Il generale Luciano Portolano, Segretario Generale della Difesa e Direttore Nazionale degli Armamenti, ha tenuto una audizione presso le Commissioni Affari Esteri e Difesa di Camera e Senato particolarmente interessante, specie perché traccia la linea per quanto riguarda la trasformazione – ormai improcrastinabile – delle Forze Armate Italiane, alla luce del ritorno della guerra convenzionale in Europa.
Le conseguenze a breve e medio-lungo termine frutto della guerra tra Russia ed Ucraina sembrano dare ragione al generale francese François Lecointre, teorico del ritorno degli scontri ad alta intensità e delle guerre tra Stati che potrebbero coinvolgere anche le potenze europee e che imporrebbero, di conseguenza, una revisione d’approccio strategico, di organica e di armamenti per tutti gli eserciti del vecchio continente.
Nel 2020 il Capo di Stato Maggiore francese aveva dichiarato: «Si combatterà in tutti gli spazi, eso-atmosferici, digitali, fisici, aerei e marittimi. Saranno guerre ibride, dove sarà difficile stabilire quando una linea rossa sarà stata superata. Già emergono guerre complesse da comprendere in anticipo e condurre perché mescolano azione militare e azione economica, azioni rivendicate e altre clandestine che aggirano le leggi di guerra. […] Questo potrebbe essere vero domani, anche nei conflitti interstatali». Il biennio 2020-2021 è stato quello in cui, su impulso di Lecointre, le Forze Armate Francesi hanno iniziato a lavorare per prepararsi a scenari di conflitto ad alta intensità, ritenuti ormai plausibili entro il 2030, e che la guerra d’Ucraina ha reso sempre più probabili.
Il quadro d’instabilità mondiale determinato dal conflitto russo-ucraino non è un fenomeno passeggero, ma parte integrante della sfida ormai aperta che le cosiddette potenze revisioniste hanno lanciato all’ordine internazionale liberale a guida statunitense, di cui quello che a Mosca chiamano “Occidente collettivo” (Italia compresa) è uno dei pilastri. Né il Mediterraneo (più o meno “allargato”) né l’Indo-Pacifico, entrambe aree di diretto interesse per l’Italia sia in ambito di sicurezza nazionale che di proiezione, sono immuni dal ciclo d’instabilità sistemica, acuita da una forte competizione tra potenze che riguarda tanto il nuovo scramble africano quanto i riflessi della rivalità sino-americana negli oceani caldi.
Di fronte a sfide epocali, che impongono di avere una strategia proattiva e non più di mera passività, l’Italia ha l’obbligo di rivedere l’impostazione delle proprie Forze Armate, da intendersi come uno degli strumenti privilegiati della politica estera nazionale. Le dichiarazioni del generale Portolano vanno in questa direzione, con un programma ampio che prevede la preservazione dell’autonomia strategica tecnologica, l’attuazione di processi di approvvigionamento corti, efficaci e flessibili per adattarsi allo scenario internazionale e la garanzia di una base industriale competitiva in grado di fornire scorte essenziali e preservare gli interessi nazionali.
L’industria della Difesa si trova dinanzi ad una situazione complessa in cui, a fronte dell’aumento della domanda aggregata, che porta con sé anche una richiesta d’incremento della velocità di produzione, vi è una scarsità di materie prime e semilavorati che condizionano pesantemente la produttività dell’intero comparto non solo in Italia ma, in generale, in tutta l’Europa occidentale.
Secondo Portolano «per definire, in modo compiuto, le azioni e le priorità su cui indirizzare il nostro operato, è necessario comprendere gli effetti strategico-operativi che le dinamiche internazionali determinano sul sistema Difesa», il che significa riflettere sulle carenze strutturali proprie non solo delle Forze Armate Italiane ma in generale dei Paesi europei “disabituati” a pensare strategicamente che la guerra d’Ucraina ha messo in luce.
Nell’ordine Roma dovrà ripianare i sistemi d’arma e le scorte di munizioni cedute a Kyiv, colmare i gap capacitivi già esistenti prima della crisi e sviluppare capacità operative, ossia sistemi, tecnologie, infrastrutture e risorse umane all’altezza delle sfide e degli scenari futuri. Obiettivi che possono essere raggiunti solo se l’industria bellica saprà tenere i ritmi imposti da guerre e trasformazioni su larga scala degli strumenti militari e se il decisore politico sarà in grado di integrare maggiormente le funzioni di Ministero della Difesa e Forze Armate con il sistema industriale. Non basterà raggiungere il 2% del PIL per le spese della Difesa per riparare ai danni di questi anni, occorrerà scegliere non solo quanto ma anche come spendere i fondi.
Ci sono dibattiti in corso come quelli relativi al rinnovamento della componente corazzata dell’Esercito Italiano, al ruolo degli F-35 per Aeronautica e Marina, allo sviluppo delle FREMM per la Marina, che sono sintomo del bisogno sentito da tutte le componenti delle Forze Armate di una modernizzazione urgente degli armamenti e degli equipaggiamenti, proprio nel solco di una trasformazione “combat” della Difesa italiana, comprensiva anche del superamento dell’attuale modello organico eccessivamente restrittivo, della costruzione di una vera riserva e della valorizzazione di componenti ausiliarie o specialistiche come la Riserva Selezionata ed il Corpo Militare Volontario della Croce Rossa Italiana.
Le audizioni dei Capi di Stato Maggiore e del Direttore Nazionale degli Armamenti hanno evidenziato senza mezzi termini quali siano le esigenze delle Forze Armate e del comparto industriale della Difesa. Adesso la palla passa alla politica.