“La A degli Apostoli Barnaba e Paolo, la E di ecumenismo, la M di migranti, la U di umanità”. Questo l’”alfabeto” del viaggio proposto dall’Agenzia Vatican News, in un articolo pubblicato a dire il vero non alla fine ma al principio del viaggio.
In questo contributo, l‘autrice condivide una serie di numeri e dati con insolita completezza: l’itinerario “nell’arco di 4 giorni, 1 ora e 35 minuti, si snoderà complessivamente lungo 4.643 km…saranno gli 11 discorsi che si prevede Francesco pronuncerà nelle diverse occasioni, suddivisi tra discorsi veri e propri (9), omelie (2) e Angelus (1). Dieci, per ora, le tematiche che sembrano emergere con maggiore evidenza”. Chi scrive non sa leggere la motivazione di tale precisione numerica.
Il viaggio si è svolto davvero all’insegna di un ecumenismo forte, che ha avuto risposte effettive e incisive dall’Arcivescovo ortodosso greco Ieronymos. Il riferimento a Barnaba e Paolo (figure simboliche del Cristianesimo nascente a Cipro e ad Atene) è stato forte nel significare l’auspicio ad una nuova rinascita: Barnaba e Paolo trasformarono il cristianesimo “ebraico” petrino in una religione fondamentalmente nuova facendola passare attraverso le chiavi allora mondiali della cultura greca – vennero addirittura confusi con Zeus ed Ermete -. Forse esiste anche un significato ulteriore di questo rimando alla rinascita, un desiderio di una nuova rivoluzione mondiale più volte auspicata in altri contesti, nell’ottica di una fraternità universale che mette in discussione molto della Chiesa preconciliare e che si era manifestata già in precedenza nel rapporto con l’Islam, nei viaggi in Egitto, Emirati e Iraq e con “Fratelli tutti”.
I toni politici del viaggio sono forti in questo senso, nel richiamo continuo all’Europa e non solo come si potrebbe pensare nell’invito ad una maggiore attenzione ai migranti: l’Europa per Francesco si scinde in due identità, l’una fallimentare, nazionalista e pericolosamente populista (odierna) e l’altra, simbolo culturale (antico e vincente) legata soprattutto alla simbologia dell’olivo e ad un universo in realtà precristiano e quindi pagano, filosofico, speculativo, mitologico, richiamato in continuazione.
I rapporti con la Turchia sono stati messi pesantemente sul tavolo dai due vertici dell’ortodossia cipriota e greca, con richiami all’invasione turca ed al ruolo svolto da Ankara nei rapporti con l’Europa, ai quali il Papa non ha risposto sul momento. Francesco ha invece toccato direttamente un’altra questione cipriota, senza menzionare la Turchia, in un interessante inciso pronunciato sull’aereo del ritorno, riportato da “Avvenire”: “Ho voluto chiedere scusa anche guardando alla storia dell’indipendenza di Cipro. Una parte dei cattolici si erano schierati con i governi europei perché non si facesse l’indipendenza. E ho chiesto scusa per lo scandalo della divisione, almeno di quello di cui abbiamo colpa: noi abbiamo la colpa dello spirito dell’autosufficienza…”. E’ significativo come questa presa di posizione, certamente importante, sia stata fatta ormai sul viaggio del ritorno e dopo essersi congedato da interlocutori che certamente l’avrebbero apprezzata: si tratta probabilmente del desiderio di lasciare un messaggio chiaro sulla posizione pontificia senza voler servire sul piatto ad Ankara un perfetto pretesto per accusare la Santa Sede di partigianeria.
La Turchia non si è espressa direttamente, come invece ha fatto la Presidenza dell’autoproclamata Repubblica turco-cipriota del Nord, la quale ha accusato l’amministrazione meridionale di usare la visita papale per scopi politici antiturchi e Francesco di non visitare la parte settentrionale dell’isola, pur certamente esistente ed espressione di una minoranza. E’ difficile accettare questa lettura, non tanto perché era evidente che Francesco non avrebbe visitato uno Stato che la Santa Sede non riconosce, ma anche perché il significato della visita è stato profondamente universalistico ed ecumenico e per nulla rivolto alla questione cipriota in un senso ostile ad Ankara. Il rimando alla “terribile lacerazione” dell’isola è stato fatto all’inizio della visita semplicemente intimando entrambe le parti ad astenersi da minacce o violenze.
In definitiva, il punto davvero importante di questa 35esima visita papale è senza dubbio la cementificazione della relazione con l’Ortodossia al fine di sottrarre un ulteriore mattoncino ala muro della divisione. Facendolo al modo del Papa attuale, con rimandi ad un universalismo non solo cristiano con profonde radici “in Oriente”.