La Francia è ancora la benvenuta nell’Africa francofona? A quasi un anno dall’inizio del ritiro delle truppe dell’Operazione Barkhane dal Mali e a pochi mesi dalla loro partenza dalla Repubblica Centrafricana, è ora il Burkina Faso a rifiutare la presenza francese arrivata per sostenere la lotta contro i gruppi jihadisti che dilagano nel Sahel. Lunedì 23 gennaio, il governo burkinabé ha chiesto il ritiro delle truppe francesi dal Paese. Tra un mese, i quattrocento soldati delle forze speciali francesi, impegnati nell’operazione denominata Sabre, saranno solo un ricordo. L’opzione preferita sarebbe quindi quella di dislocare questi soldati d’élite nel vicino Niger, ma Parigi dovrà condurre una solida riflessione sul tipo di dialogo e di presenza che intende perseguire in Africa.
A Ouagadougou, alla fine del 2017, Emmanuel Macron era stato applaudito dagli studenti burkinabé mentre affermava il suo desiderio di rompere con una visione postcoloniale e normalizzare le relazioni con l’Africa. L’ingiunzione inviata alla Francia lunedì 23 gennaio dalla giunta militare al potere in Burkina Faso volta a chiedere il ritiro, entro un mese, dei quattrocento soldati francesi a Ouagadougou, manda in frantumi, a distanza di cinque anni, l’ambizione di un “nuovo partenariato senza complicazioni” che il presidente voleva promuovere con gli ex possedimenti coloniali. Inoltre, negli ultimi anni, il fallimento dell’esercito francese, inizialmente applaudito, nel ripristinare la sicurezza in Mali di fronte alla presa dei jihadisti, ha alimentato un’ondata di risentimento verso Parigi nell’intero Sahel, che è stata sfruttata da putsch militari sostenuti dalla Russia. Il rifiuto di alcuni Stati africani di condannare l’aggressione russa in Ucraina all’ONU ha messo in evidenza la falla, che non è certo l’unica preoccupazione della Francia. Durante il 2022, i soldati francesi sono stati costretti a lasciare la Repubblica Centrafricana e il Mali. In ogni occasione, i governi si sono affidati al sostegno dei mercenari russi del gruppo Wagner, i quali si finanziano attraverso accordi di cooperazione garantendo aiuto militare alle autorità locali in cambio di accesso alle risorse, in particolare quelle minerarie.
Una decisione da assumere pubblicamente
Dopo tre giorni di esitazione tra Francia e Burkina Faso, in merito all’accordo di difesa che li lega, Ouagadougou ha chiarito, lunedì 23 gennaio, la sua volontà di vedere i militari francesi lasciare il Paese. “Quello che denunciamo è l’accordo che permette alle forze francesi di essere presenti in Burkina Faso“, ha dichiarato Jean Emmanuel Ouédraogo, portavoce del governo, in un’intervista a Radio-Télévision du Burkina. Un modo per rispondere alle richieste di chiarimento avanzate il giorno prima dal presidente francese Emmanuel Macron.
A Parigi, come a Ouagadougou, nessuno dubita del desiderio del presidente burkinabé di porre fine alla presenza dei soldati francesi nel Paese. Impegnato fin dalla sua ascesa al potere in una lotta per la sovranità, il giovane ufficiale 34enne ha ribadito di voler diversificare le partnership a livello militare. Da allora, la cooperazione con la Russia è stata notevolmente rafforzata. Ma, secondo una fonte diplomatica, Emmanuel Macron vorrebbe che il capitano Traoré esprimesse pubblicamente il suo desiderio di veder partire l’esercito francese, per evitare una situazione simile a quella subita con la vicina giunta del Mali. Nella primavera del 2021, infatti, la Francia era stata la prima a minacciare di porre fine alla cooperazione militare con i putschisti maliani. Questi ultimi sono stati così in grado di radunare l’opinione pubblica dietro di sé, accusando Parigi di aver abbandonato la lotta al terrorismo e spingendo di conseguenza la Francia verso l’uscita, senza tuttavia assumere pubblicamente tale posizione. Bamako si è poi avvicinata alla compagnia mercenaria russa Wagner, varcando una linea rossa per l’Esagono.
Mercoledì 25 gennaio il Quai d’Orsay ha ricevuto, da parte del governo del Burkina Faso, la denuncia ufficiale dell’accordo di difesa che legava i due Paesi dal 2018. In conformità con i termini dell’accordo, la Francia ritirerà i suoi quattrocento soldati dal Paese entro il periodo concordato di un mese. L’opzione preferita del Ministero della Difesa francese sarebbe quella di dislocare questi soldati d’élite nel vicino Niger, che già ospita quasi 2.000 membri del personale francese.
Risentimento
In questo contesto, la retorica ostile alla politica francese, sostenuta dalla propaganda russa, è diventata una leva potente: non solo mobilita facilmente la popolazione in cerca di qualcuno da incolpare per la povertà e l’insicurezza ma, giustificando l’ingerenza dei mercenari russi, permette ai militari saliti al potere con la forza di mantenere la loro posizione. In Burkina Faso, il risentimento contro la politica francese non è alimentato solo da fantasie. I burkinabé non hanno dimenticato il ruolo travagliato della Francia di François Mitterand nell’assassinio di Thomas Sankara, giovane presidente rivoluzionario, avvenuto nel 1987, né il sostegno incrollabile di Parigi a Blaise Compaoré, complice del colpo di stato, che ha mantenuto il potere per i seguenti ventisette anni. Questa storia di stretti legami con l’ex colonizzatore alimenta processi di interferenza e arroganza in un Paese destabilizzato dalla guerra imposta dai gruppi jihadisti e alimentata da conflitti sociali e dall’impotenza dello Stato.
Il massiccio armamento degli abitanti dei villaggi voluto dal capitano Ibrahim Traoré, presidente di transizione, rischia di far precipitare il Paese in una guerra civile, mentre gli attacchi hanno causato, dal 2015, migliaia di morti e due milioni di sfollati. Invece di finire nel vicolo cieco della spirale di ultra-sicurezza in cui è impantanato, il “Paese degli uomini integri” trarrebbe vantaggio dall’impegnarsi in una transizione democratica e nella ricerca di una soluzione politica. Tale orientamento non esulerebbe in alcun modo la Francia da una solida riflessione sul tipo di dialogo e di presenza che intende perseguire in Africa. Questo necessario aggiornamento deve tenere conto del fatto che ogni battuta d’arresto, ogni debolezza di Parigi, costituisce altrettante opportunità per i suoi rivali – in particolare russi, cinesi e turchi – la cui purezza di intenti nei confronti degli africani appare quantomeno dubbia.
La questione degli aiuti allo sviluppo
Ouagadougou vuole che le forze militari francesi se ne vadano senza che però vi sia una rottura diplomatica definitiva con Parigi. Ma la Francia attende ora che le autorità burkinabé, che hanno avviato un riavvicinamento con la Russia, decidano in merito ai partenariati, sebbene abbiano assicurato a Parigi di non voler utilizzare i servizi offerti dal gruppo Wagner. Il Primo Ministro Apollinaire Kyélem de Tambèla si è recato il 7 dicembre a Mosca per una visita privata dopo una prima tappa in Mali, prima di dichiarare, due settimane fa, che una partnership con la Russia era “una scelta ragionevole”. In risposta a questo riavvicinamento, durante la sua visita a Ouagadougou il 10 gennaio, Chrysoula Zacharopoulou, Segretario di Stato francese per lo Sviluppo, la Francofonia e i Partenariati internazionali, è stata molto chiara sulle conseguenze della scelta che le autorità burkinabé faranno. Tra le questioni rimaste in sospeso c’è infatti il futuro degli aiuti allo sviluppo francesi che potrebbero essere sospesi, come in Mali, se il governo burkinabè si rivolgesse alla compagnia paramilitare privata russa Wagner. E non si tratta di una question irrilevante, considerando che tra il 2011 e il 2021, circa un miliardo di euro è stato destinato al Burkina Faso attraverso l’Agenzia francese per lo sviluppo (Agence Française de Développement). Per il paese il 2022 è stato uno degli anni più difficili mai registrati, tra crisi climatica e declino economico che continuano a peggiorare la crisi alimentare in atto, in concomitanza con la situazione di fragilità politica e insicurezza che hanno contribuito allo sfollamento interno di circa 1,7 milioni di persone. Il rapporto tra i due paesi è a una svolta dopo decenni di colonialismo e neocolonialismo francese, ed è evidente che questo potrebbe avere conseguenze geopolitiche inaspettate in un paese che è sotto attacco da parte delle milizie e che rischia di impoverirsi sempre di più, anche a causa dell’isolamento politico su scala internazionale.