Si annunciava come la demolizione di una casa ma rischia ora di scoperchiare una verità rimasta sinora in sordina: l’Iran sta penetrando in Cisgiordania. A metà maggio le IDF hanno demolito parzialmente un’abitazione nei pressi del villaggio di Kobar nell’area di Ramallah. Un’operazione simile a molte altre che le forze armate israeliane compiono periodicamente come rappresaglia per azioni compiute da quelli che considera terroristi palestinesi (già 3 operazioni del genere si contano nei primi mesi del 2020 secondo i dati raccolti da B’Tselem).
L’abitazione in questione apparteneva a Qassem Shibli, sospettato di essere coinvolto nell’uccisione della diciassettenne Rina Shnerb. La giovane, appartenente a una famiglia di coloni ebrei, rimase vittima nell’agosto 2019 della detonazione di un IED (ordigno esplosivo improvvisato) nei pressi dell’insediamento ebraico di Dolev. Inizialmente si era pensato a un’azione improvvisata di un autore isolato. Al contrario, le approfondite indagini degli ultimi mesi hanno rivelato l’esistenza di un vero e proprio network terroristico che farebbe capo a una formazione politica spesso dimenticata del panorama palestinese, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP). Infatti secondo le recenti ricostruzioni Shibli farebbe parte di un gruppo più vasto di circa 50 membri facente capo a Walid Muhammad Hanatsheh, operativo di lungo corso del FPLP, anch’egli arrestato nell’autunno dello scorso anno. Tale formazione è stata colta in possesso di un vasto arsenale di armamenti ed esplosivi la cui origine è incerta ma potrebbe ricondurre proprio a Teheran. Se confermata, la notizia potrebbe rappresentare un reale game changer nella partita strategica combattuta su più fronti tra Israele e Iran, con quest’ultimo finora presente in maniera visibile solo nella Striscia di Gaza.
La nuova primavera di un attore moribondo
Fondato nel 1967 da George Habash come costola palestinese del Movimento Nazionalista arabo, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina aderì all’OLP nel 1968. Da quel momento in avanti rappresentò uno degli attori più importanti dietro Fatah del leader Arafat, su posizioni nazionaliste, pan-arabiste e dichiaratamente marxiste. Gli anni ’70 rappresentarono il momento di massima ascesa di tale movimento, in concomitanza con il periodo di peggiore recrudescenza degli attentati e della strategia dei dirottamenti aerei a opera di formazioni palestinesi. Tra gli episodi tristemente più noti si ricorda il dirottamento di Entebbe del 1976, quando un volo dell’Air France diretto a Parigi venne dirottato verso l’aeroporto ugandese dove si consumò una delle più celebri operazioni israeliane di salvataggio, in cui rimase ucciso Yonathan Netanyahu, fratello dell’attuale Primo ministro.
La fine della Guerra fredda portò a un netto ridimensionamento del suo peso politico e militare, data l’interruzione dei finanziamenti provenienti dall’Urss. Inoltre la posizione spuria nei confronti del Percorso di Olso e della conseguente conciliazione tra Israele e l’OLP ha costretto il FPLP ulteriormente ai margini. Infatti, pur partecipando alla vita politica della Autorità nazionale palestinese (ANP), avendo rappresentato alle ultime elezioni legislative del 2006 la terza forza seppure a grande distanza da Hamas e Fatah, non ha mai accettato la soluzione dei due Stati e dichiara ancora di aspirare alla riconquista dell’interna Palestina storica. Allo stesso tempo non può rompere completamente i legami con il fronte palestinese dei ‘conciliatori’ e confluire in quello dei ‘resistenti’, essendo quest’ultimo egemonizzato dai movimenti di ispirazione islamista, Hamas e Jihad islamico palestinese (PIJ) in testa.
L’attuale Segretario generale del FPLP è Ahmad Sa’adat, eletto nel 2001 dopo l’uccisione del suo predecessore Abu Ali Mustafa, e confermato al vertice del partito nella sessione segreta della Conferenza generale tenutasi nel 2014. Attualmente tale movimento è considerato un’organizzazione terroristica sia dagli Usa che dall’Ue. Il posizionamento spurio di tale partito è inoltre confermato dal mantenimento in vita della propria ala militare anche dopo la fine della Seconda Intifada quando, al contrario, la gran parte delle fazioni armate orbitanti intorno all’OLP avevano accettato di confluire almeno formalmente all’interno delle forze di sicurezza dell’ANP. La Brigata Abu Ali Mustafa, così rinominata nel 2001, è pertanto ancora attiva in Cisgiordania e non solo. Uno snodo nevralgico della sua attività è infatti il Libano del Sud, e in particolare i campi profughi palestinesi che si trovano in quell’area. Zona da cui Israele si ritirava esattamente venti anni fa, abbandonando dopo decenni di occupazione il territorio del suo vicino settentrionale. È proprio in quell’area che vanno ricercate le tracce di un abbraccio sempre più stretto tra la Repubblica islamica e il FPLP tramite l’intercessione dell’Hezbollah libanese. Un’evoluzione che potrebbe evitare al partito palestinese una sua deposizione anzitempo in un angolo polveroso e angusto di un museo di Storia, tenendolo artificialmente in vita ancora per qualche tempo.
L’Iran tra Gaza e Cisgiordania
La cornice strategica all’interno della quale è possibile ricondurre la presenza iraniana nei Territori palestinesi e il rinnovato interesse per il FPLP è quella che può essere definita la teoria della deterrenza attiva. Una definizione apparentemente ossimorica che tuttavia coglie bene il senso dell’attuale estroversione regionale iraniana (Siria, Libano, Iraq, Yemen ecc.). Una postura cioè estremamente offensiva e aggressiva che in realtà nasconde una volontà eminentemente difensiva. Teheran è coinvolta a vari livelli su più teatri mediorientali al fine di schivare la vera minaccia, cioè rimandare a data da destinarsi il giorno in cui sarà costretta a combattere per la propria integrità territoriale. L’Iran infatti si percepisce come una scheggia impazzita conficcata all’interno di un ordine regionale a guida americana che le resiste, e che pertanto prima o poi ne richiederà una sua rimozione. Tale teoria è stata sviluppata sfruttando il vuoto geopolitico che dopo l’11/9 si era venuto a creare in Medio Oriente a causa della ‘vacanza strategica’ della superpotenza americana che, per circa un decennio, si era messa a giocare all’allegro chirurgo, muovendo guerra a dittatori e tentando improbabili campagne di esportazione della democrazia.
All’interno di questa cornice strategica Teheran suddivide i Territori palestinesi in due campi di battaglia distinti: la Striscia di Gaza e la Cisgiordania. Il primo è ormai assurto definitivamente ad avamposto occidentale da cui minacciare Israele grazie al proficuo coordinamento con Hamas e il PIJ. Al contrario sino ad ora la Cisgiordania si è dimostrata pressoché immune alla penetrazione iraniana. Infatti grazie ai vari accordi di collaborazione e coordinamento del percorso di Oslo questo territorio ha subito un processo di progressiva ‘israelizzazione’. Lo Stato ebraico in altre parole già ne controlla i gangli vitali, dalla sicurezza alle infrastrutture sino all’economia. Si pensi ad esempio a tutti gli apparati di sicurezza dell’ANP, come la Sicurezza Preventiva (PS) e il Servizio Generale d’Intelligence (GIS) che di fatto si presentano come un’emanazione degli apparati israeliani. Ancor più dopo le riforme interne del 2006-07 quando, dopo la vittoria elettorale di Hamas, su spinta israelo-americana si è proceduto al passaggio di tali istituzioni dall’ufficio del Primo Ministro a quello del Presidente dell’ANP, ovvero Abu Mazen. Inoltre da un punto di vista demografico e socio-economico la Cisgiordania è meno propensa a una penetrazione islamista rispetto a Gaza grazie alla presenza di un folto notabilato palestinese di tradizione ottomana, spesso appartenente alla minoranza cristiana, che preferisce ben volentieri l’influenza israeliana a una possibile ingerenza iraniana. Una élite che preferisce il tarbush alla kufya. Questo spiega perché l’Iran, forte del suo pragmatismo, sta puntando a formare un asse con il FPLP. Un movimento distante anni luce dal punto di vista ideologico, e proprio per questo in grado di rendere più digeribile una sua maggiore compromissione nell’area.
Il cavallo di Troia iraniano
Qualora nei prossimi mesi il nuovo governo israeliano procedesse all’annessione di porzioni della Cisgiordania si potrebbe aprire uno scenario potenzialmente vantaggioso per Teheran. Seguendo quello che i Commanders for Israel’s security (CIS) hanno definito l’effetto domino, l’ANP si ritirerebbe dal coordinamento in materia di sicurezza, come peraltro è stato già annunciato da Abu Mazen in quella che si profila come una vera e propria strategia del martirio, in quanto staccherebbe esso stesso la spina israeliana che lo tiene artificialmente in vita. A ciò potrebbe seguire un’implosione dell’intera Autorità palestinese e un conseguente aumento delle tensioni e della violenza in un paesaggio che risulterebbe frammentato tra milizie armate, capi villaggio e gruppuscoli vari. In un’ipotesi del genere l’Iran vuole farsi trovare preparato. Il FPLP potrebbe così rappresentare un utile cavallo di Troia, in grado di aprire un nuovo fronte orientale fino a qualche tempo fa insperato nella contesa tra Israele e Iran.