Ad oggi l’Italia mantiene un ruolo secondario nel continente africano, dal punto di vista politico, economico e culturale. Eppure, durante il ventennio fascista la presenza italiana in Africa era tutt’altro che irrilevante e le direttrici di espansione di Roma puntavano soprattutto a sud, passando per il Mediterraneo. La geopolitica, una scienza sviluppatasi contemporaneamente all’avvento degli autoritarismi europei, contribuì largamente a dotare le aspirazioni di Mussolini di un’apparente fondatezza scientifica. I geopolitici italiani reinterpretarono così la visione geografico-storica dell’Africa e del Mediterraneo allora dominante per riadattarla alle nuove esigenze.
L’Italia liberale, prima di quella fascista, nutriva un vivo interesse per le coste settentrionali del continente africano, interesse spesso ostacolato dalle altre potenze europee (Francia nel caso dell’Algeria, della Tunisia e del Marocco, Inghilterra nel caso dell’Egitto).
Anche i tentativi di conquista nel corno d’Africa, con i primi insediamenti sulla costa eritrea (a Massawa e Assab), prima, e con la sfortunata guerra con l’Etiopia, dopo, furono deludenti.
Tuttavia, quando nel 1912 l’Italia vinse la guerra con la Turchia e annesse le coste tripoline e cirenaiche, i nazionalisti italiani tornarono a sognare un’Africa settentrionale interamente italiana, considerata condizione fondamentale per ottenere il dominio sul Mar Mediterraneo. L’Africa infatti se era vista da alcuni come un’area geograficamente separata dal vecchio continente, culturalmente ed economicamente distante dal modello europeo, da altri era invece considerata come propaggine meridionale di un “unicum”, composto dall’Europa nella sua estremità settentrionale e dal Mediterraneo nel corpo centrale, collante liquido di questo sistema euro-africano.

Carta realizzata da Alfio Biondo, pubblicata su “geopolitica” nel dicembre 1941. La carta mostra il progetto di costruzione della “trans africana” italiana, una colossale ferrovia che avrebbe dovuto collegare l’Europa all’Africa dando così vita, “de facto”, all’unione eurafricana. Il progetto tuttavia non assunse mai concretezza a causa della guerra e degli eccessivi costi dell’opera.
L’innovativo concetto di “Eurafrica”, figlio di una geopolitica, quella italiana, che aveva sviluppato una propria metodologia di analisi e autonomi campi di ricerca rispetto al modello tedesco, ottenne maggior attenzione dopo la fondazione dell’Impero fascista (9 maggio 1936), quando iniziò a maturare l’idea di un impero euro-africano che si estendesse ininterrottamente, sotto l’ombra del littorio, dall’Italia all’Etiopia, attraverso il Ciad, il Darfur e il Sudan, e che comprendesse Tunisia, Algeria, Gibuti, Somaliland britannico, Egitto e Kenya (in alcuni documenti si hanno testimonianza di rivendicazioni fasciste anche nei confronti del Congo belga, dell’Africa equatoriale francese, delle colonie portoghesi).
Dunque, in tale prospettiva di dominio, il Mediterraneo perdeva l’aspetto tradizionale di mare come elemento divisore di terre e acquistava invece il ruolo di ponte tra il mondo civile e latino ed il mondo selvaggio e africano. Possiamo notare nel concetto di “Eurafrica” un tentativo, forse il più articolato, della geopolitica italiana di opporre una propria originale visione spaziale a quella tedesca relativamente al futuro ordine mondiale che si sarebbe costituito all’indomani della vittoria delle potenze dell’asse.
Il termine “Eurafrica” era stato coniato dall’italiano Paolo d’Agostino Orsini di Camerota nel 1930, professore di geografia coloniale a Roma e collaboratore della rivista “geopolitica”, la prima rivista in Italia dedicata specificatamente alla scienza geopolitica. L’Orsini affermava non solo che l’Africa e l’Europa erano continenti geograficamente e fisicamente affini, ma che la nuova Europa nazifascista avrebbe potuto eliminare la schiavitù economica in cui le potenze plutocratiche (Gran Bretagna e Francia, in particolare) avevano costretto i popoli africani. L’idea dell’Orsini, ripresa dalla corrente geopolitica triestina, la principale della penisola, era che l’Africa avrebbe largamente beneficiato di un sistema economico comune, in quanto “le economie dell’Europa con l’Asia e dell’Europa con l’America non sono direttamente complementari e che quindi solo l’Europa e l’Africa sono direttamente complementari. Da ciò deriva che l’Asia e l’America sono mercati esterni e che soltanto l’Africa è un mercato interno dell’Europa, che il campo sostanziale degli scambi vi è differente, trattandosi nel primo caso di paesi più “venditori” all’Europa che acquirenti da essa e nel secondo caso di un paese “fornitore ed acquirente” al tempo stesso.
Dunque, il Mediterraneo veniva considerato dall’ Orsini, dagli scienziati geopolitici e dai politici italiani come elemento di congiunzione tra due metà destinate a ritrovarsi e a manifestare così tutte le proprie potenzialità geopolitiche, geoeconomiche e geostrategiche.

Carta geopolitica dell’Eurafrica pubblicata in “geopolitica” nel 1940. La carta mostra un continente africano accerchiato dai nemici dell’asse: la Francia domina l’Africa occidentale mentre gli inglesi governano la quasi totalità del restante territorio africano, l’oceano Indiano (che nella carta è definito proprio “mare inglese”) e la rotta del Capo. Alla politica espansionistica francese (asse est-ovest) e a quella inglese (asse Cairo-Capo) gli italiani oppongono il progetto di unificazione eurafricana.
L’Africa, in particolare quella settentrionale, mantenne vivo fino all’ultimo l’interesse degli italiani, che scrivessero su una rivista specializzata in geopolitica o meno, in quanto era diffusa l’idea dell’importanza strategica e politica (meno quella economica) che tale area avrebbe rivestito per l’Italia fascista: strategica perché la colonia libica (e dal novembre 1942 quella di Tunisia) completava la “morsa” fascista sul Mediterraneo centrale, impedendo il “sereno” rifornimento delle basi inglesi situate nel Mediterraneo, e allo stesso tempo teneva in costante tensione l’Egitto; politica perché il regime fascista aveva ottenuto gran parte del proprio consenso interno, ma anche estero, dalle sue avventure africane (in Etiopia, certo, ma anche nella “riconquista” della Libia) e in quelle terre aveva investito somme importanti, di cui non verificheremo mai i ritorni sull’investimento a causa del precoce tracollo bellico italiano, per cui ci limitiamo a considerare l’enorme squilibrio tra costi e ricavi. Il concetto di Eurafrica e di Mediterraneo come fattore unificatore e non disgregatore sembrano oggi ripresi, con alterne fortune, da altri paesi rivieraschi come la Turchia, mentre l’Italia pare averli rilegati nella sua memoria storica.

Mario Morandi, in questa carta del 1938, pone in contrasto la pan-regione euroafricana con quella americana e quella asiatica, rielaborando in forma originale la teoria di Carl Haushofer delle pan-regioni e delle pan-idee.
Con la fine della guerra l’Italia perse “de facto” il ruolo di grande potenza mediterranea, così faticosamente conquistato nel cinquantennio precedente, e finì per essere “inghiottita” nel blocco occidentale e nelle sue linee programmatiche, rinunciando in larga parte alle proprie antiche ambizioni mediterranee. Contemporaneamente la geopolitica fu bandita, a oriente come in occidente, perché considerata una scienza “partorita” dai regimi totalitari, e finì per riapparire nelle università e negli ambienti scientifici solo alla fine della guerra fredda, quando ci si rese conto delle potenzialità di questa disciplina, che permette un’analisi estesa e completa di fenomeni complessi e dinamici, in quanto in continua evoluzione.
Leonardo Maria Ruggeri Masini,
Geopolitica.info