Ad ormai sei anni dall’inizio del conflitto in Yemen, le tensioni non sembrano assolutamente in calo, tanto da far apparire un cessate il fuoco duraturo o una riconciliazione come improbabili, se non impossibili. Uno degli attori che sicuramente ha giocato e gioca tuttora una partita importante sul suolo yemenita, è il gruppo paramilitare degli Houthis. Nell’arco dell’intero conflitto, questi non solo sono riusciti ad impedirne una soluzione dettata dalle potenze esterne, ma hanno anche sviluppato una certa resilienza acquisendo credibilità strategica agli occhi delle potenze del Golfo.
Gli Houthi (o Houthis) sono Zaydi (o Zaydiyyah), una minoranza sciita, ben diversa dalle altre presenti nel territorio iracheno e iraniano, per dottrine e credenze. Gli Zadiyyah presero il nome da Zayd bin Ali, pronipote di Ali e cugino di Maometto. Quest’ultimo nel 740 d.c. guidò una rivolta contro la dinastia califfale degli Omayyade di Damasco. A causa della sua partecipazione attiva alla rivolta, Zayd bin Ali fu martirizzato e si ritiene che la sua testa venne sepolta in un santuario appositamente costruito nei pressi di Kerak, in Giordania. Tale breve accenno biografico ci è utile per capire l’ideali di opposizione che hanno poi sviluppato gli Houthi nel corso della loro evoluzione; infatti, Zayd si oppose all’Impero Omayyade come esempio di vero e puro Califfo, in quanto in quegli anni la dinastia regnante si macchiò di diversi episodi di corruzione. A tal proposito, infatti, sia i sunniti che gli sciiti concordano sul reputare Zayd bin Ali un uomo retto. Dopo la sua morte, i seguaci di Zayd si stabilirono nelle aride montagne dello Yemen settentrionale intorno al IX secolo e per i successivi mille anni combatterono per il controllo del paese, con diversi gradi di successo nel corso del tempo. Col la caduta dell’Impero Ottomano nel 1918, la monarchia Zaydi Mutawakkilite, prese il potere nello Yemen del nord, arrivando ad ottenere il riconoscimento internazionale come legittimo governo con capitale Taiz (o Sana’a), fino alla sua dissoluzione nel 1962. Negli anni ’30, vennero sconfitti in una guerra di confine dall’Arabia Saudita alla quale seguì una graduale perdita di territori.
In tempi più recenti, gli Houthi sorsero come un’opposizione Zaydi al governo ultratrentennale del Presidente Saleh. Quest’ultimo non solo intrattenne dei rapporti di convenienza con Riyadh e Washington, ma venne accusato più volte nel corso del suo mandato di aver portato la corruzione nel suo governo. Fondato quindi negli anni ’90, il movimento degli Houthi trasse il proprio nome dal loro leader Husayn Badreddin al-Houthi, ex parlamentare e membro della minoranza sciita Zayda del nord, sul quale ben presto il governo centrale di Saleh impose una taglia di ben 55.000 dollari. Le azioni offensive tra il governo centrale e gli oppositori del regime proseguirono per anni e nel 2003, con l’invasione statunitense dell’Iraq, il movimento degli Houthi si radicalizzò profondamente, segnando un momento importante nella loro evoluzione. In tale contesto gli Houthi adottarono lo slogan Dio è grande, morte agli Stati Uniti, morte in Israele, maledizione degli ebrei e vittoria per l’Islam! Hezbollah, la controparte sciita Nella piena esaltazione delle Primavere Arabe, proteste popolari e svariati attentati, costrinsero nel 2012 il Presidente Saleh a dimettersi. Gli Houthi, l’unico gruppo tra i rivoluzionari ad avere una pregressa esperienza militare, riuscirono facilmente a mantenere il controllo dei confini anche fuori dalla loro base naturale in Yemen del nord. La crescita della loro influenza nel territorio era indirettamente proporzionale alla loro presenza nei colloqui per la costruzione di un nuovo e stabile governo. Nel 2015, riuscirono a rovesciare il governo di recente formazione di Abd Rabbu Mansour Hadi, con l’appoggio dell’ex Presidente Saleh. In quell’anno gli Houthi prendono il controllo della città di Sana’a. Nel corso dell’intero conflitto, iniziato proprio nel 2015, Ansar Allah (così anche chiamati gli Houthi, letteralmente Sostenitori di Dio) ha dato prova di possedere non solo coesione e forza morale, ma anche una particolare capacità offensiva militare. Seppur ufficialmente in ombra, è nota a livello internazionale la presenza di un continuo flusso di armi che alimenta le fila della milizia, proveniente con ogni probabilità dalla Repubblica Islamica dell’Iran. Le armi impiegate dagli Houthi nel corso degli anni hanno conosciuto un progressivo e notevole miglioramento, sia quantitativo che qualitativo; le prime azioni offensive, infatti, sono state condotte con un equipaggiamento tattico risalente agli anni ’60 e ’70, esibendo scarsa dotazione tecnologica. Le recenti azioni offensive invece, ci mostrano una capacità completamente diversa e affinata. Il primo segnale della dubbia provenienza delle armi in mano ai ribelli sciiti giunse prima del 2016, quando il Conflict Armament Research (CAR) svolse un’analisi approfondita sul drone Qasef-1 UAV, estremamente simile per fabbricazione, numeri di serie e assemblaggio, agli Ababil UAV iraniani. Tali analisi poi, sono state svolte anche su diversi tipi di armamenti, come missili antinave, lanciarazzi e alcune batterie Patriot, ottenendo il medesimo risultato.
Come e da chi è alimentato il canale di approvvigionamento bellico sul suolo yemenita?
Tra febbraio e marzo 2016 tre navi da guerra (la HMAS Darwin, la FS

Provence e l’USS Sirocco) della Combined Maritime Forces (CMF), missione di pattugliamento internazionale dell’Oceano Indiano occidentale e del Mar Rosso, hanno eseguito il sequestro di tre imbarcazioni differenti, diretti verso le coste Somale e Yemenite. Il carico, anch’esso interamente sequestrato, era composto da diverse tipologie di armamenti, da un ingente numero di AKM a numerosi pezzi destinati all’assemblaggio di UAV. Il Conflict Armament Research, incrociando i numeri di serie del carico è riuscito a ricostruire la filiera dei rifornimenti. Esiste quindi una linea diretta di approvvigionamenti che più volte al mese solca le acque del Golfo Arabo Persico, fino ad approdare nelle coste Somale, di più conveniente approdo, per poi essere successivamente smistate anche nel territorio yemenita. Le forniture non si limitano a materiali d’armamento, ma integrano anche capacità tecnologiche offensivo-difensive, attraverso tecnici iraniani, fornendo inoltre indicazioni dirette riguardanti le operazioni militari. Stando ad un rapporto pubblicato dall’Iranian Crime Research Institute, tale personale sarebbe membro dei Pasdaran, il corpo paramilitare dei guardiani della rivoluzione islamica komeinista; oltre un migliaio di ribelli Houthi sarebbero infatti stati addestrati proprio da questi ultimi. Recentemente è stata tracciata una

nuova rotta verso lo Yemen per accrescere il costante flusso di rifornimenti: si tratta dello stretto passaggio fra Iran e Kuwait, nelle acque settentrionali del Golfo. Tale itinerario è verosimilmente meno rischioso, in quanto le imbarcazioni di ridotte dimensioni utilizzate, attirano meno l’attenzione delle marine governative, rispetto alle più grandi dirette verso l’Oceano Indiano.
Quanto è cresciuta la capacità offensiva degli Houthi, negli ultimi anni?
Prendendo in esame quanto riportato dall’IISS, The International Institute for Strategic Studies tra il 2015 e il 2017, la capacità offensiva in termini di Rockets & Missiles degli Houthi non solo è cresciuta quantitativamente, ma ha dato prova diverse volte della propria efficacia contro installazioni saudite. Tra queste è bene ricordare i seguenti episodi, non per l’avvenimento in sé, quanto per evidenziare le differenti tipologie di armi utilizzate:
• A Jizan: un 9K79 Tochka, missile balistico di fabbricazione sovietica con una gittata di 100 km;
• A Najran: uno Scud B/Hwasong 5, di fabbricazione nordcoreana derivato dal sovietico R-17 Elbrus, missile balistico a propellente liquido impiegato anche da Hezbollah, gittata di 300 km;
• Ad Assir: uno Scud C/Hwasong 6, sempre di fabbricazione nordcoreana ma con un importante incremento della gittata di ben 200km;
• A Riyadh: un Burkan 1 (o Volcano-1), missile balistico a corto raggio della stessa tipologia degli Scud, presumibilmente di origine iraniana, gittata 500 km;
• A La Mecca: un Burkan H-2, stessa tipologia del Burkan 1 con un incremento della gittata di ben 400 km;
Più recentemente gli Houthi hanno esercitato forti pressioni sulle installazioni saudite, soprattutto nel mese di marzo 2021, quando il terminal petrolifero di Jizan ha preso fuoco in seguito ad un’offensiva per mezzo di UAV. Le milizie di Ansar Alla,h infatti, sono tra gli attori non statali che sta sfruttando al meglio i vantaggi apportati dall’utilizzo degli Unmanned Aerial Vehicles. All’interno della strategia militare asimmetrica, rappresentano un ottimo mezzo per permettere anche alla parte belligerante inferiore di equiparare le capacità offensive e quindi riportare parzialmente lo scontro in simmetria. Il primo caso in cui venne impiegato un sistema UAV da parte degli Houthi risale ormai al 2015, sfruttando un DJI Phantom, sprovvisto di materiali esplosivi, per effettuare una ricognizione nella provincia yemenita di Ma’rib. Con l’introduzione di propulsioni più performanti e cariche esplosive, gli Houthi a partire dal 2016 sono stati in grado di schierare sistemi letali di UAV, ampliando il proprio arsenale. Tra questi figura il Qasef-1, un drone con capacità offensiva, armabile con una testata esplosiva di 30 kg, impiegato come un missile cruise contro infrastrutture critiche. Nonostante Ansar Allah abbia più volte dichiarato apertamente la capacità di costruire differenti tipologie di UAV, persistono forti dubbi riguardo la provenienza proprio dei Qasef-1; estremamente e forse troppo simili ai sistemi Abadil-CH e Abadil-T iraniani. Tali sospetti si sono intensificati a partire dal 2016, quando le forze militari emiratine presenti nel territorio sequestrarono un carico di Qasef-1 non ancora assemblati. Un altro sistema che gli Houthi hanno dato prova di

possedere a partire dal 2018 sono gli UAV SAMAD-1 ed i suoi successori (versioni 2 e 3), con un range offensivo di 1200 km ed una testata più grande rispetto al Qasef-1, in grado di raggiunge alcune tra le principali città del Golfo Arabo Persico, come Riyadh, Abu Dhabi e Dubai. Gli Houthi attuali ci appaiono dunque estremamente differenti per capacità offensive, in grado di riportare l’asimmetria strategica conseguente alla loro condizione di “milizia” in parziale simmetria con le potenze estere presenti sul territorio yemenita. Vestendo un ruolo di indiscutibile importanza nel conflitto, hanno minato la tenuta della strategia militare saudita nello scenario, dimostrando una spiccata resilienza alle continue offensive straniere, ormai dal 2015.
Ansar Allah, contro ogni previsione, non è certamente meno forte di sei anni fa, al contrario, ha dimostrato inaspettata capacità di innovazione tecnologica, accrescendo sempre più il proprio potere offensivo fino a diventare una preoccupazione costante nel delicato equilibrio politico mediorientale.