Identificato come il peggior disastro nucleare dopo Chernobyl, l’esplosione della centrale nucleare di Fukushima Daiichi, a seguito del terremoto e maremoto in Giappone nel marzo 2011, dopo un lungo percorso di bonifica, ha segnalato diversi passi in avanti; primo fra tutti la parziale riapertura della città di Okuma. Le autorità giapponesi, proprio in questi ultimi giorni, hanno confermato che il 40% di Okuma, città quasi confinante con la centrale di Fukushima, è stata decontaminata dalle radiazioni.
Bonifica del sito nucleare
Le prime operazioni per il recupero e lo smantellamento dei tre reattori nucleari collassati ha visto l’utilizzo di braccia robotiche per la rimozione delle barre di combustibile fuso ancora presenti nei reattori danneggiati. Dopo vari tentativi, la sonda meccanica calata sul fondo del reattore 2, guidata da remoto da un team di scienziati e ingegneri del gruppo Tepco (Tokyo Electric Power Company) è riuscita a spostare di alcuni centimetri cinque frammenti di combustibile: un’operazione fondamentale in quanto dimostra la possibilità di spostare il materiale fuso, la cui effettiva rimozione non inizierà prima del 2021.
Nonostante ciò, il gruppo Tepco ha registrato che il valore di radioattività di 530 sievert/ora presente all’interno del reattore è ancora di un livello “inimmaginabile”. Per comprendere tale pericolosità basti pensare che il sievert è l’unità di misura dei raggi assorbiti dai tessuti umani: 1 sievert/ora è sufficiente a causare nausea e danni all’organismo; 5 sievert/ora possono uccidere entro un mese una persona su due delle persone esposte; 10 sievert/ora sono fatali in poche settimane.
Ulteriore difficoltà per la bonifica è costituita dalla gestione dell’acqua contaminata. Infatti il gestore della centrale nucleare di Fukushima ha immagazzinato in appositi serbatoi, circa 1 milione di tonnellate d’acqua per il raffreddamento dei reattori danneggiati. Una volta decontaminata l’acqua dovrebbe essere riservata nell’oceano Pacifico. Tuttavia i tecnici della Tepco hanno constatato che l’85% dell’acqua utilizzata, dopo il primo filtraggio, risulta ancora contaminata.
Quindi non solo non è possibile riversare il liquido stoccato nel Pacifico, ma è necessaria una seconda fase di filtraggio dell’acqua che causerà un forte rallentamento sulle operazioni di rimozione del materiale radioattivo; dall’altra parte l’ alternativa della gestione posta dall’interramento o dell’evaporazione dell’acqua contaminata risulta ancora più costoso e rischioso. Naturalmente il piano di Tokyo sul riversamento dell’acqua ha scatenato una violenta reazione da parte di residenti locali e organizzazioni ambientalistiche, ma anche da Corea del Sud e Taiwan che temono che l’acqua contaminata possa arrivare sulle loro coste.
Rientro nella città di Okuma
In seguito alle esplosioni del 2011 vennero evacuati circa 160 mila abitanti dell’area del disastro. Dopo otto anni dal disastro nucleare, nonostante le evidenti e comprensibili difficoltà durante i lavori di bonifica, il governo giapponese, 10 aprile 2019, citando i bassi livelli delle radiazioni dopo i lavori di decontaminazione, ha rimosso l’ordine di evacuazione in aree selezionate della cittadina di Okuma. Sia l’esecutivo centrale che l’amministrazione cittadina si augurano che tale provvedimento possa rivitalizzare la regione.
Con la riapertura del 40% della città, in base ai dati di marzo 2019, solo 367 persone dei 10.340 dei residenti hanno presentato richiesta al comune per il rientro in città. All’interno del 40% della città di Okuma riaperta, rientrano i distretti di Ogawara e Chuyashiki sul fronte della zona occidentale della città; nel frattempo il centro cittadino di Okuma rimane ancora off-limits per i residenti. Secondo le più rosee aspettative la città sarà completamente riaperta soltanto nei prossimi 3 anni. In attesa che la città possa rinascere, è in corso la costruzione di circa 50 edifici, come negozi, alloggi per le vittime del disastro, oltre che un nuovo edificio del municipio.
Prima ancora dell’ordine esecutivo, la città di Okuma fu già in parte riaperta attraverso la costruzione di un dormitorio per 700 dipendenti della società Tepco all’interno del distretto di Ogawara dal 2016. Per questo motivo il governo cittadino spera in un rientro sempre più corposo dei suoi residenti da aggiungere a quello dei 700 dipendenti della Tepco che vivono nel dormitorio.
Benché ambiziosi gli auspici del governo locale, quasi due terzi degli abitanti evacuati ha ancora paura delle radiazioni; inoltre la maggior parte degli sfollati si è ormai insidiata altrove, piuttosto che attendere la fine prolungata dell’evacuazione. Infatti, allo stato attuale, gli anziani costituiscono la maggioranza di coloro che rientrano; per quanto riguarda la città di Tomioka (vicina a Okuma), i due terzi dei 922 residenti sono maschi: per questi due fattori il rientro a Okuma sulla composizione demografica rischia di essere sbilanciata in termini di età e sesso.
La parziale riapertura della città di Okuma riflette l’intenzione del governo centrale di sottolineare la differenza tra l’incidente di Fukushima e il disastro di Chernobyl del 1986, in cui i residenti sono stati costretti a lasciare le loro comunità e non tornare mai più. Un intenzione che però non è esente da critiche: in molti accusano il governo che la riapertura parziale di Okuma sia soltanto uno slogan propagandistico in vista delle olimpiadi di Tokyo del 2020. L’organizzazione ambientalista GreenPeace accusa il governo di Tokyo di voler strumentalizzare i giochi olimpici per dimostrare a tutta la comunità mondiale che il disastro nucleare di Fukushima è quasi superato; basti pensare, prosegue GreenPeace, che nonostante tutto, la Dichiarazione di Emergenza Nucleare, emessa l’11 marzo 2011, è ancora in vigore.