva nascere per prima, prima ancora della politica commerciale, agricola o monetaria. Eppure, solo in questo periodo, in cui i venti di guerra soffiano a est del continente, il tema della difesa europea diventa dirimente per il futuro dell’Europa.
In questo testo analizzeremo inizialmente la travagliata storia della politica estera comune europea per poi giungere all’attuale politica estera dell’Unione europea, ai suoi obiettivi e strumenti principali quali la mediazione. Infine, facendo riferimento al recente approccio della Restorative Justice introdurremo i possibili miglioramenti e sviluppi futuri.
Un ritardo lungo 70 anni.
Dal fallimento della Comunità Europea di Difesa a inizio anni ’50 e fino agli anni ’90, il coordinamento delle decisioni di politica estera fra gli stati europei è stata molto debole e con piccoli risultati dalla scarsa efficacia ottenuti soprattutto nei periodi di distensione della guerra fredda. Dopo il 1989 si è verificata una decisa crescita del coordinamento dei governi europei in materia di politica estera attraverso la NATO, come in Bosnia e Kosovo, mentre la capacità di attivazione dell’UE, come attore unico, rimase residua. Nonostante il trattato del 1993, negli anni a seguire, la politica estera comune dell’UE continua ad essere irresoluta a causa della minaccia del fondamentalismo islamico, dell’intervento in Iraq del 2003 e più recentemente dal dibattito sui flussi migratori che ha visto i paesi dividersi su vari fronti.
Odierni obiettivi e strumenti
La politica estera e di sicurezza comune dell’UE è ad oggi orientata a risolvere i conflitti e a promuovere l’intesa a livello internazionale, e si basa principalmente sulla diplomazia e il rispetto delle norme internazionali. L’UE, specificatamente nelle sue relazioni estere, si prefigge di tradurre i suoi principi fondatori di pace, sicurezza, giustizia, protezione dei diritti e della legge attraverso diversi mezzi e la mediazione ha assunto un ruolo sempre più importante.
Questa tendenza è stata rafforzata con diversi documenti politici che hanno promosso il ruolo della mediazione all’interno del pacchetto di strumenti della politica estera. Nel corso degli anni, questo metodo è diventato un pilastro centrale e visibile dell’azione esterna dell’UE, sostenuta politicamente dai suoi Stati membri e sfruttata attraverso partenariati internazionali. Ragion per cui, l’UE è oggi coinvolta in numerosi processi di pace nel mondo.
Cambio di paradigma: la Restorative Justice
Sebbene la mediazione rientri nel quadro degli strumenti di accesso alla giustizia, in realtà non parte dal presupposto che l’obiettivo sia quello di risolvere un danno o di riparare una relazione; ma è principalmente motivata dalla necessità di risolvere una controversia o un conflitto attraverso un accordo. Ciò è dimostrato dal fatto che la mediazione è più frequentemente utilizzata in situazioni in cui le parti non sono d’accordo su dove sia la colpa o sulla colpa in generale. Ed è uno scenario assai ricorrente. Per questo motivo la politica europea ha recentemente posto lo sguardo su un diverso approccio di giustizia: la Restorative Justice o giustizia riparativa.
Uno dei principali fondatori di questo approccio, il professore Howard Zehr definisce la Restorative Justice “come un percorso alternativo di giustizia alla risoluzione dei conflitti”. Formalmente assomiglia alla mediazione per diversi elementi, quali la presenza di un mediatore imparziale e la volontà di partecipazione delle parti. Tuttavia, si tratta di due metodi distinti. Mentre la mediazione si concentra sulla risoluzione della controversia come accennato precedentemente, la prassi riparativa, al contrario, è motivata principalmente dalla necessità di affrontare il danno arrecato; che non ha luogo a meno che, e fino a quando, la persona che ha causato il danno non abbia ammesso pienamente e liberamente le proprie azioni e sia disposta ad assumersene la responsabilità. Questo è ciò che rende lo scopo di un intervento riparativo completamente distinto dalla mediazione.
I tre elementi fondamentali della giustizia riparativa sono i concetti interconnessi di Incontro, Riparazione e Trasformazione.
L’instaurazione di un dialogo attraverso un mediatore formato e imparziale porterà a un mutuo riconoscimento delle parti e consentirà alle vittime di risanare le proprie sofferenze, soddisfare i propri bisogni, di ricostruire la relazione danneggiata e di incoraggiare un cambiamento nell’attore di reato affinché venga reinserito nella comunità senza pericolo di recidive o vendetta. La giustizia riparativa è strettamente legata all’esigenza di sanare l’offesa facendo sì che le relazioni in una comunità vengano rilanciate, recuperando la sicurezza ambientale minata dall’accaduto e rinforzando così il tessuto sociale nella gestione futura del conflitto.
Prospettive future e implicazioni per la costruzione della pace
Affinché questo nuovo paradigma di mediazione internazionale si realizzi è necessario un impegno di tutti gli Stati membri a mettere da parte gli interessi e le agende nazionali che finirebbero soltanto per ostacolare la capacità dell’UE di dar vita a un approccio comune in politica estera, come per l’appunto è successo in passato. A livello europeo ci sono già stati dei grandi passi avanti come la Direttiva 2012/29/UE sulle “Norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato” e l’istituzione dell’European Forum on Restorative Justice che si è riunito dal 23 al 25 giugno a Sassari.
Senza contare la pubblicazione, del 2020, “Handbook on Restorative Justice programmes” dell’ONU. Questi documenti rappresentano la volontà e lo slancio politico a una maggiore conoscenza e inclusione degli strumenti di restorative justice nella politica di mediazione dell’UE.
La prova della validità di questa nuova forma di mediazione sarà sicuramente la risoluzione del conflitto che sta coinvolgendo l’Ucraina dalla fine di febbraio 2022. Se e quando si riuscirà a mettere un freno alla violenza, l’UE potrebbe avere un ruolo chiave nella mediazione tra i due confliggenti e nelle dinamiche future. Un percorso riparativo di mediazione potrebbe essere decisivo, non solo per la risoluzione del conflitto, ma soprattutto per le comunità ucraine e russofone: una possibilità per tornare a vivere in simbiosi su uno stesso territorio, per ricostruire un tessuto sociale evitando che ci siano vendette personali e incubazione di nuova violenza e per prevenire nuovi conflitti.
Si riuscirebbe quindi a superare la mera ottica di risoluzione di conflitti tra Paesi e a sviluppare una nuova mediazione produttiva finalizzata a supportare la stabilità della pace, uno dei principi fondatori primari dell’UE.
La giustizia riparativa rappresenterebbe quindi un’opportunità di progresso per la politica estera europea, il futuro di una pace che dura nel tempo.