Nel 2015 è stato stipulato a Vienna il JCPOA tra Iran, Ue, Cina, Francia, Russia, Stati Uniti e Regno Unito, con l’intenzione di contenere il programma nucleare iraniano. Conseguentemente Usa, Ue e Onu hanno revocato le sanzioni contro l’Iran che, dall’inizio della loro imposizione nel 2006, hanno causato una perdita di oltre 100 miliardi di dollari al paese. Tuttavia, nel 2018 il presidente Donald Trump ha ritirato gli Usa dall’accordo nucleare, ripristinando le sanzioni contro la Repubblica Islamica, azione che ha messo in crisi l’amministrazione Biden che, in contrapposizione rispetto alle decisioni del suo predecessore, promette di riavviare i negoziati.
Sanzioni ed Effetti sull’Economia Iraniana
Già prima del 2015 l’economia iraniana è stata duramente colpita dalle sanzioni imposte dalla comunità internazionale a causa del programma nucleare del paese, ragion per cui il presidente Hassan Rouhani ha firmato un accordo con la comunità internazionale, limitando le attività nucleari. La conseguenza è stato un aumento immediato del PIL reale per un valore di 8.8% dal 2015 al 2016, come mostra l’IMF DataMapper del 2022. Tuttavia, Il ritiro unilaterale dell’amministrazione Trump ha avuto come conseguenza il ripristino delle sanzioni, le quali hanno nuovamente aggravato lo stato del paese, colpendo la società petrolifere iraniane tra cui la National Iranian Oil Company (NIOC) e la Naftiran Intertrade Company (NICO). In conseguenza di ciò, l’Iran non ha tardato ad appellarsi al paragrafo “Dispute resolution mechanism” del JCPOA, il quale prevede che nel caso di violazioni dell’accordo e imposizione di sanzioni contro Teheran, quest’ultima avrebbe diritto a ridimensionare il proprio impegno verso la comunità internazionale.
Stato dell’arte del Programma Nucleare Iraniano e l’AIEA
La raison d’être del JCPOA era garantire la natura civile e non bellica del programma nucleare dell’Iran, limitando le attività di arricchimento dell’uranio, mantenendo quest’ultimo ad un massimo di 3,67%, e ridurre tutte le attività nucleari ad esso legate. È l’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica (AIEA) a svolgere la funzione di monitoraggio e accertamento sulla conformità e osservanza degli impegni assunti dall’Iran. Pertanto la risoluzione 2231 dell’Onu, attraverso la quale si è stato approvato il JCPOA nel 2015, conferisce all’AIEA un ruolo fondamentale, contemplando anche garanzie contro potenziali violazioni del JCPOA, tra cui lo snap-back, meccanismo di ripristino delle sanzioni.
Il 16 febbraio 2021, Teheran ha informato l’AIEA sulla volontà di interrompere il monitoraggio e la verifica volontaria relativamente al programma nucleare iraniano, necessari per fornire regolari aggiornamenti al Board of Governors e al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. L’Iran ha fatto della chiusura preventiva delle indagini di salvaguardia dell’AIEA la chiave per la sua approvazione all’accordo nucleare. Ma i Paesi occidentali non sono disposti ad accettare ciò: le indagini non possono e non devono essere oggetto di negoziazione in quanto strumento di non proliferazione nucleare. Ragione per cui la condizione richiesta dall’Iran è stata definita illegittima da parte del direttore generale dell’AIEA, Rafael Grossi.
È noto che dal 2018 l’agenzia sta portando avanti indagini sulla non dichiarazione dell’Iran di tre siti, Turquzabad, Varamin e Marivan, in cui sono state trovate tracce di uranio. Motivo per il quale la fiducia nei confronti della Repubblica Islamica viene sempre meno, anche a seguito del fatto che, nonostante la firma del joint statement tra l’Iran e l’AIEA per concludere le indagini agli inizi di marzo di questo anno, l’Iran non si è impegnato a giustificare e a fornire una spiegazione credibile all’agenzia. L’Iran non sta adempiendo ai suoi obblighi legali: mettere in salvaguardia tutti i suoi materiali nucleari, negando a Grossi l’opportunità di chiudere le indagini in vista della riunione del Board of Governors, iniziata lo scorso 6 giugno.
La trasparenza e la cooperazione alla base delle relazioni diplomatiche tra Teheran e l’AIEA, sono di vitale importanza per la comunità internazionale e per il riavvio del JCPOA, come ha sollecitato Rafael Grossi durante la conferenza stampa svoltasi a seguito della riunione del 5 marzo 2022 con Mohammad Eslami, leader dell’Organizzazione iraniana per l’energia atomica (AEOI).
A luglio, Kamal Kharrazi, consigliere del leader supremo Ayatollah Ali Khamenei, ha annunciato al quotidiano Al Jazeera che in pochi giorni l’Iran è stato in grado di arricchire l’uranio fino al 60%, dimostrazione del fatto che dispone dei mezzi per realizzare un ordigno nucleare. Inoltre continua ad installare e a mettere in azione centrifughe IR-6, più avanzate rispetto alle IR-1 (le uniche che potrebbero legalmente arricchire l’uranio secondo quanto previsto dall’accordo del 2015). Se fossero stati rispettati i limiti del JCPOA, il programma nucleare sarebbe meno avanzato. Attualmente è 19 volte superiore a quanto previsto dall’accordo.
Negoziati e clausole in discussione per la firma del nuovo accordo
Josep Borrell, Alto Rappresentante della Politica Estera Europea e coordinatore del JCPOA, si è pronunciato sulla condizione di stallo del JCPOA, affermando che “there is no further room for compromise”. Si tratta di un negoziato molto complesso, le cui trattative sono state riprese nel 2021 grazie all’intermediazione europea, inaugurando 16 mesi di colloqui indiretti a Vienna. Durante la visita tenutasi il 25 giugno a Teheran, Borrell ha fornito una spiegazione riguardo la “pausa” da lui imposta nel mese di marzo ai negoziati, evidenziando la sua volontà di riprendere i lavori nei giorni a venire. Il giorno successivo della riunione a Teheran, Josep Borrell ha dichiarato di avere presentato una draft proposal a Usa e Iran, con lo scopo di rilanciare l’accordo nucleare. Rispetto alla bozza il ministro degli esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian, sostiene la necessità che essa tuteli i diritti e gli interessi del popolo iraniano, garantendo la “rimozione duratura” e non temporanea delle sanzioni.
In conformità a quanto è stato delineato dalla draft proposal dell’Ue, l’accordo entrerà nuovamente in vigore una volta superate le quattro fasi con una durata di 165 giorni. La prima fase, denominata “day zero”, prevede la firma dell’accordo, il giorno prima della quale l’Iran deve procedere alla liberazione dei prigionieri americani detenuti in Iran in cambio di un primo allentamento delle sanzioni. In questa fase lo Stato iraniano dovrà anche sospendere l’arricchimento dell’uranio, con la possibilità di conservare le scorte di uranio arricchito. Nel secondo stage, Biden dovrà sottoporre l’accordo all’approvazione del Congresso, rispetto al quale il presidente ha il potere di veto; trascorsi i 60 giorni dall’approvazione del congresso, il Dipartimento di Stato dovrà comunicare al consiglio di sicurezza dell’Onu e all’AIEA la decisione di ritornare nel JCPOA. Infine, la quarta fase, prevede l’entrata in vigore dell’accordo, che avverrà trascorsi due mesi dalla conclusione della terza fase.
Rispetto al testo sono state sollevate molteplici criticità, sia da parte iraniana che statunitense, sulla base di richieste considerate di essenziale importanza da entrambi i contraenti. La Repubblica Islamica chiede la rimozione delle Islamic Revolutionary Guards dalla lista delle organizzazioni terroristiche internazionali – sanzione imposta dagli Usa nel 2019, che limita le possibilità di azione internazionale dell’organo militare a servizio della Repubblica islamica. A ciò l’Iran aggiunge la richiesta della garanzia che il nuovo presidente non esca unilateralmente dall’accordo. Da parte sua Biden non può assicurare quanto richiesto in quanto, il JCPOA, è un accordo politico e non un trattato internazionale, la cui peculiarità è essere giuridicamente vincolante.
Gli Stati Uniti hanno ultimamente imposto nuove sanzioni: la società iraniana, Safiran Airport Services è stata accusata di aver fornito droni iraniani alla Russia per l’uso in Ucraina, ed il Ministero dell’Intelligence e della Sicurezza Iraniano (MOIS) e il suo leader, Esmail Khatib, sono stati accusati da Washington come gli artefici dell’attacco informatico che ha colpito l’Albania lo scorso 7 settembre.
Conclusione
Mohammad Eslami, durante un’intervista ad Al-Jazeera Network il 7 giugno 2022, ha insistito sul carattere pacifico del programma nucleare iraniano, tuttavia ha minacciato che se l’accordo dovesse fallire, l’Iran procederà ad una accelerazione del programma nucleare in conformità alle decisioni del parlamento. L’Iran, come dichiarato da Mohammad Eslami, ha il know-how nucleare, quindi riprendere il JCPOA ritarderebbe la minaccia nucleare iraniana, ma non porrebbe fine al suo progetto. Non si può impedire all’Iran di sviluppare un’arma nucleare, il sistema internazionale deve imparare a convivere con questa ipotesi. Ma come reagirebbe il Medio Oriente? Israele crede che un Iran dotato di armi nucleari sia una minaccia esistenziale, tanto da orientarlo ad effettuare attacchi militari contro l’infrastruttura nucleare iraniana se vedrà, non solo gli Usa, pronti a convivere con un Iran nucleare. Si ipotizza la possibilità di applicare nel futuro la logica della deterrenza nucleare anche in Medio Oriente. Ad ogni modo le tempistiche per assistere ad un Medio Oriente dotato della second strike capability sono lunghe.