La geopolitica pretende la lettura dei fenomeni nello spazio. Dinamiche locali vengono spazialmente influenzate da eventi regionali e globali. La transcalarità permette di leggere fenomeni che si propagano sulle diverse scale. La Libia ne è paradigma. Quando un soggetto geopolitico dipende da forze esterne – per la gestione interna del suo territorio – è in balia delle dinamiche regionali ed internazionali.
Attori regionali ed extra-regionali scuotono la quarta sponda, ciascuno con obiettivi tattici differenti, spesso potenzialmente ostili alla penisola italiana. Circostanza che esacerba le endemiche fratture libiche, ormai divenute strumenti al servizio di attori esterni che infiammano o attenuano le suddette rivalità a seconda delle contingenze.
Il conflitto ucraino impone a Mosca una temporanea diminuzione di interesse in Libia, vincolo manifestatosi dal parziale ritiro delle truppe Wagner ora necessarie nel Donbass. Il Cremlino preferirebbe quindi un congelamento delle dinamiche libiche nel breve periodo. Tuttavia gli sviluppi non sempre dipendono dalla diretta volontà degli attori esterni, ma originano dalle contingenze locali.
I primi di luglio la Libia è stata oggetto di nuove rivolte causate dalle continue interruzioni di corrente e dall’ennesimo incontro fallimentare tra i due rappresentati, il leader del parlamento di Tobruk Aguila Saleh ed il Presidente dell’Alto Consiglio di Stato con sede a Tripoli Khaled el-Meshri, volto a creare una solida base su cui indire nuove elezioni democratiche – annullate il 24 dicembre e rimandate a data da destinarsi.
L’accordo che fuoriusciva dalla Conferenza di Berlino a gennaio 2020 e le successive elezioni tenutesi a Ginevra a Febbraio 2021, da cui emerse Abdul Hamid Mohammed Dbeibah a capo dell’esecutivo, sembravano ormai presentarci una Libia più stabile. Fu difatti una tregua che scambiammo per pace, una tregua attraverso la quale si corroborava la cerniera difensiva che taglia a metà la Libia. Nonostante infatti le promesse turche e russe di lasciare il paese nordafricano, nel concreto Ankara e Mosca influenzano tuttora la politica libica e controllano aree strategiche. Mosca controlla, nonostante la parziale ritirata, alcuni siti in Cirenaica per l’estrazione petrolifera, terminali per l’esportazione e alcune basi aeree nelle quali ha dislocato Mig-29. Il controllo dei siti estrattivi e i suoi proventi sono al centro del confronto tra la Tripolitania e la Cirenaica, il tutto acuito da profonde divergenze culturali e tribali.
La Cirenaica, di cui Haftar tenta di farsi massimo rappresentante, critica la gestione dei proventi del settore estrattivo che, confluendo nelle casse della Banca Centrale a Tripoli, vengono ripartiti in modo ineguale. Così i cirenaici decidono di fare pressioni su Tripoli bloccando la produzione e l’esportazione delle risorse energetiche. Emerge un parallelismo tattico russo-cirenaico, Haftar intende sollecitare Tripoli a trovare un compromesso, la Russia desidera mantenere bassa l’offerta di idrocarburi per pressare le cancellerie occidentali.
L’Italia ed alcuni partner europei erano interessati ad investire nei siti di estrazione e esportazione di idrocarburi, paradigmatica è l’asserzione dell’Ambasciatore italiano in Libia, Giuseppe Buccino, il quale sosteneva che «la Libia può aumentare la produzione di gas del 30 per cento in un anno con investimenti non superiori a 1 miliardo di dollari, a patto però che a Tripoli via sia una autorità esecutiva forte e condivisa». La presenza di Mosca in Cirenaica rappresenta però un ostacolo al momento non trascurabile per le velleità italiane e europee.
Il rinvio delle elezioni ha acuito la spaccatura tra l’est e l’ovest della Libia, culminando il 10 frebbraio nell’elezione del nuovo Primo Ministro Bashaga, mossa unilaterale della Camera dei Rappresentanti con sede a Tobruk. L’elezione di Bashaga è stato il frutto dell’intesa delle milizie tripolino-misuratine e dei leader della Cirenaica, il Presidente della Camera dei Rappresentanti Saleh e il Generale Haftar che intende ancora mettere le mani su Tripoli. La scelta di Bashaga manifesta il tentativo dei cirenaici di raggiungere legittimità a Tripoli con mezzi più diplomatici rispetto al 2019, Bashaga pertanto avrebbe rapporti con esponenti della Tripolitania e con Ankara.
Lo stallo, contornato dalla presenza di due primi ministri e dalla bassa produzione energetica, non poteva durare all’infinito. La popolazione soffre di gravi carenze energetiche e continui blackout a cui si cumula l’instabilità politica che fa da sfondo all’incapacità di erigere un nuovo Stato libico in grado di attenuare le divergenze e rispondere alla crisi alimentare – data la dipendenza libica dal grano ucraino. Le rivolte avrebbero accelerato, nelle ultime settimane, il dialogo tra i due fronti libici, avendo colpito sia la Cirenaica sia la Tripolitania, affievolendo la legittimità dei leader e delle istituzioni.
Le dinamiche hanno portato ad una fragile intesa temporanea tra Haftar e Dbeibah, manifestatasi con il licenziamento del Presidente della società che gestisce gli idrocarburi libici, la NOC. L’ormai ex Presidente Sanalla è stato sostituito con Farhat Bengdara, manovra compiuta grazie alla mediazione degli Emirati Arabi Uniti e al momento ben voluta dai due rappresentanti libici che tentano di calmare le acque. Il nuovo Presidente ha promesso la ripresa dell’estrazione e dell’esportazione di idrocarburi – girando le promesse anche all’Italia – con il benestare dei rappresentati cirenaici che contano ora di poter premere sulla Tripolitania visti i rapporti che hanno con Bengdara. La sua nomina, fatta da Dbeibah, rafforzerebbe la capacità di Haftar di premere per una quota maggiore dei proventi energetici. La situazione, leggendola da una prospettiva transcalare, rispecchia anche le necessità degli attori internazionali. Turchia e Russia sono concentrati sulle vicende nel loro estero vicino. Ankara accelera le incursioni nel Kurdistan siriano ed iracheno, ora che Mosca è meno attiva in Medio Oriente. Il Cremlino utilizza gran parte delle proprie risorse in Ucraina, impossibile volgere lo sguardo altrove quando si combatte alle porte di casa. Inoltre, sebbene preferisca una bassa offerta di risorse energetiche per far pressione sugli occidentali, deve accettare le nuove condizioni, pena la possibile ripresa degli scontri libici senza che il Cremlino abbia le capacità di contare. L’intesa Ankara-Mosca poggia su un fragile equilibrio che al momento nessuno dei due attori vuole rompere.
Il graduale avvicinamento di Ankara con alcuni dei Paesi arabi come gli Emirati Arabi Uniti, apre alle mediazioni portate avanti da Abu Dhabi volte ad affievolire il conflitto libico. Ankara negli ultimi anni si è imposta sulla gran parte dei conflitti regionali, oggi cerca una temporanea stabilità virando verso un aperto dialogo funzionale al raggiungimento dei propri interessi per via diplomatica. Tuttavia Tripoli resta una polveriera, nonostante l’ultima fragile intesa, pertanto il 22 gennaio è stata colpita da nuovi scontri tra due milizie in Tripolitania, la Forza al-Radaa e la Brigata dei Rivoluzionari di Tripoli.