Il crescente desiderio degli stati membri di dotarsi di una vigorosa politica comune di difesa, alla luce dell’attuale scenario securitario, ha posto in essere le condizioni necessarie per avviare un processo di ammodernamento degli strumenti e delle scelte interne che animano la Politica Europea di Sicurezza e Difesa Comune (PSDC). Sullo sfondo di questo rinnovato impegno volto a ripensare l’architettura della PSDC e gli sforzi sinergici che ne comportano, di significativo valore è senza dubbio il ruolo svolto dalla Commissione Europea, la quale si è resa promotrice di un’iniziativa senza precedenti: l’istituzione di un fondo europeo per la difesa (European Defence Fund), i cui finanziamenti, gravando sul bilancio comunitario, sostengono la competitività e le capacità di innovazione e autonomia della base tecnologica e industriale di difesa dell’UE.
Come nasce l’EDF?
Le origini dell’EDF vanno rintracciate nel discorso annuale di Jean-Claude Junker sullo Stato dell’Unione del 14 Settembre 2016, tenutosi di fronte al Parlamento Europeo. In quell’occasione, l’allora Presidente della Commissione Europea, aveva esposto la propria visione di un’“Europa che difende”, invitando a riflettere sulla necessità di assumersi le responsabilità di proteggere gli interessi e il modo di vivere dei cittadini europei, nel loro territorio e all’estero, senza delegare la loro tutela alle potenze militari altrui. Con queste premesse, Junker aveva annunciato la volontà di proporre la creazione dello European Defence Fund, concepito per dare impulso alla ricerca e all’innovazione nel settore d’interesse, contribuendo al contempo all’autonomia strategica dell’UE. Cinque mesi dopo, la Commissione Europea presentava la sua proposta contestualmente al “Piano d’azione europeo in materia di difesa”, una serie di azioni finalizzate alla definizione di un nuovo grado di ambizione dell’Unione Europea in armonia con il “piano di attuazione della strategia globale in materia di sicurezza e difesa”. Avallato dal Consiglio, l’EDF diventava realtà il 7 Giugno 2017, quando la Commissione adottava una comunicazione dal titolo “Istituzione del Fondo europeo per la difesa”, delineandone i suoi tratti distintivi. Il fondo prevedeva la coesistenza di due sezioni complementari ma distinte giuridicamente che insieme avrebbero coperto l’intera fase del ciclo industriale della difesa, ovvero ricerca e capacità.
Gli elementi fondanti: ricerca e capacità
Al momento questo strumento si compone di due programmi pilota che la Commissione ha predisposto con tempistiche e fonti di bilancio diverse: l’Azione preparatoria dell’Unione sulla ricerca in materia di difesa (PADR) ed il Programma europeo di sviluppo industriale della difesa (EDIDP). Per quanto concerne la ricerca, l’Unione Europea ha stanziato 90 milioni di euro nel triennio 2017-2019, concretizzando l’impegno di sostenere la ricerca collaborativa su prodotti e tecnologie innovative. L’ammissibilità dei progetti, ivi compresi quelli associabili al quadro della PESCO (Cooperazione Strutturata Permanente), viene valutata in base alle priorità precedentemente identificate dagli stati membri e dall’Agenzia europea per la difesa (European Defence Agency) in termini di capacità di difesa nei settori quali elettronica, robotica, ricerca metamateriale e crittografia software. I primi inviti a presentare proposte sono stati pubblicati insieme al lancio del fondo, nel quale vengono indicati come preferenziali – per eccellenza, impatto ed efficienza dell’attuazione – i progetti relativi ai sistemi automatizzati in ambiente navale e alla protezione delle forze nonché ai sistemi per i soldati.
Dal 2017 ad oggi, i bandi di ricerca che hanno ottenuto una convenzione di sovvenzione dalla Commissione sono 18 con circa 889 proposte di progetti provenienti da enti pubblici e privati, il cui 22% è stato rappresentato da piccole e medie imprese (PMI). Nonostante sia la Francia a detenere il primato di progetti finanziati, l’Italia è riuscita a ricavarsi un ruolo di primo piano con il progetto OCEAN 2020, guidato da Leonardo e comprensivo di 42 partners, tra industrie, centri di ricerca e Ministeri della difesa appartenenti a 15 diversi paesi. Il progetto si prefigge la messa in pratica di nuove tecnologie per sistemi a pilotaggio remoto – unmanned – finalizzate all’osservazione, la raccolta informazioni ed al coordinamento tra i mezzi in campo. L’obiettivo a medio termine del PADR è quello di dimostrare il valore aggiunto che i finanziamenti europei possono apportare alla promozione delle azioni riguardanti la cooperazione nella ricerca e tecnologia (R&T), colmando gap tecnologici e sviluppando capacità fondamentali per far fronte alle minacce securitarie esterne. Lo scopo finale è quello di preparare il terreno per un programma UE specifico per la ricerca nel settore della difesa, con un importo stimato di 500 milioni di euro dopo il 2020, che renderebbe l’Unione Europea uno dei principali investitori nel R&T.
La seconda finestra fondante dell’EDF è il programma europeo di sviluppo del settore industriale della difesa, pensato per garantire che i risultati ottenuti dal PADR vengano efficientemente potenziati per lo sviluppo delle capacità necessarie. Questa fase del ciclo industriale implica degli impegni che gli stati europei potrebbero non essere in grado di sostenere, sia a causa dei costi iniziali di sviluppo dei prototipi sia per i rischi tecnici di collaudo. Ragione per cui, nel 2017 il Consiglio si è detto d’accordo con la proposta di regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio che ha istituito l’EDIDP, con una dotazione complessiva di 500 milioni di euro per il periodo 2019-2020. La base giuridica del programma viene disposta all’art. 173 del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE): l’articolo definisce la responsabilità dell’Unione e degli stati membri di provvedere affinché siano assicurate le condizioni necessarie alla competitività dell’industria europea, accelerando l’adattamento di quest’ultima alle trasformazioni strutturali e promuovendo un ambiente favorevole alla cooperazione tra le imprese.
Per il primo anno di operatività dell’EDIDP, la Commissione ha pubblicato 9 inviti a presentare proposte e ha allocato circa 245 milioni di euro, mentre per il 2020 sono previsti ulteriori dodici inviti, con un budget di 255 milioni. In tutto, i fondi europei stanziati dalla Commissione sono da intendersi come incentivi integrativi alle spese di sviluppo, la cui differenza dovrà essere coperta dagli stati di appartenenza degli attori coinvolti nei programmi selezionati. L’Unione Europea potrà co-finanziare progetti industriali riguardanti le tre aree prioritarie nel regolamento EDIDP, nonché “Preparation, protection, deployment and sustainability”, “Information management and superiority and command, control, communication, computers, intelligence, surveillance and reconnaissance (C4ISR), cyber defence and cyber security” ed “Engagement and effectors”. Inoltre, in linea con il piano di lavoro sono stati aggiunti due progetti per aggiudicazione diretta: 100 milioni a favore di Eurodrone e 37 milioni ad ESSOR. Il cosiddetto Eurodrone, il drone europeo Medium Altitude Long Endurance (MALE), è un sistema aereo di nuova generazione in grado di volare senza pilota e dotato di capacità ISTAR (Intelligence, Surveillance, Target Acquisition and Reconnaissance). Già avviato nel 2016 grazie all’impegno congiunto di Francia, Germania, Italia e Spagna, il drone europeo è ad oggi considerato un requisito fondamentale per l’avviamento verso una soluzione indipendente nel futuro della difesa europea. Il programma ESSOR invece, acronimo di European Secure Software defined Radio, prevede il miglioramento delle capacità delle forze di terra europee attraverso la dotazione di comunicazioni radio interoperabili e fruibili nel campo di battaglia e nelle missioni operative.
L’EDF è il prodotto di una presa d’atto dolorosa ma necessaria, rivelatasi di fronte alla grave frammentazione ed inefficienza che ancora oggi affligge l’industria europea, la quale paga a caro prezzo gli scarsi livelli di cooperazione e d’investimento nello sviluppo e nell’acquisizione di capacità. Come riportato dalla Commissione stessa, oltre l’80% degli appalti e il 90% di ricerca e tecnologia seguono l’obsoleta logica degli stati membri di “fare da soli”, favorendo un’inutile duplicazione degli assetti operativi e un uso improduttivo dei soldi dei contribuenti. Gli stati dell’UE dispongono, ad esempio, di 178 sistemi d’arma diversi rispetto ai modici 30 degli Stati Uniti, produce più elicotteri di quanti possano essere acquistati e conta 17 tipi diversi di carri da combattimento, un numero surreale se si pensa che gli USA se la cavano egregiamente con un unico modello. A ciò va aggiunto il problema puramente economico: i governi degli stati membri colpiti dalla grave crisi dell’area euro, hanno progressivamente adottato politiche di rigore di bilancio che vanno a discapito delle risorse da investire nella sicurezza. È in questa cornice, dunque, che viene concepita l’idea vincente di identificare sistematicamente le priorità in termini di capacità di difesa, coordinare la pianificazione nazionale e istituire meccanismi di finanziamento congiunti che possano consentire una condivisione di rischi e costi altrimenti impraticabili.
I progetti di ricerca e sviluppo delle capacità militari promossi nel contesto del PADR e dell’EDIDP confermano la volontà delle istituzioni europee di facilitare la strada al fondo europeo per la difesa, che diventerà pienamente operativo dal prossimo periodo finanziario 2021-2027, quadro finanziario pluriennale (QFP) proposto dalla Commissione. Con una dotazione complessiva di 13 miliardi di euro, la ripartizione orientativa sarà di 4,1 miliardi per il settore ricerca e di 8,9 miliardi per le azioni di sviluppo delle capacità. In tal modo, l’EDF in sinergia con gli altri fili conduttori della nuova politica europea di difesa, potrebbe garantire la sopra citata transizione strutturale e diventare il vero motore del progresso europeo nel settore.
Lucrezia Luci
Geopolitica.info