Nel 2016, L’Unione Europea e la Turchia hanno stretto l’EU-Turkey Deal per gestire il rilevante flusso di migranti siriani fuggiti dalla guerra civile nel proprio Paese. L’accordo incentiva la Turchia a trattenere il maggior numero di rifugiati nel proprio territorio dividendo l’opinione pubblica tra scetticismo ed accoglienza. La situazione si è aggravata dopo il tragico terremoto che ha colpito la Turchia e la Siria.
I rifugiati siriani
La guerra civile in Siria ha generato una delle peggiori crisi di rifugiati, lasciando milioni di persone in una situazione di disperato aiuto umanitario. Attualmente le persone sfollate sono oltre 15 milioni, ed hanno trovato rifugio prevalentemente in Turchia, Libano, Giordania, Germania e Iraq. La Turchia è lo Stato con il maggior numero di rifugiati siriani, con almeno 3.6 milioni di profughi registrati ufficialmente.
Dal 2012 Ankara ha applicato la politica della porta aperta, costruendo dei campi profughi nelle zone ai confini con la Siria. Tuttavia, al contrario delle aspettative del Presidente Erdoğan, il conflitto siriano si è protratto nel tempo, trasformando la presenza temporanea dei profughi in Turchia in una protezione a lungo termine. La società turca ha mostrato una resilienza esemplare nell’assorbire un così alto numero di rifugiati, fornendo la migliore assistenza umanitaria rispetto al reddito nazionale lordo del Paese. Durante i primi anni, i rifugiati furono lasciati in un limbo legale, poi successivamente, tramite la Law on Foreigners and International Protection (LFIP) venne conferito ai profughi lo status di rifugiati, il quale garantisce i diritti sociali ed il non respingimento, principio violato dal governo turco con numerose deportazioni verso il nord ovest della Siria.
La Convenzione di Ginevra del 1951 stabilisce le procedure riguardanti l’insediamento dei profughi. All’interno del processo di accoglienza, vi è coinvolta anche l’UNHCR, che ha la responsabilità di assicurare che gli Stati concedano asilo e condividano gli oneri.
Dopo diversi anni, il governo turco ha chiuso gradualmente i campi profughi per favorirne l’integrazione come rifugiati urbani. La condivisione delle proprie città, assieme all’autoritarismo del Presidente Erdoğan e alla crisi economica in corso hanno influenzato sfavorevolmente l’opinione pubblica a riguardo.
L’EU-Turkey Deal
Fin dalla Seconda Guerra Mondiale l’Unione Europea e la Turchia hanno intrapreso relazioni diplomatiche riguardanti la migrazione di lavoratori turchi, richiesti dalle industrie europee. Tuttavia, a causa delle instabilità nell’area del Medio Oriente, la Turchia ha assunto il ruolo di territorio di passaggio verso l’Europa, causando una generale preoccupazione europea riguardo le crescenti richieste di asilo.
Per gestire la situazione, nel 2016 è stato stipulato l’EU-Turkey Deal. Si tratta di un accordo basato su numerosi punti tra cui: in primo luogo, la Turchia avrebbe preso ogni misura necessaria per fermare i profughi diretti verso le isole greche. In secondo luogo, chiunque fosse arrivato in Grecia senza permesso sarebbe stato riportato in Turchia. In terzo luogo, per ogni migrante siriano che fosse stato riportato in Turchia, un altro, residente in uno dei campi profughi turchi, sarebbe stato riallocato in Europa. Infine, a patto di migliorare le condizioni di vita dei rifugiati nel proprio Paese e di gestire i confini, l’Unione Europea ha stanziato tre miliardi di euro e la liberalizzazione dei visti per l’area di Schengen per i cittadini turchi, mai attuata. In questo modo, l’accordo limitava il numero di richieste di asilo in Europa e riallocava i profughi su base individuale. A supporto dell’accordo, tra il 2016 e il 2019, l’Unione Europea ha fornito altri sei miliardi di euro in assistenza umanitaria, istruzione, sanità ed infrastrutture.
Sebbene l’Unione Europea abbia stanziato l’intero importo, il governo turco ha contestato le modalità ed i tempi di pagamento, il quale è andato alle organizzazioni al servizio dei rifugiati, invece che nelle casse dello Stato. Nel 2020, la Comunità Europea si è impegnata a fornire ulteriori 485 milioni di euro per proseguire l’accordo. In tal modo, l’Unione Europea è venuta meno all’EU–Turkey Deal, riallocando la metà dei richiedenti asilo in Europa, ma al contempo ha finanziato il governo turco perché mantenesse nel proprio territorio il più alto numero di rifugiati siriani. Quest’ultimo accordo ha generato nei rifugiati l’idea che la Turchia non fosse più un luogo di transito verso l’Europa, bensì uno Stato dove potersi stanziare; anche a causa della crescente ostilità da parte dei Paesi europei e alla pericolosità del viaggio.
L’integrazione in Turchia
Le questioni relative all’integrazione dei rifugiati urbani sono diventate una priorità politica dopo che il Presidente Erdoğan ha annunciato, nel 2016, la concessione della cittadinanza ai rifugiati siriani, mai realmente accordata, suscitando ampie reazioni negative. La popolazione siriana si è divisa tra coloro che tuttora subiscono diverse discriminazioni e violenze, e coloro che hanno mostrato gratitudine e desiderio di coabitazione con la società ospitante. Lo stesso governo turco è considerato il primo fornitore di assistenza, tramite l’applicazione di politiche integrazioniste, come il miglioramento delle possibilità di impiego e della formazione professionale. Attualmente, il piano di sviluppo 2019-2023 della Presidenza turca rivendica il rafforzamento dell’architettura burocratica in materia di migrazione, con l’obiettivo di sostenere l’integrazione economica e sociale dei rifugiati.
Tuttavia, il partito AKP, fondato dal Presidente Erdoğan, ha subito una storica sconfitta alle elezioni municipali del 2019, perdendo la maggioranza dei consensi nelle principali città del Paese. Il risultato elettorale risente del sentimento di disagio causato dalla presenza di profughi nei centri urbani, oltre al timore del diretto coinvolgimento della Turchia nel conflitto siriano e alla situazione nell’area nord-occidentale della Siria, dove i gruppi avversari al regime del Presidente Assad godono del supporto dell’esercito turco. Tuttavia, le relazioni tra Ankara e Damasco sono in fase di riavvicinamento fin dal dicembre 2022, quando si è tenuto l’incontro in Russia tra i due Ministri della Difesa, il siriano Ali Mahmoud Abbas ed il turco Hulusi Akar.
Dal punto di vista economico, a causa della mancanza di trasparenza degli aiuti finanziari giunti dall’Europa, la popolazione presume che i siriani danneggino la struttura socioculturale della Turchia. Un terzo dell’economia turca è caratterizzato, infatti, da un’economia informale che permette di trovare lavoro senza permesso di soggiorno, di avviare piccole imprese e di evitare i processi burocratici o il pagamento delle tasse. All’interno di questa situazione, i migranti competono con i locali per i posti vacanti a basso reddito nel mercato del lavoro. I lavoratori siriani, infatti, sono solitamente maggiormente richiesti essendo disponibili ad orari di lavoro protratti a fronte di stipendi minori. Questa situazione porta ad un ampliamento del divario tra le due comunità e ad un maggiore consenso verso la segregazione dei rifugiati in zone sicure o verso il ritorno forzato in Siria, proposto dal corpo nazionalista turco, che li considera inferiori, pericolosi e minacciosi.
La crisi economica e le politiche di aiuto economico nei confronti dei rifugiati hanno portato ad un’escalation di risentimento nei confronti della popolazione siriana. In particolare, tra i quartieri di Istanbul, città turca con il maggior numero di rifugiati, si sono verificati numerosi episodi di violenza fisica e verbale.
Le conseguenze del terremoto
Il terremoto dello scorso febbraio ha causato la morte di più di 50 mila persone tra Turchia e Siria, aggravando pesantemente le tensioni tra le due comunità. Tra la necessità di ottenere rifornimenti alimentari, servizi di assistenza e riparo, i sentimenti anti rifugiati si sono intensificati con crescenti minacce di violenze e richieste di ritorno in Siria per gli stessi. Raphael Marcus, vicedirettore dei programmi HIAS, organizzazione per il supporto dei rifugiati, ha dichiarato che i rifugiati siriani in Turchia sono diventati il target della disinformazione mediatica, rendendoli il capro espiatorio delle difficoltà post terremoto. A causa della crescente difficoltà di vita in Turchia, soprattutto per coloro che hanno perso le proprie abitazioni e i propri cari, circa 20 mila siriani sono tornati in Siria dopo la catastrofe, come confermato dal governo turco, mentre un’altra ondata è diretta verso l’Europa; in tale contesto, la Grecia ha ulteriormente rinforzato le proprie frontiere.
Al contempo, la Turchia, a seguito del terremoto, dovrà, innanzitutto, risanare i danni causati dallo stesso, e rivedere le relazioni tra le popolazioni locali ed i rifugiati, in concomitanza alla persistente crisi economica in atto caratterizzata da un elevato tasso di inflazione. Rimane, tuttavia, il dubbio sull’effettivo rispetto dei diritti umani e delle condizioni di vita dei rifugiati, che non soddisfano i criteri della Convenzione di Ginevra, oltre alla mancanza di trasparenza che circonda il finanziamento europeo.