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NotizieFrancesco in Iraq - giorno 4

Francesco in Iraq – giorno 4

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L’8 marzo, conclusivo della visita papale, presenta due interessanti commenti della stampa regionale.  

La stampa turca propone un’aggressiva analisi del Prof. Özcan Hıdır, pubblicata da Anadolu Ajansi. Secondo l’accademico, di una visita effettuata da una istituzione teopolitica di duemila anni è necessario esaminare quasi ogni aspetto da diverse angolazioni (”iki bin yıllık teo-politik kurum olunca, bu sürecin hemen her karesini farklı açılardan irdelemek gerekir”), per quanto sia forse eccessivo attribuirle significati estrosi o troppo estensivi (“büyütüp aşırı anlamlar yüklemenin gereksiz”). Il Professore nota come a Mosul, città di grande importanza per i sunniti iracheni, non si sia fatto menzione del loro dramma (“Irak Sünnilerinin dramından söz edilmedi”). Aggiunge che, anche se solo simbolicamente, il Papa avrebbe potuto almeno incontrare un leader religioso dei sunniti iracheni (“en azından, sembolik de olsa, Irak Sünnilerinden bir dini lider ile de görüşülebilirdi”).  Evidente il riferimento all’importanza invece attribuita alla parte sciita. Segue il punto più importante: si nota come esortazioni quali quelle a “vivere in fratellanza” e frasi come “nessuno dovrebbe essere ucciso” non abbiano indotto domande su chi abbia portato l’Iraq e la Siria nello stato in cui si trovano e su chi abbia ucciso centinaia di migliaia di musulmani (“kardeşçe yaşamak”tan bahsedip “kimse öldürülmesin” demesi, ister istemez Irak’ı, Suriye’yi bu hale kimin getirdiği ve yüzbinlerce Müslümanı kimin öldürdüğüne dair soruları da hatırlara getirmedi değil”). Il passaggio introduce al rapporto con lo sciismo, gli Stati Uniti e la politica in senso stretto: si sottolinea che la forma di Islam che più somiglia al Papato, per struttura istituzionale e dottrinale, è lo sciismo. Si definisce “notevole” l’incontro con Sistani – si sottolineano prossimità e assenza di mascherina – e le divergenze di opinioni con Khamenei e la “linea” di Qom. Seguono  rilievi sul messaggio politico che la visita ha per l’Iran e domande sull’esistenza di un piano statunitense: secondo il Professore, gli Stati Uniti promuoveranno una rivalità etno-settaria tra sciiti, il che andrà effettivamente a beneficio di Israele. Degno di nota nell’analisi lo striscione “Tu sei una parte di noi, noi siamo una parte di te”, riferito a Sistani, di cui è conosciuto l’atteggiamento generale a tutela dei cristiani in Iraq durante la visita. Il Prof. Hıdır pone sempre le proprie letture come ipotesi, con ampio uso del condizionale (“si potrebbe leggere come” “böyle görülebilir”, o “potrebbe essere” “olabilir”). Viene riportata una dichiarazione di Hezbollah, che insieme all’analista iraniano Huseyin Ruyveran non esprime ottimismo su eventuali effetti positivi della visita del Papa. Il Professore sottolinea poi come Biden sia un cattolico romano, il secondo Presidente ad esserlo dopo Kennedy, e che per lui il rapporto del Papa coi Musulmani possa assumere la funzione dello strumento politico. L’obiettivo di Biden sarebbe quello di creare una linea teo-politica nel mondo islamico sotto la guida del Papa. A questo dovrebbe attribuirsi il fatto che questi “non abbia detto nulla sugli invasori che hanno lasciato l’Iraq in questo stato…” (“Nitekim Papa…Irak’ın bu hale gelmesine sebep…hiçbir söz söylemedi”).

Il nucleo dell’analisi è il chiedersi quale delle due identità di Francesco, quella religiosa o quella politica, prevalga. “Dinî mi, siyasî mi?” chiede il Professore. Ovvero: “E’ religione, o è politica?” La risposta, già anticipata nell’introduzione all’analisi, è che può essere una missione tanto politica quanto religiosa “hem siyasi hem dini (teo-politik) misyon ya da kimlikle mi yaptığı tartışması da yapıldı”. Asserisce poi il Professore che l’aspetto teo-politico è quello preminente, “teo-politik yönü daha ziyade öne çıkmaktadır”. Qual è dunque il messaggio per la Turchia? Ce ne è uno “sottile” (“ince”), indirizzato tanto al Paese quanto alla regione. Si richiede che un potente Paese sunnita come la Turchia lo tenga bene in considerazione. Perché i sunniti in Iraq “erano assediati”; ora sono sul punto di essere o completamente finiti o finalmente riappacificati (“şimdi ise tamamen bitirilme veya iyice pasifize edilme noktasına gelindi”). Si sottolinea come l’incontro del Papa con i terroristi Hashdi Shabi (collaboratori secondo il Professore dei terroristi del PKK a Sinjar) possa essere letto in questi termini. Si sottolinea inoltre come il Papa abbia regalato il proprio rosario a Reyyan Salim al-Keldani, il capo delle Brigate bibliche (Babiliun), ramo cristiano di Hashd al-Shaabi, legata ad altra organizzazione terroristica il capo della quale ha dichiarato di considerare un sistema di difesa aerea acquisito dagli Stati Uniti uno strumento per difendersi contro la Turchia (“bu örgüte mensup terör gruplarından birinin başının, ABD’den hava savunma sistemi alıp Türkiye’ye karşı kendilerini savunmaktan söz ettiği görüldü”). L’analisi è dunque di tono profondamente diverso da quello usato nei giorni scorsi dalle Testate turche.

Sozcu riporta l’incontro di Francesco col padre di Alan Kurdi e l’incontro allo stadio “Hariri” di Erbil di fronte a diecimila persone. Anche Hurryiet si limita ad una cronaca dell’ultimo giorno della visita ed ai ringraziamenti fatti dal Papa alle donne irachene.

La stampa iraniana pubblica su Kayhan un’analisi di Hossein Shariatmadari. L’intento è quello di eliminare le distanze fra Qom e Najaf e proporre una visione unitaria dello sciismo, della sua missione e del suo posto nella storia concretizzati nel momento odierno. Anche qui un cambio di rotta rispetto ai giorni scorsi, ma in senso contrario (c’è un tiepido tentativo di gettare un ponte e riappacificare i toni). E’ necessario ricordare come lo sciismo nasca teoricamente da una forte idea di rigetto della prevaricazione, della quale si sente vittima sin dalle proprie origini. L’immagine dell’Ayatollah Sistani è proposta come quella di un eminente clerico sciita, senza alcun riferimento alle divergenze esistenti con l’Iran. Viene invece accostato proprio al Gen. Soleimani, dipinto con lui in una sorta di dittico di protettori del popolo iracheno contro l’imperialismo statunitense e dei gruppi, “da questo creati”, dei terroristi Takfiri (ovvero: sunniti che accusano gli Sciiti di eresia, delegittimandoli) con pieno sostegno dell’Occidente e di Israele. La fatwa di mobilitazione Sistani contro queste forze, emessa nel 2014 e che provocò enorme mobilitazione contro Daesh, è presentata come il dispositivo legale che ha giustificato l’azione del Gen. Soleimani a protezione dell’intero popolo iracheno, sciita, sunnita o cristiano che fosse. Un tentativo di presentare un’unitarietà di comando unica, evidentemente di grande importanza per quell’intelligenza che partendo da Teheran non vuole perdere forza in Iraq. L’articolo segue con un’ulteriore riflessione: quella della somiglianza fra la situazione odierna e quella del 1979, quando l’Imam Khomeini chiede all’Arcivescovo Annibale Bugnini, emissario di Giovanni Paolo II: “se Gesù fosse qui, fra noi, testimone dell’ostilità degli Stati Uniti e deli loro crimini contro l’Iran ed il suo popolo, starebbe dalla nostra parte o con gli Americani?”. Shariatmadari sottolinea come la domanda sia rimasta senza risposta.

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